da "Rinascita",
12 dicembre 2004
Mussolini fu completamente estraneo a quel delitto
che cambiò comunque il corso della storia
Il delitto Matteotti e l'assassinio di Canalini
Bruno Rassu
All'epoca del delitto Matteotti fra i tanti
accusatori di Mussolini, vi erano Turati, Amendola, Salandra, grande accusatore
fu anche Carlo Silvestri, allora a capo della redazione romana del "Corriere
della Sera".
Silvestri, giornalista e uomo di pura fede socialista, amico fraterno di Filippo
Turati, indicò Mussolini come mandante di quel delitto avvenuto a Roma il 10
giugno 1924.
Tutta la campagna "pro Aventino", che sostenne la rinuncia di quasi tutta
l'opposizione al governo Mussolini ai lavori della Camera (esclusi i 19 deputati
comunisti che continuarono a frequentare il Parlamento come nulla fosse
accaduto), fu impostata sulla documentata denuncia del giornalista milanese. Il
comitato delle opposizioni aventiniane fu presieduto dal deputato trentino on.
Alcide De Gasperi e volle come segretario proprio Carlo Silvestri dimostrando
così l'importanza anche politica dell'accusatore di Mussolini. La battaglia
giornalistica e l'incarico politico dovevano costare a Silvestri il sacrificio
di una decina di anni di confino nelle isole di Ustica, Lipari e Ponza. Fu
proprio in quelle isole che il socialista Silvestri continuò a documentarsi
sulla morte di Matteotti ascoltando vari personaggi politici anche loro
confinati dal regime. Le prove raccolte contro Mussolini non ebbero quei
riscontri che si attendeva e, in una coscienza libera e pura come la sua, si
insinuarono perplessità e dubbi.
Lo dichiara chiaramente nel libro da lui scritto nel 1947 "Matteotti-Mussolini e
il dramma italiano, il delitto che ha mutato il corso della storia" C.
Silvestri, Ruffolo editore.
Proprio in quel libro, Silvestri ricorda che in un incontro con Carlo Rosselli,
come lui confinato, esprimendo i dubbi sulle reali responsabilità di Mussolini
fu redarguito a mantenere l'impegno preso e a non comunicare a nessuno le sue
perplessità. Silvestri mantenne la parola e per tutto il periodo del ventennio
non parlò a nessuno di questi dubbi rimanendo estraneo a qualsiasi cedimento al
regime fascista.
Fu solo dopo l'otto settembre del 1943, nata la Repubblica Sociale, che Carlo
Silvestri riuscì ad incontrare Mussolini con l'appoggio del ministro della
Giustizia Pisenti e di Carlo Bigini, ministro della Cultura, entrambi definiti
«socialisti mussoliniani».
Anche Petacco nel libro "Nicola Bombacci, un comunista in camicia nera" lo
conferma.
In quell'occasione Silvestri si adoperò a salvare molti antifascisti
(lo afferma anche Giuseppe Niccolai in
"Rosso e Nero" pag. 156, edito nel 1980) tra i quali Lombardi, Parri ed
altri, con la sua "Croce rossa Silvestri" e con il sostegno del capo della RSI.
Il primo incontro avvenne a Gargnano il 2 dicembre 1943. Erano presenti il
prefetto Gatti e Bombacci (entrambi i loro cadaveri saranno esposti a piazzale
Loreto), uomini fedeli a Mussolini ed intenzionati a portare avanti un sincero
tentativo del Duce di trovare punti di accordo con la parte del «mondo»
socialista che era stato anche suo. A tal fine vollero affermare (con un
voluminoso "Dossier") l'estraneità al delitto Matteotti. Il delitto fu compiuto
da Dumini, Volpi, Viola, Poveruomo, Malacria, sul Lungo Tevere Arnaldo da
Brescia dove il Matteotti fu rapito (si mormorò allora di responsabilità di
Marinelli, segretario amministrativo a Roma del partito fascista, e della
benevolenza del sottosegretario agli Interni Finzi; lo stesso fu dimissionato,
sembra, dallo stesso Mussolini, per il mormorio di accuse mai provate. Finzi
morirà poi nella tremenda carneficina delle Fosse Ardeatine, giunta come
rappresaglia al vergognoso ed inutile attentato di via Rasella).
Questi uomini tutti arditi nella 1ª guerra mondiale, ritirarono un auto in una
autorimessa dando la propria reale identità e attesero Matteotti con
l'intenzione di «dargli una lezione». Questi però si difese coraggiosamente e,
dopo una violenta colluttazione, fu colpito a morte con una vecchia lima di
ferro. Il corpo del deputato socialista fu poi sepolto nel bosco della
Quartarella in maniera superficiale, ad ulteriore prova della rozzezza e
dell'improvvisazione di quello scellerato delitto.
Non poteva essere considerato un assassinio di Stato come scrive anche Renzo De
Felice nel libro "Mussolini il fascista 1921-1925", Einaudi, Torino.
Significativa ed importante la dichiarazione di Mussolini nell'occasione
dell'incontro del 2/12/1943 riportata nel libro di Silvestri: «Alle origini
dell'assassinio di Matteotti vi fu un putrido ambiente di finanza equivoca di
capitalismo corrotto e corruttore privò di ogni scrupolo e di torbido affarismo
legato anche ad interessi... reali. L'idea di catturare Matteotti sorse anche in
quel becero ambiente della destra, ogni volta che riprendeva a circolare la voce
di una possibile collaborazione tra me e i socialisti si manifestava una
reazione che chiamerei feroce. Il discorso del 7 giugno 1924 -prosegue
Mussolini- fece temere che io mi fossi orientato nel senso di offrire ad alcuni
socialisti la partecipazione al Ministero».
Ed infatti Mussolini era chiaramente intenzionato ad «aprire» a sinistra il suo
governo, lo conferma ancora una volta Carlo Silvestri nel suo libro del 1947,
riportando anche i nomi dei possibili ministri socialisti confidatogli dal Duce:
D'Aragona, Baldesi, Caldara (ex sindaco di Milano), Rigola, Buozzi, sindacalisti
di grande prestigio e grandi nomi del mondo della sinistra di allora.
I due processi contro i responsabili del delitto Matteotti, celebrati nel 1947,
riconobbero la totale estraneità di Mussolini quale, mandante (devo anche
ricordare che la vedova Matteotti, Veglia Ruffo, malgrado fosse osteggiata da
Turati, volle incontrare Mussolini in quel tragico 1924, dimostrando così di
credere all'innocenza del Capo del Governo).
Per le sue coraggiose deposizioni processuali Silvestri fu insultato nel
dopoguerra e accusato, in puro stile stalinista, di ogni nefandezza: famoso fu
il duro attacco di Paietta. Silvestri in quell'occasione dichiarò: «io mi rendo
conto che se confermassi la mia vecchia deposizione il caso Matteotti sarebbe
facilmente risolto. I giornali del conformismo antifascista mi farebbero fare un
figurone ...»
Ma Carlo Silvestri era un uomo vero e il suo passato lo confermava. La verità
sul delitto Matteotti era indicato in quel "dossier" che Nicola Bombacci aveva
quando fu fucilato (sarebbe forse ora che i DS aprissero gli archivi del PCI per
contribuire a svelare uno di quei segreti di quel tragico periodo ...).
Carlo Silvestri fu ignorato e non creduto: Mussolini doveva essere demonizzato.
Silvestri, qualche anno dopo i due processi del dopoguerra, con le sue verità e
il suo dolore di persona onesta, morirà di crepacuore.
Non si può però dimenticare che in quell'anno 1924 fu ucciso anche l'on. Armando
Casalini per vendicare Matteotti. Casalini era stato nominato, proprio in quel
periodo, vicesegretario Generale delle Corporazioni, non era uno sconosciuto
deputato fascista come lo definirono Amendola e altri personaggi antifascisti.
L'assassinio di Casalini avvenne per mano di un tale Giovanni Corvi, in tram a
Roma con tre colpi di rivoltella, due alla testa. Il deputato fascista era
accompagnato dalla figlia Lidia, ancora bambina, che miracolosamente non subì
ferite e morte.
Mettere sullo stesso piano i due delitti fu impossibile, Giolitti, Salandra,
Amendola e i tanti antifascisti non pronunciarono mai una frase di esecrazione
per l'assassinio di Casalini.
Casalini nacque a Forlì nel 1883, proveniente da idee mazziniane e socialiste,
già fraterno amico di Nenni, nel 1922 fonda l'Unione Mazziniana
filo-mussoliniana e viene eletto deputato nel «listone» fascista; era conosciuto
e ricordato in Romagna come «il mite ed onesto deputato».
Casalini fu assassinato il 12 settembre 1924. Nacque in quella tragica
circostanza una canzonaccia piena di odio e di faziosità per esaltare
l'uccisione del deputato fascista da parte antifascista e comunista...
A conferma di ciò il materiale della mostra fotografico-documentaria del 1979 a
Forlì, in palazzo Albertini dal titolo "I comunisti in Romagna" e la citazione
del compianto Daniele Gaudenzi nel suo libro "Album di famiglia", edizioni
Filograf, Forlì, giugno 1991.
Ecco parte del testo della canzonaccia:
«Viva quel comunista che la fece così bella impugnò la rivoltella contro
Casalini... Applausi noi faremo a quell'eroe di comunista che ci levò dal mondo
l'infamia di un fascista»…
Bruno Rassu
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