da "Proposta" n° 10, Anno III -
Gennaio-Febbraio 1988
La fine dell'antifascismo
Vestiamoci in borghese
Beppe Niccolai
La gloria e l'attualità di Mussolini non risiedono nei simboli
magici del fascismo, risiedono nella necessità pratica in cui tutti, in testa
gli antifascisti, siamo costretti: quella di dover fare, per ritrovare un
orientamento nella nostra vita, una fredda analisi dei suoi atti politici.
C'è questa tesi sostenuta dallo storico Giordano Bruno Guerri, secondo la quale
Renzo De Felice se ha ragione sul piano teorico, ha torto su quello pratico in
quanto il MSI abolite le norme penali sulla XII disposizione transitoria e
finale della Costituzione potrebbe ripristinare l'uso della camicia nera, di
Giovinezza, del cuore oltre l'ostacolo, dell'eja eja alala, del saluto romano
cioè quei trucchi di eccitazione politica collettiva sperimentati con successo
da Mussolini.
Si tratterebbe prosegue Giordano Bruno Guerri ("Epoca",10-1-88), «di armi
ipnotiche fascinose che i vari paninari, rocchettari, madonnari, punkettari,
falsi disoccupati, cioè tutto ciò che c'è di più fragile nella società,
metterebbero in atto (magari cantando con lacrime sincere "Giovinezza") ma che
avrebbero nella società effetti devastanti perchè il fascismo vinse -ricorda
Giordano Bruno Guerri- anche grazie all'immensa forza di traino di questi
simboli. Non si realizza -conclude- la grande Riforma trovandoci fra i piedi i
maggiori simboli di seduzione di massa che il nostro secolo ha saputo
esprimere».
Questa la tesi. Non concordo. Anzi dico di più. Se l'antifascismo che è stato
tutto fuorché rivoluzione nel 1945, a guerra finita, avesse detto «ci sono
italiani che vogliono ancora vestirsi da balilla, da avanguardisti, da fascisti,
vogliono cantare "Giovinezza", vogliono gridare "alala", nessuna preoccupazione,
fate pure, vestitevi come volete, cantate quello che più vi piace perchè nessuno
lo vieta, il fascismo sarebbe stato ridicolizzato come rischiò di essere quando
nella primavera del 1952 (36 anni fa!) ad Arcinazzo vicino Roma, alcuni
"nostalgici", andando a trovare il Maresciallo Graziani, si portarono nella
sporta, insieme alla merendina la vecchia divisa fascista e indossandola,
intesero trasferire per un paio d'ore l'impero sotto i pergolati di un poderetto
di campagna.
Alberto Giovannini (caro Alberto quanto sei ingiustamente dimenticato!), in una
celeberrima lettera della domenica ("Il Tempo", giugno ì 952), commentando
l'episodio, tra l'altro, scrisse
«Quei simboli che gli eroi di Arcinazzo si sono portati dietro, per poter
inscenare una grottesca parata, rappresentano qualcosa. Sono il simbolo della
mia giovinezza perduta, il ricordo della mia fede infranta, ma non per questo
ingrata al mio cuore inaridito. Per essi avrei potuto morire, per essi tanti
amici si sono eroicamente immolati. Queste mascherate non sono solo un offesa,
come il senatore Terracini sostiene, allo stato di cose esistente, esse
rappresentano un oltraggio ad un periodo di storia italiana. Già perchè i
manifestanti di Arcinazzo, oltre alla merenda e al fez, si sono portati anche la
macchina da presa: il che ha permesso ai più previdenti di cedere la "pellicola
sensazionale" agli americani, i quali potranno constatare a che cosa sia ridotto
quel Fascismo che pure un giorno li interessò e li scosse. Il che li porterà a
meditare che se il Fascismo era questo di Arcinazzo, il popolo italiano deve
essere veramente un popolo di cretini se per 20 anni ha soggiaciuto a simili
pagliacciate. Io ricordo lo sguardo triste con cui l'interprete di "Anni
difficili", quell'ometto preso nell'ingranaggio delle cose più grandi di lui,
osservava i suoi concittadini vendere la camicia nera ai vincitori negri. E fu
proprio quello sguardo a convincermi dell'umanità della pellicola. Perciò oggi
questi sciagurati che mettendo ulteriormente nei guai un vecchio Soldato, girano
una pellicola della loro manifestazione per rivendersela, mi fanno l'impressione
che all'eroe di "Anni difficili" facevano i venditori di camicie nere».
Così Alberto Giovannini 36 anni fa. No, Giordano Bruno Guerri ha torto: quei
simboli non avrebbero quella immensa forza di traino di cui paventa ancora lo
storico, allievo di De Felice. Avrebbero ieri e ridicolizzerebbero oggi, se
risuscitati, il fascismo, che è ben altra cosa.
A vietare quella simbologia quaranta anni fa, fu la Legge numero 545 del
20/6/52: norme transitorie XII disposizione della Costituzione che vieta la
ricostituzione del partito fascista. Quella legge -se ci pensate bene- ha avuto
una sua logica storica o morale molto più sottile, molto meno perfida di quella
che apparse allora e appare oggi, quando pose limiti legali, polizieschi e
carcerari alla sentimentale esuberanza dei fedeli nel vietare loro certe
celebrazioni.
È la logica della storia. Che si è servita anche dello sbirro per stabilire una
pausa, quando la pausa e necessaria. È la logica della vita che si e servita
anche dell'idiozia come di un freno per impedire di celebrare Mussolini prima di
averlo capito fino in fondo.
Ci sono voluti 40 anni per capire Mussolini. Infatti la gloria e l'attualità di
Mussolini non risiedono nei simboli magici del fascismo, risiedono nella
necessità pratica in cui tutti, in testa gli antifascisti, siamo costretti:
quella di dover fare, per ritrovare un orientamento nella nostra vita, una
fredda analisi dei suoi atti politici. Qui sta la grandezza di Mussolini.
Fascismo, antifascismo: la ricucitura storica dell'Italia lacerata dal Secolo
delle Rivoluzioni passa attraverso Mussolini. Piaccia o no, questo è il senso
profondo del dibattito aperto dallo storico Renzo De Felice subito dopo il XV
Congresso nazionale del MSI. Non è polemica retrospettiva sull'ieri; è dibattito
vivo sull'oggi. Non e una discussione teorica, ha conseguenze pratiche
sull'immediato.
Il dibattito culturale e politico non si arresta, o va avanti, cancellando
Mussolini, o paventando che la simbologia del fascismo possa essere rimessa in
circolazione. Il dibattito culturale e politico cammina con i tempi dell'Italia
del 2000 se, avendo capito Mussolini fino in fondo, nei suoi aspetti positivi e
negativi, si riesce, tutti insieme, comunque la si pensi, a mettere su un Italia
che, al di la della destra e della sinistra, sappia affrontare le sfide della
modernità.
Mussolini e stato molto amato («resto dell'avviso che Mussolini per larghezza di
consensi, per profondità di affetti, sia stato amato come non furono nè
Garibaldi nè Mazzini», Carlo Arturo Jemolo, "Anni di prova", 1969, pagina 136),
Mussolini e stato molto odiato, ma non è stato indifferente ad alcuno. Qui sta
la sua grandezza.
Capirlo per andare oltre. Capire che cosa è stato nella vita degli Italiani, in
quelli che lo hanno amato e in quelli che lo hanno odiato. Perchè vinse, perchè
cadde. Altrimenti c'è il sussulto, l'imbambolamento, la confusione dei concetti,
e come conseguenza quel ritardo culturale che, sul piano politico, vede l'Italia
politica ferma «alla carrozza delI'800». Non si riesce ad andare avanti, a
costruire politica.
I sussulti Sigonella, la dignità nazionale. Spunta Lui, e sulla prima pagina de
"l'Unita".
Il dibattito sull'economia. Lo scontro fra pubblico e privato. Lo spettro della
grande crisi del 1929. L'intervento dello Stato nell'economia. II salvataggio di
Imprese e di Banche.
Chi spunta? Lui, Mussolini. E c'è, al riguardo l'apologia dell'IRI, della Legge
bancaria, di Napoleone Colajanni, senatore del PCI.
Le Istituzioni impantanate, impotenti. La partitocrazia tiranno senza volto. A
detta di tutti, dal PCI alla DC. Occorre modificare la Costituzione. Ma come?
Democrazia partitica o plebiscitaria? Democrazia parlamentare o democrazia
partecipativa?
Gli immobilisti e i movimentisti, sotto l'ombra di Lui, Mussolini. E se la
Costituzione fallita si servì dei materiali del 1945, ora, per rinnovarla quei
materiali vanno rimossi, ed i nuovi vanno reperiti «al di la della destra e
della sinistra». C'è da fondare il nuovo. E se ieri fu possibile discriminare il
MSI, oggi non si può.
Questo il grande dibattito in corso che -non lo si dimentichi- ha inizio dal
Congresso del MSI di Sorrento. Perchè, in quella sede, si e fatto «scandalo»
parlando di fascismo, quello degli "alala", del fez e del manganello?
No, perchè quel Congresso si è soprattutto interrogato sul Mussolini della prima
maniera: quello vestito in borghese con quel suo feltraccio in testa, il
paltoncino proletario dal bavero rialzato. E si e chiesto: è superata la
scissione socialista del novembre1914?
Dopo quel Congresso intelligente, vivo, caldo, umanissimo in tutte le sue
sfumature (in parte, lasciatemelo dire, costruito cosi dalla presenza di una
Rivista 'Proposta", aperta a tutto il partito, aperta alla idee), ecco il
grande, arioso dibattito promosso da Renzo De Felice. Dal "Corriere della Sera"
ai Quotidiani, alla TV, nella società.
Occorre non sciuparlo, ricompattando, con le solite dichiarazioni che sanno di
una inguaribile "faciloneria", tanto da sfiorare la irresponsabilità, il fronte
degli immobilisti, quello che vorrebbe tenere l'Italia inchiodata ai rancori e
agli odi di ieri.
L'Italia e l'Italietta sono di nuovo di fronte. Fuori o dentro la storia. Le
vecchie contrapposizioni non hanno più senso. Servono solo alla partitocrazia.
Tradizione e Popolo, ecco l'incontro scelta e sfida del domani. Senza popolo non
si fa la patria.
A Sorrento si è parlato di questo, con inusitato calore, con inusitata passione,
con intelligenza creatrice. E il tardo, pigro immobile mondo politico italiano
ha dovuto prenderne atto. Ha sussultato. Torna la vita? Dipende anche, direi
sopratutto, dal MSI. Guai ai trionfalismi, alla retorica carica solo di suoni,
alle parole rotonde, suadenti, ma che non costruiscono politica.
Costruire politica, questo e il compito che aspetta il MSI. Per l'Italia. Di
tutti.
Giuseppe Niccolai
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