pag. 230, Milano, Società Editrice Barbarossa (per conto del C.N.S. Fiamma), €
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Introduzione
Il 31 ottobre di vent'anni fa Beppe Niccolai lasciava un'intera comunità
politica e umana, nel dolore e nello sgomento perché dall'indomani sarebbe stata
più sola.
Vidi la prima volta Beppe Niccolai all'Ergife, al 13° Congresso nazionale,
appena ventenne, eletto delegato da una Federazione dell'estrema periferia come
Trapani.
Insieme alla visita di Marco Pannella a quel congresso, il discorso lucido e
"moderno", e l'attenzione con cui i delegati seguivano quel dirigente che non
era più nemmeno deputato, fu quello che mi rimase più impresso nella memoria.
Nel successivo congresso dell'84 tutto il gruppo giovanile trapanese era, come
tradizione, all'opposizione della dirigenza provinciale e solo il segretario del
FdG, Fonte, andò al congresso, e quell'assise segna la nostra scelta dentro il
partito di seguire quei "Segnali di vita" che lui aveva indicato, e da allora le
nostre strade si intersecarono sempre più spesso fino a stringersi quando la
direzione nazionale lo inviò a "supportare" la federazione di Trapani per le
regionali siciliane del 1986. Doveva restare una settimana, rimase quasi un
mese, consumando centinaia di chilometri in giro per quella provincia,
preferendo sempre stare tra noi che con la nomenclatura del partito, comiziando
pure dal balcone del segretario di sezione del più piccolo paese del Belice,
sempre con la stessa tensione e lucidità di ragionamento, e seguendoci pure
nella famigerata pizzeria di "Calvino".
Sentivamo che Niccolai amava la Sicilia che giudicava bellissima e terribile,
seppur così lontana dalle sue colline toscane, e da lui apprendemmo tante cose e
misfatti della nostra isola, episodi che lui aveva già denunciato negli anni
'70, come commissario dell'Antimafia, e che poi aveva continuato a scrivere
dalle colonne del "Secolo", unico tra tutti, e in tutti i partiti, almeno fino
all'omicidio Dalla Chiesa e, ad avere quella visione limpida di quel potere
tentacolare politico-massone-mafioso che governava la Sicilia.
Me lo confidò qualche tempo fa Guido Lo Porto, che in Antimafia proseguì
l'impegno di Niccolai, che nemmeno loro stessi, seppur siciliani e sebbene
abituati a denunciare dall'opposizione il regime clientelare di quegli anni,
avevano avuto la percezione compiuta di quanto la politica e l'economia
siciliana fosse determinata in grande misura dalla mafia, almeno fino ai
drammatici eventi del 1982, che portarono all'approvazione della "Rognoni-La
Torre", che introdusse il reato di associazione mafiosa. Niccolai invece sì e
gli fu riconosciuto, in un'intervista alla tv francese, da Leonardo Sciascia,
che per queste sue dichiarazioni fu criticato da dirigenti del PCI. Fu grazie a
lui che noi, presi a quel tempo dalle letture di Degrelle, Codreanu, Adriano
Romualdi, apprendemmo che l'impegno politico, in Sicilia, deve cominciare con
l'intransigenza con la mafia e con i costumi mafiosi, comportamento che deve
fare pienamente parte della "weltanschaung" della Destra. Sentiva fortemente i
suoi valori e non si premurava di annacquare certe posizioni che potevano non
essere condivise dentro il partito, come la lotta dei palestinesi, o dei
cattolici dell'IRA, come il suo antimericanismo, che era ideologico e non dovuto
agli anni di dura prigionia subita in un campo di prigionia in Texas come non
cooperatore, dopo che lui era scappato dall'università per arruolarsi
volontario. O la difesa di Sofri.
Aveva un altissimo senso della Patria, e credeva nel socialismo fascista, fino a
stupirci un giorno: sai qual'è l'ultimo regime fascista ancora al potere? Al
nostro no, ci rispose: L'Unione sovietica! Rifletti su come coltivano il
nazionalismo, esaltano la grande patria Russia, o le cerimonie di popolo ai
soldati reduci dall'Afghanistan!
Amava certamente Mussolini e il suo fascismo giovanile, ma quello dei Berto
Ricci, non degli Starace, ma mai abbiamo avuto la percezione in lui del minimo
"reducismo", cosa purtroppo tipica in tanti dirigenti della sua generazione. Per
lui invece la politica era confronto, era trasversalità.
Ha scritto alcuni anni fa Umberto Croppi, che lo ha conosciuto bene e ha
condiviso i suoi ultimi percorsi politici: «Sentiva la necessità di una
ricomposizione del pensiero, scisso dalle ideologie ottocentesche, "l'era delle
rivoluzioni" come lui la chiamava, constatandone la fine. Si tratta di una
indicazione radicale che, oltre all'alto valore morale, costituisce un elemento
di riflessione e di guida politica che va al cuore della comprensione di questi
nostri tempi. Tanto più grande, se si considera che essa veniva da un uomo la
cui storia personale era stata profondamente segnata da quelle divisioni, da
quelle scissioni».
Non stiamo al gioco di chi oggi vuol «tirare per la giacchetta» Niccolai,
ipotizzando dove sarebbe collocato politicamente oggi Beppe, se, dopo Fiuggi,
fosse rimasto o meno in AN, o se oggi avrebbe aderito al PdL. Ogni scelta è
figlia del suo tempo, ma riteniamo che il suo esempio, le sue parole e i suoi
comportamenti possano essere patrimonio ideale di tanti, che pur hanno fatto
scelte partitiche diverse.
Le pagine che seguono non vogliono essere un compendio delle sue opere, del suo
pensiero, dei suoi scritti, solo una testimonianza. Il primo testo è del 1968,
l'ultimo di qualche giorno prima della morte, e pubblicato postumo.
Della sua sconfinata pubblicistica, abbiamo privilegiato gli articoli del suo
ultimo periodo, gli anni 1988/89. Della rubrica "Rosso e nero", spigolature
ficcanti sui fatti del giorno, tenuta quasi quotidianamente sul Secolo d'Itala,
nel 1981 e 1982, e che risentono fatalmente della datazione in cui furono
scritti, abbiamo selezionato alcuni articoli a nostro parere più interessanti
per capirne lo stile.
Un capitolo è dedicato ai suoi scritti e alle sue conferenze sulla mafia.
Abbiamo pubblicato ampi stralci della sua relazione di minoranza in Commissione
antimafia, pagine che fanno luce in maniera nitida su cosa era Cosa Nostra negli
anni '70. Letta con le conoscenze di oggi fa ancor più impressione riguardando
cosa scrive di Lima e di altri protagonisti della politica di allora. Dei suoi
interventi sulla vita di partito il più significativo ci è apparso la premessa,
scritta in prima persona, allegata alla mozione "Segnali di Vita", presentata al
Congresso del MSI mozione che vide il suo distacco, anche lacerante dal punto di
vista umano, dalle posizioni politiche di Almirante.
A conclusione vogliamo ringraziare la Comunità politica Beppe Niccolai, L'Eco
della Versilia, il sito www.beppeniccolai.org, e Flavio Laghi per l'opera di
ricerca degli scritti di Niccolai, parte dei quali pubblicati in questo volume,
e la Giunta esecutiva del Centro Nazionale Sportivo Fiamma, a cui si deve la
nascita di questo libro.
Ci sembra giusto chiudere questo ricordo con una riflessione che, pochi giorni
dopo la morte di Niccolai, scrisse l'oggi ministro Altero Matteoli, toscano come
lui: «Ci aiuteranno i Suoi insegnamenti, la dirittura morale di un Uomo che ha
fatto politica, per oltre quarant'anni, in un sistema marcio, corrotto, senza
mai cadere in tentazioni. Ce la faremo, caro Beppe. Per Te. Con Te».
Vito Orlando