PRESIDENTE. L'onorevole Roberti o altro firmatario ha facoltà di dichiarare se
sia sodisfatto.
NICCOLAI GIUSEPPE. Se me lo
consente, signor Presidente, replicherò io per l'interrogazione Roberti, di cui
sono cofirmatario, e per la mia.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NICCOLAI GIUSEPPE.
L'insodisfazione che le esprimo, signor ministro, e che traspare anche in lei a
giudicare dalle sue stesse parole, non è solo mia, ma è del primo cittadino di
Pisa che, sul giornale "II Telegrafo", spingendo l'occhio più in là e al di là
delle vicende che attualmente vive la città di Pisa, ha scritto: «Pisa vive ore
drammatiche di una crisi profonda del suo sistema economico, schiacciato tra la
spontanea dinamica di espansione delle aree industriali del nord e gli effetti
della politica di incentivazione delle aree meridionali. Vecchi e nuovi errori
-scrive il sindaco di Pisa- sono all'origine della congiuntura economica.
Nell'attesa di una completa politica di programmazione che per ora si è
sostanzialmente e prevalentemente fatta di relazioni e di dibattiti poco più che
accademici, si vanno oggi scontando gli effetti della passata mancanza di
coordinamento degli interventi dello Stato».
L'insodisfazione, signor ministro, si fa ancora più dura quando il sindaco di
Pisa, già deputato democristiano, scende un po' al particolare. «Quando si è
iniziata l'incentivazione economica del Mezzogiorno -scrive l'onorevole
Battistini- non si pensò a corredarla di strumenti capaci di impedire che il
progresso del sud si compisse a spese del regresso di altre zone del paese. Così
accade che lo stabilimento installato dalla Saint Gobain a Caserta toglie lavoro
a quello di Pisa; quando lo Stato decise di costruire a Vasto un nuovo
stabilimento, nessuno si preoccupò di chiedersi se tale iniziativa avrebbe
potuto contribuire a mettere in crisi il complesso pisano come oggi si sta
verificando. Né alcuna sensibilità -insiste il sindaco di Pisa- alla
fondamentale esigenza di una equa ripartizione delle possibilità di lavoro sul
territorio nazionale emerse allorché dagli organi dello Stato, i sindacati e la
Marzotto fu stabilito l'accordo per i complessi di Valdagno, senza porre in atto
alcuna precauzione perché i contraccolpi negativi non cadessero sullo
stabilimento pisano».
Così il sindaco di Pisa. Il quadro è esatto, signor ministro, ed è un quadro che
non muta certo con l'estensione della legge n. 614 a Pisa o, meglio, ad una
fetta del suo territorio. Anzi con questa decisione il viluppo delle
contraddizioni e della confusione aumenta e a pagarne le conseguenze saranno
proprio coloro che appartengono al ceto più povero e indifeso.
Il sottosegretario di Stato Radi ha affermato al Senato (ed ella in maniera più
aperta e insieme più sfumata lo ha confermato) che il Ministero delle
partecipazioni statali ha deciso di non rilevare lo stabilimento Marzotto di
Pisa perché, tra l'altro, ciò sarebbe stato in aperto contrasto con i criteri di
economicità che devono essere adottati dalle imprese pubbliche. È il criterio
che ella stesso, onorevole ministro, ha esposto testé, il criterio
dell'economicità.
Onorevole ministro, lo stabilimento vetrario di Vasto -lo rilevo da una
interrogazione- che è costato all'erario, fino ad oggi, 45 miliardi di lire, con
impianti vecchissimi, del tipo non più usato da dieci anni in alcun paese, ha un
fatturato di 6 miliardi di lire, con un costo per il personale di 3 miliardi e
mezzo di lire. Sono, questi, i criteri di economicità? È vero o no che il
prospettato -e da lei stesso annunciato ora- finanziamento da parte dell'IMI
alle industrie tessili altro non è che un intervento ispirato e voluto proprio
dalle partecipazioni statali allo scopo di tirar fuori dai guai l'ENI e l'IRI,
uno per la Lanerossi e l'altro per le Cotoniere meridionali, consentendo a
queste ultime aziende, naviganti in cattive acque, di sostenere l'urto della
concorrenza della SNIA Viscosa e della Ghatillon?
Perché si salva Valdagno e si schiaccia Pisa? Perché si salva Caserta e si
schiaccia Pisa? Su quali basi avviene lo scambio ENI Lanerossi - paesi d'oltre
cortina? Perché -ecco la domanda fondamentale- tutto questo sviluppo di
contraddizioni, di interventi settoriali, di manovre più o meno pulite, di
mulinelli di miliardi che finiscono nelle aule dei tribunali (è il caso
dell'affare Riva), mentre il Parlamento non ne sa nulla e di cui, cosa ancora
più grave, non si riesce a trovare il filo e la ragione?
Perché - dicevo- Caserta e non Pisa? Forse perché Caserta ha i santi in paradiso
e Pisa non ne ha più? È questa la mentalità che presiede agli indirizzi sociali
ed economici del Governo? Perché Vasto o Valdagno e non Pisa? Perché Valdagno ha
forse ora la fortuna di annoverare tra i suoi sostenitori l'onorevole Rumor?
Sono questi i criteri che guidano l'azione governativa? Vorremmo saperlo.
Vorremmo sapere, onorevole ministro, dato che ella ha parlato di situazioni
sostitutive, come si debba giudicare l'azione di un Governo che mentre elargisce
la legge n. 614 ad una parte di Pisa, facendo promesse e dando assicurazioni, fa
piombare sulla città una lettera del ministro dell'industria, una sua lettera,
onorevole ministro, con la quale si dice che si è convenuto di aprire corsi di
riqualificazione per le maestranze da re-impiegare ma che da notizie assunte
presso la prefettura, inesistenti o quasi sono al momento attuale le prospettive
di insediamento di nuove industrie nell'ambito del territorio della città di
Pisa.
È una lettera del settembre, questa, onorevole ministro, che porta la sua firma!
Intanto i cortei, gli scioperi, le riunioni, le marce, gli incontri dei
lavoratori della Marzotto coi ministri, sottosegretari e parlamentari
continuano; sbattuti da un ufficio all'altro, da un Ministero all'altro, questi
lavoratori si sentono dire che la situazione, che risale al giugno scorso, sarà
messa in calendario giovedì prossimo. Questi poveri lavoratori, quando vengono
qui in Parlamento, credono di conferire con la fonte che deciderà della loro
sorte, mentre il Parlamento, onorevole ministro, è ormai da tempo fuori gioco;
non vanno all'IRI, non vanno all'ENI o alla Montedison, ma vengono qui,
illudendosi di trovare la fonte del potere. E questo è triste, ed è triste anche
e soprattutto per chi, come me, novellino, si aggira in queste stanze alla
disperata ricerca del potere che deve decidere della sorte di tanta umile gente,
e si accorge invece che altro non siamo che strumenti di un gioco terribile. Ci
sentiamo dietro il collo -lo dico con tristezza- il filo del burattinaio.
Non è questa, onorevole ministro, la via per andare incontro alle richieste,
alle esigenze, alle ansie ed alle ribellioni del mondo del lavoro; questa è
anarchia morale! Lavoratori e datori di lavoro sono condannati, dalla logica di
questo sistema, a non incontrarsi mai, ma a scontrarsi spesso, pagando sempre. E
questo perché voi non realizzate le tanto sospirate garanzie reciproche, le
garanzie giuridiche per dare strumenti atti a risolvere questa situazione.
Ecco perché intere zone, come Pisa e Livorno, soffrono di una lenta tisi, che le
sta consumando poco alla volta, e nella quale, onorevole ministro, ci consumiamo
anche noi. Ecco da cosa nasce la nostra insodisfazione.