FRAMMENTI
"il Foglio", 30 aprile 2008
Io, sceso dal carro del vincitore Pietrangelo Buttafuoco
Sceso che sono dal carro dei vincitori faccio ciao con la mano e nel vederli andare via verso la gloria del Campidoglio, di Palazzo Chigi e dei ministeri tutti, canto anch'io nella retrovia dei fatti miei: «Sole che sorgi, libero e giocondo». E nel mentre che ci troviamo, una volta per tutte, facciamolo sapere ai giornalisti storditi dai troppi bracci alzati nel saluto romano visti il 28 aprile: questa non è una canzone da fasci coatti (sebben fasci coatti siamo), è il "Carmen saeculare" di Orazio, tradotto da Ettore Petrolini e musicato da Giacomo Puccini perché -ebbene, sì- ci fu un tempo dove l'egemonia culturale era tutta zozzona. Orazio era un Sanguineti, Petrolini era un Dario Fo e Puccini, insomma, un Nicola Piovani. Ma senza l'aura immacolata della democrazia. Sceso che sono dal carro dei vincitori faccio ciao a me stesso bambino quando stretto tra mamma e papà, a Catania, cantavo ai comizi di Giorgio Almirante: «Roma divina, a te sul Campidoglio, ove eterno verdeggia il sacro alloro». L'ultima volta che questo bellissimo inno è stato cantato è successo quasi undici anni fa, in tivù, a "Sali & Tabacchi". In un meraviglioso albeggiare al Gianicolo. Cantò il grande Vincino, in omaggio alla sua brevissima militanza tricolore nel raggruppamento della Giovane Italia a Palermo. Negli anni di Paolo Borsellino e di Pierluigi Concutelli. Mandandolo in onda ebbi il brivido della potente marachella. «Se è per questo abbiamo trasmesso anche "La Marcia delle Legioni"», mi ricorda Stefano Di Michele. Se solo lo viene a sapere Piersilvio, poveruomo, ci perde la faccia con Fabio Fazio. Sceso che sono dal carro dei vincitori faccio dunque ciao e tanti baci. Come con Ignazio La Russa che è sbucato fuori apposta dall'auto blu e mi ha detto: «Baciamoci». Tanti baci e tanti ciao mentre tanta carne di anni passati a fare quelli che fanno schifo a tutti oggi più che mai -più dell'altra volta- si prende la rivincita. E che vincita: come potevano immaginare di farcela quelli della democrazia se poi pensavano di mettere in trappola la destra, la marea e i camerati con un Gianni Alemanno capace di pagare un romeno che facesse uno stupro giusto il tempo di calare l'asso della sicurezza? Così: "Il marcio su Roma". Manco in una sceneggiatura di Sergio Citti. E ancora ieri, sulla "Repubblica", ancora il racconto della "marea" malgrado il principe Carlo Caracciolo sia un estimatore di Alemanno, forse ben più di Carlo Petrini, quello dello Slow Food; malgrado Alemanno abbia quella virtù di essere perfino di sinistra senza essere ideologico. Sceso che sono dal carro dei vincitori li accompagno con gli auguri e il rewind di anni e anni fa: io e Stefania Prestigiacomo facevamo da madrina e padrino alla campagna elettorale di Fabio Granata, a Siracusa. Un cortocircuito di giovinezza, militanza e politica. E poi dice che la destra è retrograda: il ministro è lei, lei è la bandiera, io, invece, sono sceso dal carro e Fabio, finalmente arrivato a Roma, oggi dovrà vedersela coi lupi moderati e sgamati che gli vorranno soffiare il suo meritato posto di organizzatore culturale per "declinare" così la sua guerra per la bellezza. Il rewind mi riporta alle sere passate con Beppe Niccolai, il profeta del socialismo tricolore, il campione del romanticismo impolitico, il capo di tutti quelli che volevano fare Tabula Rasa quando nel piccolo partito del risentimento -quello di ieri- cominciava ad allignare l'acidità del piccolo orticello dal quale attingere cavoli, carciofi e altre onorificenze ricche di fibre: di quelle che regolano la digestione. Fosse anche dopo aver inghiottito i peggiori rospi. Il rewind colora spassi e frattaglie sentimentali di ottima grana: non era bellissima cosa fare politica e stare in consiglio comunale, provinciale, tentare perfino di entrare in Parlamento, a Palermo, prendere tantissimi voti e non concludere niente? Bellissimo certo, ma sceso che sono dal carro dei vincitori non posso che concedere la soddisfazione. Rubo un troppo privato SMS: «I nostri voti andavano sempre in frigorifero ma ora ci siamo rifatti. Chissà se lassù lui è contento». Dove per lui non s'intende "lui", ma i tanti altri "lui", i bravi fondatori del MSI che sono passati avanti, lassù, e si sono persi questo pomeriggio di sazio. Sceso che sono dal carro dei vincitori so per certo che il Partito della Libertà -quello di oggi- sarà la negazione dell'estetica ma gli espugnatori, nel prendere possesso dei salotti buoni, dei festival, delle cosucce di potere e delle tivù, sono uno spettacolo così come sono: improponibili. Ha ragione Angelo Mellone, sveglio sciamano delle idee, a lamentarsi: «Da quando "la Stampa" mi ha definito il Santoro di destra non ho più pace». Occhio azzurro, piglio guerriero, charme militare, Mellone avrà da mettere a frutto la santa pazienza doppia: quella per i ruffiani e quella per lo spoils system zoppo. Sarà sempre zoppo mr. Spoils. Se la prima stagione del berlusconismo in RAI per Alleanza nazionale fu solo ricotta di zoccole, quella della destra alla prova del potere culturale nell'epoca del Cav. III, al meglio sarà solo sostituzione di figurine. Ha proprio ragione Mellone. Sarà un fiorire di Dandini di destra, di Ammanniti di destra, di Montezemolo di destra, di Mieli di destra, di un Secolo d'Italia di destra perfino: a furia di scoprire come propri, i miti della sinistra, Luciano Lanna, il grande guru di quel capolavoro che fu "Fascisti immaginari" dovrà nazionalpoppizzare tutto al contrario. E cominciare col dire che la Resistenza è come la Corazzata Potemkim: una boiata pazzesca. Giusto adesso che sono sceso dal carro mi sono perso il capolavoro di un Silvio Berlusconi che giustamente il 25 aprile se lo festeggia con Peppino Ciarrapico, ma va bene così, l'Italia brontolona della religione civile antifascista chiude bottega nel frattempo che il PDL, purtroppo, calerà le braghe alla Patria per farla puttana a disposizione dei padroni forestieri peggio di quanto avevano fatto quelli del CLN con masticogne e sigarette. Sceso che sono dal carro dei vincitori capisco e comprendo quanti lunedì ventotto aprile, dopo la messa in memoria di Benito Mussolini, sono poi andati a festeggiare Alemanno. Detto questo, questo non è fascismo, solo gli indipendenti e molto professional ciuchi della stampa estera possono ancora credere alla stupidaggine del luogo comune. Detto questo, infatti, questo è solo un infarto. Gli è che la linea di confine della Corazzata Potemkim è stata oltrepassata: il carro dei vincitori in fuga verso la gloria del Campidoglio, di Palazzo Chigi e dei ministeri tutti, si lascia alle spalle la boiata pazzesca di un intero libro di potentissimi tabù, primo tra tutti quello della consuetudine al potere della casta dei socialmente presentabili. Già da ieri, a Roma, ci sono almeno tremila disoccupati di lusso, tutti quelli dell'establishment, quelli che danno del tu ai direttori dei giornali, quelli che fanno colazione con i capistruttura RAI, quelli che passano da Atene in Toscana e fanno andata e ritorno in tutti i posti giusti: compresa l'anticamera da Gianni Letta. Basterebbe convincere Gianluca Iannone, leader di Casa Pound, a far da solo e da solo riuscirebbe tra assessorati e municipalizzate ad accendere a Roma quelle luci d'eversione e fantasia che alcuni di quelli che stanno sul carro, adesso, vorrebbero di sicuro far divampare, figli come sono di Giampiero Rubei. È a maggior ragione in questa era di Cav. III che la grande stampa e il rotocalco enciclopedico dei chi è chi dovrà aggiornarsi. Rubei è quello che ha portato il grande jazz in Italia, magari a suo tempo lo fece perché il jazz lo praticava Romano Mussolini, però lui è il sublime Cesare dell'avanguardia, fu l'allievo di Konrad Lorenz, il creatore dell'Alexanderplatz, il covo dove non potendo recitarci dentro (suonavano e recitavano i grandi artisti lì) si recitava fuori. Con tanto di urla del vicinato. Ed era così automatico il momento dello spettacolo che toccava ripetersi, in petrolinate, anche nei campi scuola del Fronte della Gioventù, l'epoca quella in cui Maurizio Gasparri aveva il baffo, Teodoro Buontempo dormiva dentro la sua Cinquecento e l'unico rapporto organico con l'editoria era il ciclostile. Era il partito quello -quello stesso che Gianfranco Fini ha cancellato appena ieri con un colpo di penna per portarsi al livello del predellino di Silvio III- quel partito dove si aggiravano le facce improbabili della plebaglia meridionale, dei notabili ciociari, dei burini danarosi, degli studenti col tricolore, dei reduci di Salò e anche dei tanti in ritardo con l'attualità, alcuni dei quali fino a ieri rimasti in quota a Daniela Santanchè per chiederle «convegni sul corporativismo e la socializzazione». Naturalmente Berlusconi saprà digerire tutto ciò. Di quel mondo fatto di librerie estemporanee e di magnifici pazzi, non resterà traccia. E così come il Cavaliere ha realizzato il massimo sogno sovversivo del Sessantotto, «La fantasia al potere», così porterà a compimento quello che la sempre maledetta Legge Scelba non potè fare: scioglierà, anzi, ha già sciolto nel suo morbido abbraccio il partito. Quello di partito, intendo. Quello fascista. Ma ora che sono sceso dal carro dei vincitori me la godo tutta la nostalgia delle fogne in un pomeriggio romano di tassinari mentre Angelo Sicali, Santo Castiglione e Granata ovviamente, stanno festeggiando con Alemanno. Tutto il gruppo dei rautiani in completamento con la Nuova Destra di Umberto Croppi (artefice con Silvio Leoni della campagna elettorale del sindaco di Roma) e Paola Frassinetti. Insomma, è tutto il nucleo duro degli avversari storici di Gianfranco Fini, giusto per valorizzare la presentazione del gruppo. Se la sono goduta alla grande e non posso che partecipare adesso, dall'angolo dei fatti miei, con le poche armi della simpatia. Nomi, cognomi e facce di un libro tutto nuovo. A proposito: aggiornamento, aggiornamento degli archivi, sarà comandamento e parola d'ordine per i giornali sul chi è chi della destra nell'era del Cav. III. Vi basti sapere chi è quel meraviglioso Santo Castiglione. Si fregia del titolo di "Gomma!". E Santogomma! sta a significare che quando sgancia un ceffone lui, cancella letteralmente il ceffonato. È un fior di manager lui, oggi, ieri un eroe del quartiere e della militanza ma il carro dei vincitori non può essere solo inzeppato di sciacquapalle e di furbastri, ci devono pur essere i forti di carattere. Quando nei computer di tutta Roma sono arrivate le mail che elencavano i precedenti penali dell'ancora candidato sindaco, magari per timorare i bravi sacerdoti, le anime pie e i benpensanti, nessuno tra i tecnici della comunicazione democratica s'interrogava del contrario: e se fosse una meraviglia votare per i brutti ceffi? La foto più bella di tutta la campagna elettorale è quella del matrimonio di Marcello De Angelis -il senatore, direttore di "Area", il musicista- sposato appunto dal non ancora sindaco Alemanno, sposato appena qualche ora prima del responso elettorale. Qualche cretino di giornalista avrà pure avuto cura di prendere e pubblicare i precedenti penali dello sposo, dell'officiante e perfino quelli della sposa, come se fosse proprio un pranzo di gala cambiare la faccia ad un mondo ma la vera foto che ha cambiato tutto è quella di Alemanno trionfante ad una finestra circondato da collaboratori tutti con regolamentare cravatta larga, tutti seri seri e rapati in testa, tutti serrati nella posa della circostanza seria e troppo seria da crapa lucida, tutti quanti risultanti perfetti brutti ceffi. Chissà i commenti: la marea, il marcio su Roma. Come faranno all'Auditorium quando arriveranno questi? E questa volta non basteranno le zoccole a neutralizzarli. Ormai il gioco è scoperto. Né il generone potrà più di tanto. Tutte le stupidaggini che Alemanno potrà fare -e lo diciamo sapendo che non le farà- non saranno imbecillità di destra, ma tipiche stupidaggini di sinistra: ancora qualche OGM, qualche prudenza democratica, qualche bicchiere con Fuksas. Magari imiterà la sinistra in tema di cultura quando ormai il modello di cultura della sinistra è troppo loffia e vecchia trama di quattro amici in combriccola autoreferenziale, ci penseranno i camerati a far scappare il pubblico dagli eventi con sempre nuovi convegni su corporativismo e socializzazione. Vorrà dire che si spenderanno i soldi per le buche, le periferie e la metropolitana. Sceso che sono dal carro dei vincitori, col mio di ceffo beato di cose troppo vecchie ormai, sceso che sono anche in compagnia di quelli che non hanno colto l'occasione ma che meriterebbero di starci sul carro -e mi raccomando con mio compare Gasparri: recupera Fabio Fatuzzo!- sceso dal carro, dicevo, so bene che è finita, finita per sempre. Ho una foto ricordo di un 28 aprile di chissà quanti anni fa a Predappio. Ci sono Raffaele Stancanelli e Nino Strano con polo aderentissima e suo solito notevole tratto elegante, e non so che farne. Non c'è che il Silvio III ormai: «Sui Colli nostri i tuoi cavalli, doma. Tu non vedrai nessuna cosa al mondo, maggior di Roma». Cambiando tutto sono cambiati quelli che non dovevano cambiare mai. Cambiando tutto mi sono permesso di non cambiare, cavallerescamente Francesco Rutelli -che fu un grande sindaco- un bacio se lo merita, ma sceso che sono dal carro dei vincitori faccio ciao con la mano e nel vederli andare via verso la gloria del Campidoglio, di Palazzo Chigi e dei ministeri tutti, dico: ascenda pure il coro. E dunque: «Sole che sorgi, libero e giocondo». Pietrangelo Buttafuoco
|