da "Fascisti immaginari" -
Luciano Lanna e Filippo Rossi
Nero è bello
È il 4 dicembre 1980. Rai Due, prima serata: è
la "prima volta" per un certo mondo politico e culturale. E non si tratta né di
una tribuna politica, né di una cronaca giudiziaria. È uno speciale della
trasmissione "Primo piano" di Stefano Munafò e Ivan Palermo, dal titolo "Nero è
bello". In un'ora abbondante l'autore, Giampiero Mughini, scandaglia gli
ambienti giovanili, i fermenti culturali, le sezioni, le radio, i circoli, gli
intellettuali della destra. E col suo impermeabile grigio-verde, intervista
senza astio e con sincera ed evidente curiosità quelli che fino al giorno prima
erano convinti di essere costretti a subire eternamente il ghetto. E così gli
italiani possono vedere e ascoltare alcuni dei protagonisti del «polo escluso»:
da quelli già adulti -come il giornalista e storico Giano Accame, l'editore
Giovanni Volpe, il leader politico e allora direttore di "Linea" Pino Rauti- a
quelli giovani o giovanissimi, come Marco Tarchi, direttore de "la Voce della
Fogna" e leader della "nuova destra", Umberto Croppi, dirigente giovanile e
animatore di mille iniziative tra cui i Campi Hobbit, Monica Centanni e Marilena
Novelli, responsabili della rivista femminile "Eowyn", Federico Zamboni, il
critico rock che si firmava Claudio Fossati. E anche: musicisti come Junio
Guariento e Mario Bortoluzzi, militanti del "Fronte della Gioventù" come
l'universitario Stefano Di Fiore, esponenti delle frange giovanili
extraparlamentari come Marcello de Angelis... Molti ebbero l'impressione che la
ghettizzazione potesse terminare.
Giampiero Mughini, allora inviato de "l'Europeo" e tra gli artefici di
"Mondoperaio", scopriva dietro la telecamera un mondo che era appena riuscito a
intuire, spinto da una curiosità intellettuale e un gusto per la ricerca che lo
porteranno lontano. Ricordando quell'esperienza, scriverà nel 1987 in "Compagni,
addio": «Io e il regista William Azzella incontrammo difficoltà incredibili a
far parlare quelli della destra, convinti com'erano che avremmo rovesciato solo
ingiurie e accuse di terrorismo. Almirante si rifiutò di rilasciarci
un'intervista. Pino Rauti accettò ma se ne pentì e, attraverso un avvocato, ci
ingiunse di togliere dalla trasmissione la parte che lo riguardava, cosa che
naturalmente ci guardammo bene dal fare. Giano Accame, ex-volontario della
Repubblica di Mussolini a diciassette anni, intellettuale di grande cultura, mi
confessò poi che mi aveva ricevuto solo perché una volta avevo citato Robert
Brasillach senza insultarlo. Alcuni ragazzi del MSI accettarono di farsi
intervistare solo di spalle e ripresi da lontano, perché temevano la reazione di
quelli di sinistra del loro liceo. Questa era l'atmosfera del tempo dopo anni di
demenza da una parte e dall'altra».
Che non si trattasse di una trasmissione televisiva come le altre, ma di un
evento dalla significativa valenza politica, lo dimostrarono le sensazioni
immediate di chi la realizzò: «La reazione più interessante -ha raccontato
ancora Mughini- fu quella del montatore della trasmissione, un ragazzone romano
figlio del movimento del '77. Quando William e io gli spiegammo che avremmo
parlato dei giovani di destra senza odio, facendo delle domande e ascoltando le
loro risposte, si rabbuiò immensamente e per un certo tempo non ci rivolse più
la parola. Ma vedevo che seguiva attentissimo il materiale che andavamo montando
[...] Il figlio del '77 finalmente capiva, riconosceva adesso quei ragazzi come
suoi simili e non come belve da braccare. Quando montammo un pezzo di una
trasmissione di "Radio popolare", dove interveniva un ascoltatore a gridare "I
fascisti bisogna ammazzarli tutti!", il ragazzone del '77 balzò in piedi e
gridò: "Mascalzone!". Quando finimmo il lavoro ci abbracciammo, lui ringraziando
me e William d'avergli insegnato nuovi criteri con cui vedere la realtà della
sua generazione».
Quella trasmissione di Giampiero Mughini su Rai Due, la rete vicina ai
socialisti, apriva nemmeno tanto inconsciamente un decennio che, a destra, gettò
alcune delle basi culturali che porteranno un intero mondo a rimettersi in
gioco. «L'importante di quella trasmissione -ha commentato Giano Accame- fu aver
portato di fronte a tre milioni di telespettatori un dialogo con la destra,
interrogandone soprattutto i giovani, mentre la DC questo genere di incontri lo
aveva costantemente praticato solo sottobanco per delle intese di vertice a cui
il pubblico, di una parte e dell'altra, era sempre destinato a rimanere
estraneo».
Si aprivano gli anni '80, si apriva il decennio di "Nero è bello". Dieci anni
che gradualmente vedranno sbloccare il pensiero politico dalla prigionia delle
etichette, che vedranno ridurre il tasso di nevrotizzazione degli antagonismi,
che riusciranno a aprire la strada a nuove sintesi. Prima fu la scoperta di
pochi, poi gli incontri di qualcuno, e magari le amicizie personali e le storie
familiari. Fino ad aprire porte che erano rimaste chiuse per anni, a stabilire
nuovi rapporti, a suscitare nuove attenzioni: incontrarsi al ristorante e
capirsi attraverso lo stesso vino e gli stessi libri. Poter parlare insieme, in
trattoria, di comuni letture e di comuni passioni musicali. E se agli inizi
degli anni '80 Giampiero Mughini si incontra con alcuni giovani di destra e
riesce poi a filtrarne l'esperienza nelle riviste di cultura socialista,
parallelamente il filosofo e deputato comunista Massimo Cacciari procedeva in
una sua scoperta intellettuale della nuova destra. Erano i tempi in cui
l'Istituto Gramsci organizzava convegni -impensabili fino a qualche anno prima-
su Nietzsche, Schmitt o Jünger. Ed erano i tempi in cui un gruppetto di giovani
intellettuali abbeveratisi alle acque più libertarie del '68 dava vita al
mensile "Pagina": erano Ernesto Galli della Loggia, Massimo Fini, Pierluigi
Battista, Paolo Mieli e Aldo Canale, e le pagine della loro rivista
costituiranno uno dei luoghi privilegiati del dialogo con le nuove espressioni
della cultura di destra.
È in questo clima che il comune di Milano guidato dal socialista Carlo Tognoli
allestisce a Palazzo Reale, dal 27 gennaio al 30 aprile 1982, la mostra "Anni
'30. Arte e cultura in Italia" curata dallo storico Giordano Bruno Guerri. Nella
presentazione sul catalogo il sindaco scriveva: «La mostra costituisce il
tentativo di dar vita a una verifica storica». Grande e inatteso fu il successo
di pubblico. La mostra di Milano rappresentava il primo vero tentativo di
cancellare -sul terreno della cultura popolare- la cicatrice
fascismo-antifascismo. Due anni di preparazione, diciotto gruppi di lavoro, una
sala dedicata ai filmati sulla trasvolata atlantica di Italo Balbo, una sezione
affrontava la bonifica della pianura pontina e la fondazione di Littoria, e poi
il futurismo, le avanguardie artistiche, l'architettura, la modernizzazione del
paese e del costume. E quel poster-collage che andò a ruba e finì appeso, come
un simbolo, sui muri di tante case: i palazzi, la moda, la radio, gli aerei, le
macchine, il cinema e quel piccolo busto di Mussolini. Un successo che
trasportava nell'immaginario popolare vent'anni di ricerche della scuola storica
di Renzo De Felice. Tanto che Andrea Marcenaro su "Lotta continua" arrivava a
scrivere: «Otto-nove anni fa una mostra come questa non sarebbe neppure
concepibile. Oggi sappiamo guardare nelle parentesi nere della nostra storia».
Fu un vero e proprio fenomeno di massa: centinaia di migliaia di visitatori, le
gite delle scuole, un enorme successo di stampa e televisione.
E alla fine di quell'anno, il convegno organizzato il 27 novembre a Firenze sul
tema «Sinistra e nuova destra. Appunti per un dibattito» riportava al centro
dell'attenzione la possibilità di nuovi equilibri culturali. Nella tavola
rotonda si misurarono Marco Tarchi, Giano Accame, Giuseppe Del Ninno, Giovanni
Tassani e Massimo Cacciari. Il fatto che due personalità di sinistra -come
l'intellettuale cattolico e firma de "il manifesto" Tassani, e il filosofo ed ex
deputato del PCI Cacciari- avessero accettato di "parlare" con intellettuali di
tutt'altra formazione fu non solo motivo di scandalo ma l'avvio di un proficuo
dibattito. Tra i tanti che intervennero sulla stampa a commentare l'evento,
Ernesto Galli della Loggia spiegava sul "Messaggero" che si trattava di «aver
accettato il metodo della discussione» e di «parlare di problemi che esistono
realmente e che sono al centro, anzi il centro, di qualsiasi riflessione
sull'età contemporanea». Da tutto il dibattito che ne scaturì emergeva
soprattutto il ruolo svolto da Marco Tarchi, l'allora giovane politologo
fiorentino che poi reciderà definitivamente i legami con la destra e avvierà una
sua battaglia coraggiosa e solitaria fuori dai recinti delle tradizionali
categorie politiche, al di là del bipolarismo del pensiero, contro
l'omogeneizzazione politico culturale del mondo e a favore di un modello sociale
neo-comunitarista e post-liberale.
Il clima di dialogo dei primi anni '80 non era comunque solo il portato di
sommovimenti culturali, ma aveva dietro di sé lo sfondo preciso di una nuova
stagione politica che sollecitava un'inedita civiltà del dialogo. Nel febbraio
del 1983, il Presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini andava a
trovare in ospedale l'agonizzante Paolo Di Nella, militante ventenne del Fronte
della Gioventù che morirà per le sprangate ricevute mentre attaccava manifesti
per una battaglia ecologica. Lo stesso segretario del PCI Enrico Berlinguer
inviava un telegramma di dolore alla famiglia Di Nella. E in quel clima
Salvatore Sechi scriveva: «C'è qualcosa di più. A me pare che con la destra,
conservatori e riformatori in Italia devono cominciare a discutere. Non più
ghetto, voto nel frigorifero, ma blocco di forze da utilizzare, rimettendole nel
circuito di possibili alleanze in nome dell'alternativa».
Il 1983 sarà infatti l'anno del primo governo Craxi e la destra comincerà a
trovarsi, sia pure flebilmente, nel cono di luce del tentativo craxiano di una
strategia dell'attenzione e di un pieno recupero al gioco democratico. Lo stesso
leader del MSI, Giorgio Almirante, raccontava così il colloquio istituzionale
avvenuto in occasione delle consultazioni per la formazione del primo governo a
guida socialista: «Il nostro colloquio non fu niente affatto formale: durò
un'ora. Voleva sapessimo che non era mai stato favorevole alla formula
dell'"arco costituzionale". Mi disse che potevo ripetere che egli non aveva mai
accennato, né tanto meno avrebbe sostenuto, la ghettizzazione del MSI, forza
legittimamente presente in Parlamento. Così a mia volta dissi ai giornalisti che
nei confronti della presidenza socialista il MSI avrebbe tenuto un'opposizione
costruttiva, non preconcetta».
In quell'anno si fa esplicito il progetto del "socialismo tricolore". Esce il
libro omonimo di Giano Accame, una ricerca che registrava l'evoluzione culturale
espressa dal vento craxiano. E lo stesso
Accame aveva partecipato il 31 maggio a un dibattito a Roma, promosso
dall'associazione "Italia e Civiltà", che riuscì a mettere intorno allo stesso
tavolo laico-socialisti e missini: intervennero il radicale Francesco Rutelli,
il senatore socialista Antonio Landolfi, l'avvocato Luciano Lucci Chiarissi e
Pacifico D'Eramo (due "fascisti di sinistra" rappresentanti del vecchio circolo
"l'Orologio"), lo scrittore Enrico Landolfi e, per il MSI, Beppe Niccolai e
Umberto Croppi.
Sulla scia di questi incontri, Marcello Veneziani farà pubblicare per le
Edizioni Ciarrapico il libro "Socialismo e nazione", dove il socialista Enrico
Landolfi e il missino Franz Maria D'Asaro si confrontavano sul ritorno ai valori
nazionali che stava caratterizzando l'ultima stagione politica. E sempre in
quell'anno il politologo Giorgio Galli pubblicava una nuova edizione aggiornata
del suo saggio del 1969 sulla destra in Italia, sottolineando ora l'importanza
delle novità che stavano emergendo: «Se l'illuminismo non è l'ultimo orizzonte
del sapere -scriveva- la ricerca culturale da perseguire ha per campo
privilegiato le culture alternative, da ritrovare nel nostro passato per
scoprire se ci indicano il futuro. In questa prospettiva, anche le parziali
novità che la cultura di destra esprime possono essere colte come uno dei pochi
segni positivi dei nostri tempi recenti».
L'anno successivo fu un'iniziativa editoriale a scandire un'ulteriore tappa di
questo percorso. Con quella copertina -una foto dal film "I ragazzi della via
Paal"- e quel titolo "C'eravamo tanto a(r)mati- il libro curato da Maurizio
Cabona e Stenio Solinas aveva tutte le caratteristiche per diventare un piccolo
oggetto di culto: molto citato, molto ricordato, molto saccheggiato. Con quelle
venticinque storie era come un atto di archiviazione degli anni '70. Soprattutto
per i suoi autori, tra i quali Oliviero Beha e Massimo Cacciari, Alberto
Camerini e Luigi Filippi, Massimo Fini e Diego Gabutti, Francesco Guccini e
Giordano Bruno Guerri, Paolo Isotta e Raffaello Belcaro, Giuseppe Del Ninno e
Massimo Greco, Enrico Nistri e Stella Pende, Gianni Rivera e Armando Torno.
In autunno, sempre nell'84, Roma tenta di bissare l'iniziativa milanese di due
anni prima con una mostra dentro il Colosseo. "L'economia italiana tra le due
guerre" -realizzata per conto dell'IPSOA e del Comune di Roma da Giano Accame e
Gaetano Rasi- fu un'iniziativa voluta dal vicesindaco socialista Pier Luigi
Severi, presidente del comitato organizzatore. Un'iniziativa che, di nuovo,
rilanciava sul piano dell'immaginario una visione del fascismo al di fuori delle
demonizzazioni.
E così, per dirla con Sergio Caputo, verso la metà degli anni '80 «il peggio
sembrava essere passato». La destra sembrava ormai aver ritrovato la legittimità
a confrontarsi con tutti: con i socialisti, con i radicali, con le stesse
intelligenze più raffinate della sinistra. E un deputato missino non-conformista
e modernizzatore come Tomaso Staiti riusciva a dialogare e svolgere iniziative
"trasversali" con radicali, socialisti, liberali... Autori che fino a qualche
anno prima erano ancora per pochi intimi entravano nel dibattito e conquistavano
le terze pagine de "la Repubblica" e del "Corriere della Sera". Intellettuali
provenienti da destra entravano nelle redazioni di settimanali che facevano
opinione. E il caso del "Sabato", espressione giornalistica di Comunione e
liberazione e del Movimento popolare, dove dalla metà degli anni '80 compaiono
le firme di Franco Cardini, di Marcello Veneziani, di Giano Accame e altri
intellettuali più o meno «a destra». E comincia la strategia dell'attenzione tra
CL e MSI, con inviti e cortesie reciproche.
Insomma, la società civile diventava campo aperto. «Dal tempo di quella
trasmissione televisiva del 1980 -scriverà Giampiero Mughini nell'85- le cose
hanno camminato. Gli stessi giornali dell'antifascismo hanno preso a distinguere
e a rispettare quando si parla di "neri". A fine gennaio 1985, a Roma, si sono
incontrati in un pubblico convegno un bel grappolo di intellettuali di sinistra
e di destra. Nella stessa cronaca politica giovanile sembra caduta la barriera
sanguinosa che oppose nei '70 giovani fascisti e giovani antifascisti. Il
"movimento dell'85" è sembrato voler escludere dal corteo ufficiale i ragazzi
del Fronte della gioventù, ma ha altrettanto escluso di far baruffa con loro. La
guerra civile tra giovani, che nei '70 e primissimi '80 ha fatto centinaia di
vittime, sembra finalmente chiusa».
Alla fine degli anni '80, dopo
l'avvicendamento alla guida del MSI con la segreteria del giovane Gianfranco
Fini, la successiva scomparsa dei due leader storici del partito, Giorgio
Almirante e Pino Romualdi, e una fase di crisi politico-elettorale, la destra
-culturale e politica- tra contraddizioni, lacerazioni e spinte in avanti, si
trova di fronte all'escalation della storia che sta per arrivare. Quel «polo
escluso» -cosi battezzato dal titolo di un libro del 1989 del politologo Piero
Ignazi- si trovava di fronte alla sfida e alla necessità di dover diventare
«polo incluso». Dei processi evolutivi della destra di quegli anni, Giovanni
Tassani ha sottolineato «il lavorio prodottosi a destra e quindi a favore di
quel settore politico, a seguito delle innovazioni introdotte dalla nuova
destra: senza l'esperienza di essa, difficilmente il Fronte della Gioventù
avrebbe potuto modernizzarsi e ricominciare a interloquire con giovani di
esperienza diversa, né la corrente modernizzatrice missina di Domenico Mennitti
e Beppe Niccolai avrebbe potuto reggere l'esperienza di una rivista decorosa e
leggibile come "Proposta" tra il 1986 e il 1989 ...».
Nel mezzo di questo fermento, arriva il grande evento internazionale che chiude
il Novecento: cade il muro di Berlino. E, come in un domino, cominciano a cadere
tutti i muri del dopoguerra. Anche quelli italiani. Agli inizi degli anni '90 la
Lega comincia a erodere il bacino elettorale democristiano. E dopo il gesto di
pietà di Pertini dell'83, un altro presidente della Repubblica scendeva in campo
contro gli ultimi tentativi di criminalizzare la destra. Francesco Cossiga
esprimeva le sue pubbliche scuse per le sue dichiarazione con le quali
all'indomani della strage di Bologna aveva attribuito una paternità «fascista» a
quella strage. E la rottura di un altro tabù si imponeva, il 5 aprile 1992, con
le elezioni che riportano anche il nome di Mussolini (Alessandra) dentro la
Camera dei deputati. Tanti muri cadevano, tante ipotesi si aprivano. Si arrivò
anche a leggere che un personaggio come Vittorio Sgarbi si fosse lasciato
scappare di bocca: «I democristiani? Meglio i fascisti». E poi venne
Tangentopoli: crollavano equilibri quarantennali, niente sembrava più
intoccabile ed eterno, si rimetteva in gioco una possibilità di comunicazione
tra politica e società. È la stagione che, da destra, può essere rappresentata
dalle battaglie giornalistiche de "l'Indipendente" di Vittorio Feltri e de
"l'Italia settimanale" di Marcello Veneziani. In qualche modo "Nero è bello"
diventa uno slogan sempre più diffuso.
L'onda lunga del fenomeno avrà il suo approdo simbolico in un altro piccolo
evento mediatico che però, questa volta, segnerà per la destra il passaggio
dalla metapolitica alla politica vera e propria. E come era stato per quel 4
dicembre del 1980, ancora una volta sarà la televisione a dare il «la». La
trasmissione è "il Rosso e il Nero", su Rai Tre: il conduttore, Michele Santoro
si collega con Sandro Ruotolo da piazza Campo de' Fiori a Roma. Nella capitale
non c'è più la maggioranza al Comune e si profila un voto anticipato con la
nuova legge che prevede l'elezione diretta del sindaco. «Diteci voi il vostro
sindaco», così Santoro lancia il sondaggio tra i telespettatori romani per
individuare i possibili candidati. Dopo quasi tre ore di trasmissione, la
sorpresa. Al secondo posto nel sondaggio, dopo Francesco Rutelli -già
autocandidatosi da qualche mese- spunta l'inatteso nome del segretario del MSI,
Gianfranco Fini: 1206 telefonate dei cittadini contro le 284 di Renato Nicolini,
le 73 di Marco Pannella, le 33 di Franco Carrara, e lo zero assoluto agli uomini
dell'area democristiana. Nasce in quello studio televisivo l'intuizione che
porterà la destra postfascista a un'altra «prima volta»: quella del governo.
Finisce con "Il Rosso e il Nero" la lunga storia del «polo escluso». È l'8
aprile 1993, Rai Tre, prima serata.
Luciano Lanna
e Filippo Rossi
da "Fascisti
immaginari"
Vallecchi, 2003 - www.vallecchi.it
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