dal "Corriere
della Sera magazine", n° 18, 5
maggio 2005
ATTUALITÀ TERZOGRADO
Umberto Croppi
Io, il «fascista» che detesta i fascisti
intervista di Claudio
Sabelli Fioretti
«Non ho mai detto camerata, né portato una camicia nera. Non ho
mai fatto il saluto romano». L'editore (Vallecchi) in odore di CDA RAI, quota
AN, è uno strano animale di destra. Ieri odiava Almirante, oggi nel partito di
Fini non saprebbe chi scegliere. E poi... ha sposato un'americana, ma pensa che
«l'attentato alle Torri se lo siano fatto fare». E il premio-voltagabbana lo da
a Cirino Pomicino.
Da ragazzo era un giovane fascista che faceva politica nel FUAN e partecipava a
manifestazioni e scontri. Poi nel MSI faceva la fronda ad Almirante e Fini,
veniva eletto consigliere comunale, scriveva articoli, fondava giornali, dava la
solidarietà a Adriano Sofri. Poi uscì dal MSI («Quattro anni prima di Fini»,
scherza) e fece qualche giro dalle parti dei Verdi, dei Radicali, della Rete,
dell'Asinelio. Infine, per i casi della vita, è diventato direttore editoriale
di una casa editrice storica sulla via del fallimento, la Vallecchi che sta
riportando agli antichi fasti.
Oggi, di Umberto Croppi, 49 anni, si dice che potrebbe diventare consigliere di
amministrazione della RAI, in quota AN, al posto di Marcello Veneziani.
Umberto, dicono di te che sei il fascista più comunista del dopoguerra.
«Per me, ma anche per molti altri, il MSI è stata un'esperienza di sinistra».
Con tutta la buona volontà...
«L'elettorato era di destra ma quasi nessuno di noi si considerava di destra».
Quasi nessuno chi?
«Perfino quelli più reazionari. Hai tempo?».
Quanto ne vuoi.
«Il MSI nacque proprio perché la DC temeva una frana a sinistra dei giovani di
Salò. Alcuni, come Stanis Ruinas, che aveva fondato la rivista "Pensiero
nazionale", erano addirittura finanziati dal PCI di Togliatti. La DC, per porre
rimedio, concordò con i vertici in latitanza della Repubblica di Salò la nascita
di un partito che li raccogliesse».
Il MSI... un partito di sinistra... fondato dalla DC...
«I vertici del MSI sapevano benissimo che i voti dovevano prenderli a destra.
Un caso di schizofrenia. Ti ricordi la corrente di Almirante? Si chiamava
"Sinistra Nazionale"».
I più di sinistra chi erano?
«Un esempio: Beppe Niccolai. Era proprio comunista. Un comunista che aveva
aderito al fascismo. Il suo archivio era per metà annate di pubblicazioni di
sovietologia. Al congresso del MSI del 1984 iniziò citando Lenin e finì citando
Mao. Nessuno se ne accorse. Fu espulso dal MSI perché in una direzione nazionale
aveva fatto approvare un ordine del giorno di condanna dei potentati economici
approvato dal comitato centrale del PCI la settimana prima. Alla scuola di
formazione del MSI studiavamo il modello dell'impresa proprietaria. l'abolizione
della proprietà dell'azienda, gli operai che diventano padroni. Quelli come me,
e ce ne erano tanti, Almirante li chiamava "castristi": per le barbe e i capelli
lunghi ma soprattutto per quello che dicevano».
Non facevate prima a entrare nel PCI?
«Ero ben documentato sull'argomento. Mio padre, ex-repubblichino, per i miei
diciotto anni, mi aveva regalato il "Capitale" di Carlo Marx. Che ovviamente non
ho mai letto. Però avevo letto il Manifesto e gli scritti giovanili di Marx, le
tesi su Feuerbach. Ma non ero comunista, né marxista».
Però...
«Però anche esteticamente vestivamo come la sinistra, sembravamo dei
punkabbestia e di nascosto coltivavamo la passione per il rock. Perfino
Buontempo portava l'eskimo».
Quelli di sinistra ce l'avevano comunque con voi.
«A Valle Giulia gli scontri degli studenti del febbraio '68 contro la polizia
erano guidati dai fascisti. C'è un famoso poster, molto popolare a sinistra, in
cui si vede la prima fila dei manifestanti: sono Stefano Delle Chiaie, Guido
Paglia, Franco Papitto. La contrapposizione, i pestaggi, gli omicidi vennero
poi. All'università mi candidai nella lista del FUAN. Il giorno del voto una
cinquantina di ragazzi mi massacrarono di botte. Al consiglio di facoltà, dove
ero stato eletto, persino una persona moderata come il professore Stefano Rodotà
chiese la mia espulsione perché "complice degli stupratori del Circeo"».
Non avevate «come si diceva» agibilità politica. E subivate la cosiddetta
egemonia culturale della sinistra.
«La storia del ghetto culturale è una scemata che ci siamo cuciti addosso da
soli. Ha ragione Gasparri quando dice che Sergio Caputo per avere successo è
dovuto andare a sinistra. E sai perché? Perché a destra non gli davano spazio.
Qualcuno mi dovrebbe elencare i soggetti respinti da un produttore perché
proposti da uno di destra. Fatemi il caso di un libro di qualità rifiutato da un
editore perché scritto da un fascista».
Ti piaceva Almirante?
«Lo odiavo. Me ne vergogno ma è così. Però era un uomo coraggioso. Andava a fare
comizi in posti impossibili, sempre senza scorta, sulla sua 126. Ogni tanto la
rovesciavano con lui dentro».
Tu avevi il mito dello scontro fisico?
«Ho sempre avuto repulsione fisica per la violenza. Il massimo è stato qualche
sasso contro la polizia. La fama di picchiatore mi ha forse salvato la pelle, in
molte occasioni, di fronte a gruppi ostili, mi ha salvato il sospetto che avessi
una pistola in tasca».
Avevi la pistola in tasca?
«No. Nel momento del massimo terrore ne comprai una per tenerla in casa, vivevo
isolato in campagna. Non ho mai nemmeno provato se funzionava. Dopo due mesi
l'ho buttata in una fogna».
Gli altri giravano armati?
«La paura era tanta. Una volta andai a trovare un amico e mi aprì la mamma con
la pistola in mano. Una famiglia della buona borghesia romana».
Avete mai pensato che fosse ridicolo azzannarvi fra voi senza nessun reale
motivo?
«È questo il punto. Gli opposti estremismi sono un'invenzione della DC.
L'antifascismo non era una cultura diffusa. Negli anni Sessanta mio padre veniva
invitato a parlare, in quanto fascista, ai dibattiti pubblici del PCI. Ma quando
Almirante iniziò la defascistizzazione del MSI, abolendo gagliardetti e saluti
romani, la DC cominciò a preoccuparsi e a fargli terra bruciata intorno. E tutto
degenerò. In consiglio comunale a Milano la notizia della morte di Ramelli fu
accolta da un applauso. E i parroci non davano le chiese per fare il funerale.
Il clima era quello e il mandante era la DC che aveva messo in atto una
strategia che gli era sfuggita di mano».
Bastava capirlo e defilarsi.
«Mi sono trovato la porta chiusa. Me ne sarei andato cento volte, ma dove
andavo?».
Tu sei fascista?
«In vita mia non ho mai utilizzato vocaboli del fascismo. Non ho mai detto
camerata, se non per gioco. Le mie circolari cominciavano con "Cari Amici". Non
ho mai portato una camicia nera. Non ho mai avuto un ritratto del Duce in casa.
Non ho mai fatto il saluto romano».
Concludendo?
«Nei primi anni mi sono sentito fascista. Ma non ho mai pensato che si potessero
recuperare il nucleo di pensiero né le forme statuali del fascismo che c'era
stato».
Per chi voti?
«Appartengo a quella schiera di quattro milioni di italiani che scelgono ogni
volta. Sono stato tra i fondatori della Rete di Leoluca Orlando. Quello più
assatanato nel tentativo di espellermi perché ero fascista era Claudio Bucci.
Che poi è andato con Forza Italia. E Rino Piscitello, ex-Democrazia Proletaria,
che patrocinava la cordata antirutelliana contro di me, adesso è uno dei più
stretti collaboratori di Rutelli. Ha fatto anche l'uomo di Di Pietro salvo poi
contribuire a farlo fuori nei Democratici».
Hai votato per la Rete. E poi?
«Sono stato consigliere regionale per i Verdi. Ho partecipato alla fondazione
dei Democratici. Ma con loro sono stato poco. Venivo da una scuola di democrazia
troppo alta, quella dell'MSI, per stare là».
Perché hai scelto il fascismo?
«Avevo un papa fascista, ex-repubblichino, in realtà anarchico di sinistra,
grande affabulatore, una cultura straordinaria, leggeva quattro libri per notte.
A casa nostra si respirava libertà. Non c'era nemmeno la chiave nella serratura.
Poteva entrare chiunque e uscire chiunque. Quando mi parlavano del fascismo come
il male assoluto io pensavo: "Ma che dicono? Mio padre è la persona più buona e
più colta che io conosca"».
I tuoi miti giovanili?
«Mishima, Kerouac»,
II poster della tua stanza?
«Il capo indiano Nuvola Rossa, e il manifesto della destra americana contro
Kennedy, "Wanted for treason"».
Anti-kennediano?
«Rinnego i motivi di allora, ma mi resta una certa antipatia».
La musica?
«Il primissimo De Andrè. Poi Battisti. Poi i grandi gruppi americani e inglesi,
i Santana, i Deep Purple. Poi Battiato».
Mito della destra.
«Battiato è uno dei grandi bluff situazionisti della mia vita. Fui io che
alimentai la leggenda che fosse fascista, leggenda nella quale lui alla fine si
è riconosciuto volentieri».
L'altra beffa fu la cacciata di Lama dall'università.
«Il vero autore della beffa fu Biagio Cacciola. Fece un comunicato dicendo che
avevano partecipato anche i fascisti. "Il Settimanale" gli fece una grande
intervista. Anche Mario Pirani cadde nel trabocchetto. Oggi la partecipazione
dei fascisti alla cacciata di Lama è verità storica. Ci crede perfino Cacciola.
Non riesco più a convincerlo che non era vero».
Letture?
«Il mio libro di formazione, da bambino, era l'Iliade. Niente buoni, niente
cattivi. Tutti eroi. Nel duello tra Achille e Ettore parteggiavo per tutti e
due».
Hai avuto amori all'interno del MSI?
«Ho sempre evitato. E alla fine ho sposato un'americana».
E Bruno Vespa non l'ha mai chiamata a parlare dell'11 settembre?
«Io sono convinto che l'attentato alle Torri se lo siano fatti fare. Ma mia
moglie pensa addirittura che se lo siano fatti da soli. Non piacerebbe a Vespa».
Uno dei primi a "sdoganarvi" fu Cacciari che accettò di dibattere in pubblico
con voi.
«E fu insultato da tutti i suoi amici, quelli che oggi sono finiti in Forza
Italia. Ferdinando Adornato in testa».
Il problema dei voltagabbana.
«Io non ce l'ho con chi cambia idea».
Tu l'hai fatto molte volte.
«Ma questi riscrivono le loro biografie. Adornato ricorda di aver scritto che
Berlusconi era il nemico in quanto non liberale?».
Altri voltagabbana?
«Il nipote di Andreotti, Luca Danese, eletto con Forza Italia nel 1996, saltato
sul carro dell'Ulivo per un posto da sottosegretario».
Tu sei un voltagabbana?
«Ho cambiato parte, ma andando con chi perdeva» .
Volendo, avresti fatto carriera nel MSI?
«Quando me ne sono andato ero ai vertici del partito. Se mi fossi candidato alle
politiche sarei stato eletto».
Ti sarebbe piaciuto fare il ministro?
«L'avrei fatto bene».
Adesso, editore stimato, sei entrato nei salotti buoni?
«Non mi ha ancora invitato la signora Angiolillo».
Glielo segnaliamo: per quando entrerai nel CDA della RAI.
«Se dovessi indicare per me un ruolo, quello mi sembrerebbe adatto. Ma non mi ha
chiamato nessuno».
Chi sono secondo te i politici emergenti?
«Un grande emergente era Cofferati. Ma appena emerso si è ricacciato sotto. Se
l'è giocata malissimo. Poteva fare ciò che voleva. Non ha dimostrato grinta.
Doveva mettersi in gioco, rischiare. Da emergente a bollito».
Altri bolliti?
«Di Pietro, portabandiera della negatività tra i politici. Diliberto,
Buttiglione, Schifani».
Hai mai urlato slogan di cui ti sei pentito?
«Scrissi un manifesto: "Con i comunisti non si discute, si combatte". Me ne
pentii subito».
E nei cortei?
«Strillavo: "Cile, Cile, Argentina, l'Italia come l'America Latina". Idiozie».
Chi non ti piace in AN?
«Gustavo Selva. Esprime la parte peggiore della cultura DC. È un bollito. Come
Gramazio che comandò una incursione in un campo nomadi. E Riccardo Pedrizzi,
l'alfiere di tutte le battaglie di retroguardia».
Nemici, risse?
«Con Fini c'è stato qualche momento di tensione. Con Almirante scontri veri. Da
giovane aggredii, verbalmente, Giulio Andreotti, sul sagrato della cattedrale di
Palestrina».
Gioco della torre. Mughini o Guerri?
«Mughini mi è diventato amico quando era difficile dichiararsi amico di un
fascista».
Ferrara o Berlusconi?
«Butto Berlusconi. Rappresenta una stagione che deve essere chiusa».
Casini o Pera?
«Butto Pera. È insensato questo accanimento cristiano,da parte di un toscano,
laico, mangiapreti, anticlericale».
Socci o Masotti?
«Masotti non esiste. Socci non mi piace fisicamente. Ma, nella sua antipatia, è
uno che non dimentichi».
Mastella o Cirino Pomicino?
«Cirino Pomicino è entrato nella storia. È stato il mostro nella stagione di
Tangentopoli e oggi si consente il lusso di passare da una parte all'altra. È un
gigante».
Ha dato il via alla transumanza. Chi lo seguirà?
«De Michelis e l'abruzzese Rocco Salini di Forza Italia».
Santanchè o Mussolini?
«La Mussolini è un grande equivoco politico dovuto a quegli incauti che nel '93
la candidarono perché si chiamava Mussolini. Ora si lamentano perché si chiama
Mussolini».
La crisi di Berlusconi ha fatto scoppiare AN. Ti senti più gasparriano o
storaciano?
«Non sono iscritto ad AN. Se lo fossi penso che sarei semplicemente con Fini».
Risposta troppo dorotea.
«Quando ero nel MSI tra me e Gasparri non correva buon sangue, se mi iscrivessi
ad AN forse per contrappasso dovrei stare con lui, Oppure... da fumatore potrei
dare un appoggio esterno di incoraggiamento al neoministro Storace».
Claudio Sabelli Fioretti
dal "Corriere della Sera magazine", n° 18, 5 maggio
2005
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