"Secolo d'Italia", 7 ottobre 1979
XII° Congresso MSI
(…)
intervento di Giuseppe Niccolai
L'oratore ha compiuto una vasta analisi della situazione italiana. Ha
sottolineato che questi temi vanno affrontati con razionalità e non in termini
di terrorismo ideologico. I mali dell'Italia sono profondi; sono politici e
morali. Da una parte c'è una DC che da 30 anni governa sempre con l'ausilio del
PCI, una DC che ha smantellato lo stato ereditato dal fascismo; dall'altro c'è
un popolo che sembra aver smarrito la sua memoria storica, una nazione senza più
anima.
Il «vitello d'oro» del benessere, del consumismo sfrenato sembra aver accecato
tutti. È su questa Italia che noi dobbiamo operare e dalla discussione deve
emergere una analisi capace di fornirci delle terapie tali da operare
politicamente. Ci possono fornire analisi valide il «blocco gramsciano», la
lotta di classe, il blocco operai del nord contadini del sud, la tesi di
Togliatti sul ceto medio? Forse, ma sono analisi valide? Chiediamoci: c'è unità
di classe fra occupati e disoccupati? Fra lavoratori del triangolo industriale
Genova, Torino, Milano ed il Mezzogiorno? Fra dipendenti dello stato e del
parastato? La risposta è negativa, la situazione sociale italiana è fortemente
disgregata. Bisogna intraprendere iniziative per dirigere la protesta. Benissimo
-ha esclamato l'oratore- ma come la si aggrega permanentemente senza che sfoci
in movimenti sanfedisti di una borghesia parassitaria che dopo la fiammata torna
a leccare i piedi del regime.
È in crisi il modello di sviluppo dato all'Italia dal dopoguerra ad oggi. Ma
perché questo regime continua a reggere? Perchè è stato Moro a creargli delle
basi, indicando nel «benessere» il pilastro. Ma è stato proprio il regime, non
va dimenticato, che alla fine ha sacrificato il suo artefice. E fu in crisi il
modello di stato all'insegna del moderatismo.
É proprio un regime all'insegna del moderatismo, che uccide i bambini di Napoli,
che è inefficiente nelle sue strutture politico-amministrative, massacra il
territorio, avvelena l'aria,
i fiumi, il mare. Per questo gli italiani nulla hanno da temere da quella che
noi definiamo la nostra alternativa: è salvezza, è libertà. C'è intorno a noi un
«disordine costituito», c'è senso di disperazione, di precarietà, dramma,
angoscia. Da dove vengono? Non tanto e non solo dal comunismo; ma il dramma è in
atto perché c'è il disfacimento dei cosiddetti partiti democratici, che per
sopravvivere a se stessi hanno chiamato il PCI a puntello.
Da dove vengono i tanti pericoli che si frappongono sul cammino dei giovani: la
droga, il disfattismo, il collasso morale? Vengono dai campus americani perché è
ancora il modello di sviluppo scelto nel dopoguerra che ci porta queste
conseguenze.
Proseguendo nella sua analisi l'oratore ha parlato del terrorismo, funzionale
-ha detto- alla restaurazione centrista operata dalla DC anche con l'ausilio del
PCI.
La conclusione è una: si salva la libertà sconfiggendo il sistema. Abbiamo un
sistema che ci sta portando tutti a fondo e non possiamo salvare la libertà e la
zavorra che ci porta a fondo. Ma dobbiamo rendere chiaro quale è il nostro
modello, la nostra immagine. Dobbiamo renderlo chiaro per non creare equivoci.
Dobbiamo riprendere la missione popolare e nazionale, riassorbire l'importante
fenomeno di dissidenza popolare, dobbiamo dare chiara voce all'Italia pulita che
lavora, che ha l'orgoglio delle cose che fa, che difende la propria storia, i
propri connotati.
(…)
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