da "Proposta", Anno IV, n° 14, novembre -
dicembre 1989
Intervista di "Proposta" a Giuseppe Niccolai
la Diaspora
Beppe Niccolai:
«senza una base culturale il disegno
politico, prima o poi, si vanifica»
È difficile ricostruire il passato. Soprattutto, quando tutto è macinato
dalla cronaca. Tu sei uno dei pochi a possedere un archivio sulle vicende
principali che hanno "segnato" il nostro mondo. Alla voce "diaspora", cosa
corrisponde?
Non ho in archivio nulla che corrisponda alla parola "diaspora". Ho riferimenti
sparsi, però vissuti carnalmente, come quello che vide l'uscita del partito,
subito dopo il Congresso dell'Aquila, nell'agosto 1952, di Concetto Pettinato.
La sua ''diaspora" diede luogo ad un dibattito, accesissimo, sulle colonne de
"Il Secolo", dibattito che vide protagonisti, soprattutto, oltre Pettinato
("Perché sono uscito dal MSI", 2.8.52); Giorgio Almirante ("Perché rimango nel
MSI", 30.8.52); Julius Evola ("Fuori dall'equivoco", 4.9.52).
Pettinato: perché esco dal MSI? Perchè mi è venuta meno la speranza di potere,
restando nel partito, influire sul suo indirizzo politico indicatoci da quel
programma di Verona che fu insieme l'epicedio e la catarsi del ventennio.
Almirante: non posso accettare da Pettinato quel che non ho mai voluto accettare
da altri di lui meno preparati e meno brillanti: la cristallizzazione delle
polemiche sul Movimento in disquisizioni interminabili, e per forza di cose
inconcludenti, sui rispettivi meriti del Fascismo della RSI e del Fascismo del
ventennio: quasi che non si trattasse, oltre tutto, di due aspetti della stessa
vicenda.
Evola: contesto l'affermazione di Pettinato secondo cui l'essenza vera dei
Fascismo fu socialista e repubblicana, e che già nel 1922 il Fascismo fu
tradito. Il movimento politico, che si espresse nella RSI, fu "marxista", e le
tendenze socialiste anteriori al Fascismo, e la loro ripresa, altro non sono che
"regressione".
Come si vede nulla di nuovo sotto il nostro sole. Quelle polemiche di 40 anni
fa, e che videro l'uscita di Pettinato dal MSI, ci "perseguitano" anche adesso.
Pettinato, Evola: destra, sinistra. La vocazione del secolo è qui: andare oltre
la destra e oltre la sinistra. Il caso di Pettinato è emblematico. Questo grande
scrittore siciliano, che amò l'Italia sopra ogni cosa e che, dopo avere firmato
il "Manifesto degli intellettuali antifascisti", si schierò con il Fascismo che,
per Lui, non fu mai "staracismo", bensì lo strumento per il quale il suo Paese e
la sua razza vennero a godere presso gli stranieri di un prestigio e di un
rispetto che mai avevano avuti.
Allora come oggi. Il Congresso dell'Aquila, vistosamente, soprattutto come
immagine sancì la vittoria dei giovani secondo la linea «Italia, repubblica,
socializzazione». La dichiarazione repubblicana data da allora, ma, nella
sostanza (è una storia che si ripete) ebbero la meglio, nelle strutture
partitiche, i sostenitori del Fascismo inteso come «ordine, autorità,
giustizia». Alla diaspora intellettuale di Concetto Pettinato seguì, a breve,
quella giovanile. Nel 1956, per fare un esempio, sulla scia di quello che
Pettinato diceva, lasciarono il partito Giorgio Pisanò e Mirko Tremaglia.
Occorrerebbe che "Proposta" ripubblicasse la polemica del 1952. Non per
dividere, ma per capire. Come, del resto, dedicare a Pettinato, a questo grande
intellettuale meridionale di cultura solidamente italiana a differenza degli
intellettuali settentrionali formatisi su correnti straniere, una sua pagina… Se
la merita dopo tanto silenzio.
Quarant'anni di "fughe", espulsioni, abbandoni. Sin dall'inizio, ancor prima
che il partito prendesse forma. Direi, quasi subito quando la RSI stava per
crollare. Cominciamo da allora. Ci fu chi preferì cercare altre vie. Chi
ricordi? E perché non parteciparono alla nostra esperienza?
In una celeberrima intervista a "Il Corriere della Sera" (5.2.77), il senatore
Armando Plebe, a scissione avvenuta, alla domanda di Giampaolo Pansa, «La
cultura l'ha portata lei nel MSI?», cosi risponde: «Beh, Almirante mi diede
assoluta carta bianca. Nel MSI c'era una attesa messianica dell'arrivo della
cultura. E il mio arrivo è stato l'arrivo della cultura con la "C" maiuscola e
di fatto mi hanno trattato con i guanti. lo ho provato a vedere che tipo di
cultura si poteva mettere in piedi a destra. Facevo dei tentativi, erano
acrobazie, di intellettuali non se ne raccattava manco uno!»
È una testimonianza che fa venire i brividi, tanto è avvilente per l'ambiente
che si era stabilito nel MSI con l'operazione che, su su negli anni, ci aveva
portato alla "Destra nazionale", alla "Costituente di destra"… La sigla
partitica nella sua titolazione, si allungava a dismisura ma si era perso tutto
per strada… Eppure il MSI, ai suoi albori, non era quella terra di selvaggi
descritta dallo "stregone bianco" Armando Plebe, inviato a civilizzarla, e con
carta bianca… Negli Anni '50 c'erano in mezzo a noi i libri di Gentile, Evola,
D'Annunzio, Marinetti, Soffici, Prezzolini con l'impronta delle grandi "Riviste"
fiorentine del primo '900, c'erano i libri di Papini, di Pirandello, di Pareto,
di Mosca, di Sorel. C'era la scoperta appassionata dei francesi, da Peguy, a
Barres, a Maurras, a Drieu La Rochelle, a Celine, a Brasillach... L'ambiente
missino possedeva biblioteche ben fornite… Era vivo uno dei più grandi storici
italiani, Gioacchino Volpe, un costituzionalista di vaglia come Costamagna, un
linguista come Antonino Pagliaro… E sai quanti ne dimentico… Ricordo tre Rettori
di Università, impegnati a destra: De Francisci, Papi, Menotti De Francesco…
Ricordo il grande cardiologo Condorelli… Erano uomini che valevano molto più di
Plebe.
Quindi la cultura c'era eccome se c'era! C'è da chiedersi, questo si, perchè il
MSI non sia riuscito ad essere lui, un grande organizzatore di cultura. Come mai
un Longanesi, un Montanelli, lo stesso grande Gioacchino Volpe, Giovanni
Ansaldo, Rino Alessi, lo stesso grande Prezzolini, furono via via dimenticati, e
non perchè c'era da pensare di irreggimentarli, farli divenire intellettuali
organici alla nostra politica, galoppini elettorali… Per carità! È che il MSI
mai si preoccupò di discutere ed elaborare, alla luce di ciò che questi
personaggi del pensiero scrivevano, un suo disegno culturale che fosse di
supporto al disegno politico. Dimenticati nel dibattito, negli elaborati
politici. Come se non esistessero. Il piccolo cabotaggio politico ebbe il
sopravvento, le ambizioni elettorali soffocarono tutto. Forse con il sottinteso
che quei personaggi potessero divenire, all'interno del MSI, temibili
concorrenti elettorali. Dunque via!
La diagnosi di tutto ciò la fa lo stesso Indro Montanelli quando, nel febbraio
del 1955, scrivendo, per "il Borghese" di Leo Longanesi, l'articolo "Proibito ai
minori di 40 anni", viene ad esaltare la figura di Berto Ricci. Ad un dato
momento il direttore de "Il Giornale" scrive «Il mio inserimento ideologico nel
Fascismo avvenne verso il 1932 per via di amici come spesso capita in Italia.
Nella cittadina di provincia, in cui mio padre faceva il preside di liceo e dove
tornavo a passar le vacanze, conobbi un sindacalista di nome Diano Brocchi, che
poi fu consigliere comunale, e che se oggi fosse a capo del MSI, nei cui ranghi
oscuramente milita, sarebbe uno di quelli dinanzi ai quali mi sarebbe
estremamente difficile giustificare il fatto che sono ancora vivo e, di riffe o
di raffe, sulla breccia. Perchè di fronte a lui non potrei cavarmela con le
solite "benemerenze" che tanto bene mi servirono presso gli epuratori
democratici. Brocchi era stato squadrista, aveva fatto la marcia su Roma e nel
suo complesso temperamento era nello stesso tempo dannunziano e mazziniano. Ma
l'impegno che portava in quella che oggi si chiamerebbe "istanza sociale" del
Fascismo era totale, e cristallino il suo disinteresse. Era un giovane
profondamente serio, ben preparato e convinto di collaborare ad una rivoluzione
vera. Nella vita angusta di questa cittaduzza, dove il Fascismo non aveva ucciso
nessuna personalità, ma nemmeno era riuscito a suscitarne, Diano evadeva con la
collaborazione ad un periodico quindicinale fiorentino, che si chiamava
"l'Universale", di cui mi schiuse le porte. Piano piano la compagnia di Brocchi
mi contagiò. E quando, dalla cittaduzza, tornai a Firenze e andai a conoscere il
direttore dei periodici, Berto Ricci, col quale avevo scambiato alcune lettere,
anche per me il Fascismo comincio a contare qualcosa».
Ebbene Diano Brocchi, cosi descritto da Indro Montanelli, ebbe nel MSI come del
resto il poeta futurista Pattarozzi Gaetano, vita grama, stentata. Da essere
spesso, considerato un sopportato. Gli interventi di Brocchi in Comitato
Centrale, se non derisi, accolti sempre con irritazione, fastidio, vistosissimo
sulle facce di chi, allora, stava al vertice.
Ci furono lontananze sofferte. Ci furono abbandoni amarissimi, ma soprattutto
mancò il lucido, lungimirante disegno, secondo cui, senza una base culturale,
anche il disegno politico, a breve e a lungo termine, o prima o poi, perde di
significanza, si vanifica.
Poi nacque il partito. Dibattito, polemiche, divisioni. Ad alcuni andava
"stretto", cercarono subito altre vie. Non voglio un giudizio morale. Non sta a
noi darlo, né ci interessa. Dacci un giudizio politico. Perché subito questa
"repulsione"? Perchè gli uomini di cultura non resistevano più di qualche mese?
Perchè questa repulsione? Perchè gli uomini di cultura non resistevano più di un
mese? Perchè -aggiungo io- proprio nel momento in cui Indro Montanelli si
accinge con l'articolo sopra citato da leggere e da conservare nella sua
interezza ad elevare, parlando di Berto Ricci, il più bell'inno che sia mai
stato scritto sul Fascismo in questo dopoguerra, butta, lì, cattivo, questa
considerazione «E se l'eredità del fascismo, invece che agli attuali Capi del
MSI, che sono dei poveri diavoli, fosse toccata ad uomini di ingegno, a
quest'ora sarei, saremmo tutti sotto processo» …?
Montanelli si riferisce a coloro che, fascisti, sono poi passati dall'altra
parte e trova il modo di scrivere che il MSI e un partito senza ingegno.
Non ha torto del tutto. E perchè non ha torto del tutto? Perchè il MSI non
seppe, allora, costruire un habitat culturale idoneo per accogliere gli uomini
di ingegno. Non se ne curò. Pensò solo all'immediato, all'esistente. Puntò alla
retorica, che è cosa importante in certi momenti, ma diventa esiziale quando la
retorica diventa tutto. Quando non si fanno più analisi storico-politiche,
quando non si pensa più a darsi una strategia, un disegno ragionato, intorno al
quale gli uomini di ingegno avrebbero potuto "venire", "vivere", e "restarci".
Invece…
Tanti addii. Tanti abbandoni. Tanti filoni. C'è chi cercò altre strade
politiche, chi si dedicò alla professione, chi provò l'affermazione culturale.
Quali sono le esperienze che più ti hanno colpito?
Quella di Marco Tarchi, anche perchè mi resta difficile levarmi di dosso il
rimprovero di avere cooperato anch'io a quella "diaspora".
A provocare il caso fu un fatto banale, un pezzo satirico su "La voce della
fogna", periodico diretto da Marco Tarchi. Gli ambienti missini di vertice,
disabituati a parlarsi e a capirsi, sia politicamente che umanamente, presero
tremendamente sul serio, e come atto di tradimento, quelle parole, da cui il
procedimento disciplinare, per cui Marco Tarchi si era, da se stesso, messo
fuori della comunità missina. Questa fu la formula escogitata.
lo non so se il destino abbia voluto in questo come in tante altre occasioni
aiutarci. Perchè non c'è alcun dubbio Marco Tarchi, cacciato dai nostri
ambienti, e stato poi utilissimo allo stesso MSI, con l'apporto culturale che
gli ha scaricato addosso dall'ambiente che intorno a lui si creò, quello della
"Nuova destra".
Cosa posso dire? lo mi auguro, ora che il tono culturale e del dibattito
politico nel MSI e salito di tono e di densità, che Marco Tarchi possa, non dico
per carità, rientrare (non si chiede tanto), ma camminare insieme a noi,
dandoci, o meglio donandoci l'apporto del suo sapere e l'esperienza di
organizzatore di cultura, quale egli è. Perchè il tutto non resti solo sapere,
ma diventi vita, carne di una Comunità.
Fra gli addii come non ricordare dai più lontani, tutta la redazione di
"Architrave", Guido Scotto, Gianfranco Finaldi, Massimo Scaligero Luigi Gatti
Palamenghi Crispi, Fausto Gianfranceschi, Enrico De Boccard, come non ricordare,
fra i più vicini a noi, quelli di Solinas, Veneziani, Buscaroli, Monastra,
Cardini, Melchionda, Del Ninno, lo stesso Accame, lo stesso Giovanni Volpe? E
quanti ne dimentico!
«Cogito quindi penso», allora fuori dai piedi!
Fu la filosofia di allora. Che perdita!
Quando affronti la politica culturale del partito, ricordi sempre Armando
Plebe. Fu davvero accolto come un "messia"? E perchè potè affermare di aver
trovato da noi un deserto culturale?
«Oggi in Italia» è sempre Giampaolo Pansa che parla (intervista, "Le tentazioni
del prof. Plebe", "Il Corriere", 5.2.77), è più difficile dichiararsi
omosessuali o fascisti?» E Plebe «Credo che il dichiararsi fascisti resti sempre
la cosa più difficile di tutte! Quindi ammiro il coraggio di Pezzana (esponente
del "Fuori", l'organizzazione degli omosessuali - N.d.R.), ma penso che io ne ho
avuto più di lui. Si, dichiararsi omosessuale oggi resta sempre un atto di
coraggio, ma credo che il mio di allora …»
«Ma Lei è omosessuale?» Risposta «Beh…, direi, ecco, una domanda così alla TV
sarebbe da molti punti. Non voglio sciuparla in una intervista che parla di
altre cose. Varrebbe la pena di fare un intervista soltanto su questo. Mi
permetterà almeno che le mie carte me le gestisca un po' bene. Sciuparle tutte
in una volta… Vorrei che anche altri giornalisti possano ritornare in questa
stanza e ho bisogno di riservarmi qualche motivo perchè possano ritornare».
Quando sento parlare di "messia", e ricordo poi queste cose, ne resto stravolto.
La colpa non fu di Plebe, ripeto, nè delle sue natiche "nu poco chiaccherate"
(come dicono a Napoli), ma di chi o meglio delle condizioni che lo portarono in
mezzo a noi. Un'ultima riflessione sul caso: il non aver capito il '68 porta a
capire perchè il barone universitario Plebe veniva accolto nelle nostre fila
come un messia… Non si capì proprio nulla!
L'editoria di destra appare esaurita. Scomparso Volpe, "convertito"
Ciarrapico, piegate le piccole case editrici, tutto sembra lentamente spegnersi.
Di chi la responsabilità? E cosa si può fare per invertire la tendenza?
Non so perchè quando torna il discorso sull'Editoria di destra due personaggi mi
balzano davanti: Giovanni Volpe, dimenticato, e con lui la sua opera, e Enzo
Cipriano, con la sua "Libreria Europa", un punto di riferimento che non ho paura
a definire "eroico".
Di chi la responsabilità? Di tutti noi, anche del sottoscritto che per un certo
periodo, ha diretto il settore cultura del partito.
Come invertire la tendenza? Considerare i libri, la cultura l'ingegno la base di
tutto, in primis della politica.
La diaspora -politica ed intellettuale- non ha avuto solo un aspetto
negativo. Ha anche vivificato il mondo che ci circonda e nel quale, volenti o
nolenti, viviamo ed agiamo. Come è possibile raccogliere i frutti di ciò che
-nonostante tutto, direi quasi nonostante noi- si è seminato in questi decenni?
Mi permetto di formulare un idea a "Proposta": farsi promotrice, una rivista che
ha tanto contribuito ad elevare il tono del di battito in mezzo a noi ed a
sottolineare il valore dei libri, di un grande "Convegno della diaspora", un
grande incontro di idee, di esperienze, un grande dibattito, un grande
confronto, da cui ricavare insegnamenti, da servire come collettore di tutto ciò
che è fermentato intorno a noi, per noi, malgrado noi. Non lo si dimentichi mai:
i fattori del cambiamento -piaccia o no- sono gli intellettuali.
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