ROSSO e NERO

 

Rubrica curata da Beppe Niccolai sulle pagine del "Secolo d'Italia"
e di "Pagine libere"

 

 

ROSSO e NERO

(raccolta intera)

 

Anno 1979

Anno 1980

Anno 1981

Anno 1982

Anno 1983

Anno 1984

Anno 1988

Anno 1989

 


 

ROSSO e NERO

(vol. 1 - "Secolo d'Italia", )

 

 

 

INTRODUZIONE


Giorgio Almirante
 

Da vecchio giornalista voglio dire, riferendomi a questa raccolta, a questa trasformazione in volume della rubrica "Rosso e Nero" di Beppe Niccolai, che ben difficilmente una rubrica giornalistica, e soprattutto una rubrica di giornale politico quotidiano, regge alla prova del confronto librario e letterario. La rubrica giornalistica, per brillante che sia, per penetrante che sia, per autorevole che sia, è per natura, per logica, legata al quotidiano, al transeunte, alla notizia e al commento di immediata percezione e comprensione. La si legge con gusto, la si dimentica nello spazio di un mattino, si attende la successiva puntata come si potrebbe attendere l'incontro con persona piacevole ma non impegnativa. Lo dico, come vecchio giornalista, per me stesso (quante mai rubriche ho inventato, e neppur ne ricordo le intestazioni, dal vecchio "Tevere" degli anni prebellici al caro "Secolo d'Italia" degli anni di mia condirezione!); lo dico per giornalisti illustri, che non nomino, le cui rubriche leggo volentieri, mai pensando, però, che possano raggelarsi in vanitosi volumi.
Ma per te, caro Beppe, il discorso è diverso. Questa raccolta in volume dei tuoi "Rosso e Nero", questa tua antologia, ci voleva. E so di essere in buona e vasta compagnia, una compagnia non soltanto di missini, ma più largamente di amici ed estimatori, anche avversari, quando ti dico che sto già pregustando, mentre vergo queste poche righe di premessa, la rilettura attenta, non frettolosa, non legata alla vicenda del quotidiano che nasce e muore nel giro di poche ore o di pochi minuti; ecco, sto già pregustando, caro Beppe, il più tranquillo incontro con te, con quell'implacabile memorizzatore dei fasti e nefasti di codesta Repubblica che hai saputo essere, costruendo giorno per giorno una rubrica che ha finito per acquisire il sapore d'una indagine storica e di costume.
Non si potrebbe ripetere per te, caro Beppe, l'antico «fustigat ridendo mores»; perché tu sei spirito pisano, alla dantesca, e raramente sorridi, frequentemente azzanni l'avversario, e non molli la presa, anzi ci ritorni e ci ritorni ancora, e quando chi non ti conosce può ritenere che tu abbia voltato l'angolo della noncuranza, eccoti di bel nuovo, con quella tua spietata memoria tritacarni, eccoti di bel nuovo all'offensiva.
Ho parlato di memoria, e di "memorizzazione", perché questo è il dato che più impressiona, al primo incontro con quello splendido elzeviro a puntate che è la tua rubrica. Ma non vorrei essere frainteso. La memoria, e la conseguente "memorizzazione", è un coefficiente tecnico, è uno strumento. Il dato essenziale, il dato qualificante, della tua impresa giornalistico-politica, è invece il dato di costume. Tu raramente sorridi, frequentemente azzanni, e non molli la presa, perché provi pietà, nel virgiliano senso del termine, per questa sventurata Patria, così come ce l'hanno conciata; e dalla "pietas" nasce lo sdegno, dallo sdegno la capacità, la volontà, la voluttà di frustare, di frustare a sangue, i responsabili dello scempio, quale che sia la poltrona, quale che sia lo sgabello di regime cui la nequizia dei tempi e la viltà degli uomini li ha sollevati.
Io ti ringrazio, caro Beppe, e con me ti ringrazia tutta la comunità umana che ho l'onore di rappresentare, perché sei la verifica morale della pulizia della nostra battaglia politica. Voglio dire che il quotidiano del nostro partito non potrebbe ospitare la tua rubrica, senza mai censurarla, senza mai chiedere di conoscerla in anticipo, se non fosse tassativamente vero quel che abbiamo ripetuto, quel che ho potuto ripetere e proclamare nel nostro recente Congresso di Roma: se non fosse vero che per motivi morali ancor prima che politici noi siamo nati contro, siamo contro, saremo contro, nulla chiedendo al regime se non l'onore di considerarci avversari irrecuperabili, avversari con cui non si tratta, avversari nei confronti dei quali la corruzione si spunta, la minaccia si spegne inascoltata, la lusinga crolla nel ridicolo.
Se io posso fare un augurio, caro Beppe, al nostro partito, e più vastamente a tutti gli Italiani che anche non votandoci guardano a noi con stima e con rispetto, il mio augurio è che questo volume sia seguito nel tempo da altri volumi di "Rosso e Nero"; e che le giovani generazioni si abbeverino sempre più a questa incorrotta e incorruttibile fonte di moralizzazione politica e nazionale. Possa questo tuo grido, caro Beppe, suonare alto e disteso, come un foscoliano richiamo non solo alla "Storia", ma, quel che più conta e può contare, alla Coscienza degli Italiani.


Giorgio Almirante

 

 

ROSSO e NERO

(vol. 2 - "Secolo d'Italia")

 

 

 

PREFAZIONE

L'amico Antonio Carli, che di queste mie note politiche è l'appassionato Editore, mi chiede due righe di presentazione a questo secondo volume di "Rosso e Nero".

Il primo, uscito nel marzo del 1982, vide la prefazione di Giorgio Almirante; una prefazione di cui lo ringrazio, soprattutto per i riconoscimenti umani rivolti a questa mia modesta fatica.

Che dire? Lo confesso: in queste circostanze non riesco a metter su parole mie. Non ne sono capace, quasi mi vergogno. Ed è per questo che, avendo trovato fra le mie carte la lettera che segue, mi sono sentito sollevato, affidando alla stessa lettera, scritta da un alto funzionario del Senato della Repubblica, già Segretario della Commissione di inchiesta parlamentare sul fenomeno della mafia in Sicilia, il compito di presentarmi, e di presentare questo secondo volume di "Rosso e Nero".

Sono parole che vengono da un avversario politico, da un galantuomo integerrimo, da un funzionario che, per la sua professionalità e le funzioni svolte in organismi delicatissimi, ha avuto modo di saggiare il polso dell'Italia politica. Lo ringrazio. Questa lettera è una delle poche cose care che la vita parlamentare mi abbia lasciato.

Giuseppe Niccolai     

 

* * *

SENATO DELLA REPUBBLICA

Roma, 26.7.1976

Illustre e caro Onorevole,

ora che è passato più di un mese dallo svolgimento delle elezioni, credo di poter esprimere con sufficiente serenità il mio più profondo rammarico per non aver potuto salutare il suo rientro fra i deputati della VII Legislatura.

Il Parlamento ha perduto una libera voce che non ha mai avuto un attimo di sosta nel fustigare i corrotti e nel confortare gli onesti. Potranno forse gioire quegli squallidi maneggioni cui il Suo costante, quasi ossessivo, richiamo ai valori di un'Italia onesta e pulita suonava come una forma di vieto moralismo. Non lo potrò io, che ho sempre ammirato nelle Sue battaglie politiche -pur non condividendone, come non Le ho mai nascosto, l'ideologia- il rigore morale, l'intransigenza addirittura giacobina, la profonda e tenace preparazione che le hanno sempre ispirate.

Considero un grande onore l'aver potuto collaborare con Lei e l'essermi meritato la Sua stima e la Sua amicizia, che è mia ambizione conservare il più a lungo possibile.

Cordialmente, Suo

Carlo Giannuzzi 

 

 

"Rosso e Nero" vol. 2 contiene gli articoli apparsi sul "Secolo d'Italia" nel 1982 e fino al marzo 1983.

 

 

ROSSO e NERO

(da "Pagine libere")

 

Anno 1988

Anno 1989

 

 

 

  Condividi