FRAMMENTI

 

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L'intervento

Su economia e sovranità, ripassiamo gli insegnamenti di Beppe Niccolai

 


Giovanni Fonghini 
(
31 gennaio 2018)   

È folle tornare a discutere sul primato della politica sull’economia e sulla sovranità nazionale? Forse sì, ma talvolta i cambiamenti sono iniziati con il ragionare proprio intorno a un’idea che ai più sembrava irrealizzabile. Lo spunto di questi ragionamenti sono le recenti intromissioni di Moscovici prima e Lagarde poi sulle prossime elezioni italiane, alle quali i media hanno dato ampio risalto.
Intromissioni che indicano il misero stato nel quale versa la nostra sovranità nazionale. È sotto gli occhi di tutti che la politica è subalterna all’economia, anzi, a voler essere precisi, alla finanza. Quasi 30 anni fa, quando l’economa produttiva non aveva ancora del tutto lasciato il passo alla finanza speculativa, Beppe Niccolai, uomo politico missino tra i più lungimiranti non solo del suo schieramento scriveva: «… Producono solo per pagare gli interessi sui debiti. La sofferta denuncia di Ezra Pound sull’usura diventa attuale. Intere nazioni sono nelle mani di poche banche private, il fondo monetario internazionale fissa le regole alle quali debbono conformarsi i paesi che vogliono ancora usufruire dei crediti internazionali: il potere passa ai consigli d’amministrazione, dalla politica alla finanza…» (Alessandro Amorese, Beppe Niccolai Il missino e l’eretico, Eclettica Edizioni, 2010, pagina 191).
Beppe Niccolai è morto nel 1989 e il quadro che descriveva sembra scritto oggi. I conti devono quadrare, viene detto. È giusto. Tanto è vero che l’Italia viene spesso richiamata ai suoi doveri, le viene ricordato cosa deve fare dalla Commissione Europea, dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Il nome dato alle tre istituzioni era “troika”, oggi non ricordo più come si chiami. Quel che conta, si chiami troika o vattela-a-pesca, è che ci siamo fatti togliere le chiavi di casa nostra. La politica italiana ha accettato e continua ad accettare gli ordini dei palazzi della burocrazia europea senza battere ciglio e senza curarsi che i compiti per casa loro assegnati siano nell’interesse della comunità nazionale. Fu così anche con l’accettazione del concambio euro-lira, 1 euro equivalente a 1936,27 lire italiane. Mi piacerebbe che la politica italiana ragionasse seriamente, prima delle elezioni del 4 marzo, su questi temi con l’elaborazione di proposte concrete. Tutto si può cambiare se lo si vuole, cercando di realizzare l’obiettivo di disegnare un’Italia diversa (in un’Europa diversa).

Giovanni Fonghini  (31 gennaio 2018)