"Secolo d'Italia", 29 giugno 1977
Il "Corriere" è diventato
organo ausiliare del PCI
Beppe Niccolai
Un regime si giudica da come informa la pubblica opinione. Se l'informazione è
corretta (la notizia è sacra, il commento è libero) quel regime è libero; se non
Io è, quel regime è tutto fuorché uno Stato democratico.
Il titolo di questo articolo «il "Corriere della Sera", organo del PCI» può
apparire fuori misura, paradossale, addirittura provocatorio. Non è cosi. C'è
solo da chiarire e da dimostrare che cosa significhi per noi l'espressione
«organo del PCI». Vogliamo intendere con ciò che il "Corriere della Sera" si è
fatto portatore e garante in Italia, non tanto del compromesso storico, quanto
dall'efficienza, della moralità, della serietà, della forza e quindi della
democraticità del PCI.
L'impaginazione, l'uso sapiente dei titoli, la selezione delle notizie, la
denuncia corrosiva verso gli altri (compreso il PSI), insomma il tono generale
di tutto il giornale, anche nelle più minute note di cronaca, è un inno al PCI.
E ciò bene incartato in una apparente obiettività che non esiste, se non come
specchietto per le allodole.
Un esempio? A migliaia, ma prendiamone uno recentissimo. In Calabria il PCI è
stato pescato con le mani nel sacco in un grave fatto di malia. Due carabinieri
assassinati a Taurianova, nell'agrumeto di Razzà, dove un «summit della mafia»
era stato convocato con un appetitoso ordine del giorno: i 36 miliardi di
appalti decisi per il centro siderurgico di Gioia Tauro. Si trattava della
spartizione del bottino. Ebbene fra gli... invitati Domenico D'Agostino,
ragioniere trentenne. Sindaco di Canolo (Reggio Calabria), eletto nelle liste
del PCI.
Una vicenda da dimenticare
C'è qualcosa di più. Domenico D'Agostino è fratello di Antonio D'Agostino detto
«Totò» che, prima di essere assassinato a Roma il 3 novembre 1976. era
considerato l'ambasciatore della malavita calabrese nell'organizzazione dei
sequestri a Roma e a Milano.
Non basta. Totò d'Agostino (vedi il servizio su "Giorni-Vie nuove", il rotocalco
del 4 maggio '77), contrariamente a quanto ritiene il ministro Cossiga,
passacarte della Magistratura fiorentina con i suoi dosati e programmati viaggi
in Spagna, è dato come il mandante dell'assassinio del giudice Occorsio, di cui
era prima informatore e amico, e poi implacabile giustiziere da quando Occorsio
comprese chi fosse il D'Agostino, cioè l'ambasciatore degli «omini di panza».
Ebbene, il "Corriere della Sera" la vicenda della famiglia D'Agostino, affiliata
al PCI e alla mafia, la diluisce in poche note di cronaca guardandosi bene dal
trarre dall'episodio la doverosa «morale» (cosa sarebbe accaduto se quel Sindaco
fosse stato missino?): non manda sul posto nessun inviato speciale (tipo Madeo),
e lascia che il tutto si perda nella memoria del lettore come uno dei tanti
fatti di mafia.
E poi? E poi, passato un mese, impallidito il ricordo dell'assassinio di Razzà,
il 14 giugno 1977 il "Corrierone" è sul posto. Reggio Calabria: inviato speciale
Alfonso Madeo. Sei colonne di piombo in prima pagina. Titolo: "Il sindacato apre
una vertenza contro la mafia". Notizia banale, episodio di nessun conto, ma
sufficiente per far scrivere al "Corriere della Sera" che «dopo il voto del 20
giugno» le cose in Calabria stanno cambiando grazie alla sfida che PCI e CGIL
hanno lanciato alla mafia. Dell'episodio sanguinoso di Taurianova nemmeno un
rigo.
Così il "Corriere della Sera" informa (e forma) la pubblica opinione italiana.
Sì è scritto: «Corriere della Sera, organo del PCI». Basta sfogliarlo. Spesso
diventa insultante per quanto è servizievole verso il partito di Berlinguer.
L'attività del PCI a livello legislativo è seguita con una pignoleria scostante.
I progetti di legge del PCI, anche quelli più marginali e banali nel loro
contenuto, reclamizzati al massimo. Registrata, con soddisfazione (e ampi
titoli) l'attività di tutte le organizzazioni parallele del PCI: sindacato,
cooperative, Unione Donne Italiane, l'ARCI. Amendola, Trombadori, Napolitano,
Natta, D'Alema: come di casa. Autentiche nullità, come il fratello
dell'onorevole Enrico Berlinguer, trasferito in una cattedra romana con un
provvedimento «baronale», portate in palmo di mano. Perfino nella notizia di
cronaca si trova ti modo di esaltare il PCI. Se la notizia è sfavorevole
capovolgendola, se è vantaggiosa amplificandola. Il PCI sempre bravo, sempre
generoso, sempre puntuale.
Ma al PCI il "Corriere della Sera" rende servizi più sostanziosi e su un terreno
molto delicato e sul quale intenderebbe, dall'alto della sua spocchiosa
prosopopea, spartire il male e il bene, i galantuomini dai delinquenti.
Intendiamo parlare dell'ordine pubblico.
Pochi l'avranno notato, ma da quando in modo prepotente il terrorismo si è
dipinto di «rosso» in un crescendo di sangue e si è potuto pensare che la pur
tanto distratta e male informata opinione pubblica potesse, in qualche modo,
ritenere responsabile il PCI, almeno come mandante morale di quanto accadeva (e
accade), il "Corriere della Sera", in perfetta regia con il ministro Cossiga. ha
via via montato una manovra deviante. A tutto vantaggio del PCI. del suo
«perbenismo», ma anche delle stesse Brigate Rosse. Prima, con l'amplificare al
massimo la vicenda (risibile) del cosiddetto «golpe Borghese» al vaglio della
magistratura; secondo con il guardarsi bene dal trarre le doverose conseguenze
sul «comportamento» del SID, per cui il... grande foglio della borghesia
lombarda, così pieno di immaginazione nelle vicende che si tingono di nero,
resta fioco e non trova modo di scrivere sia pur timidamente, quello che anche i
ragazzini hanno capito, e cioè che il SID quello che ha fatto Io ha fatto perché
teleguidato dal potere politico di vertice: terzo con il mettere in onda il
tutto alla vigilia di quel processo Curcio che, sempre sul foglio lombardo, si
stempera in analisi sociologiche; quarto con il pigiare (gradualmente)
l'acceleratore dell'insinuazione, prendendo a pretesto fatti marginali o
addirittura inesistenti, per cui l'eversione da rossa si tingerebbe anche di
nero. Mascalzonate, mascalzonate che vanno a tutto vantaggio del PCI (e delle
Brigate rosse).
Questa è la... religione della informazione che ispirerebbe il "Corriere della
Sera"!.
Per ultimo un episodio. Strage di Brescia. Dopo due anni e undici mesi di
indagini l'inchiesta è arrivata in porto: quattordici rinvìi a giudizio per
strage. Si fa il processo.
Di che si tratta?
È stato pubblicato un libro dal titolo "Strage a Brescia, potere a Roma».
L'autore è un giornalista professionista iscritto al PCI, Giorgio Santerini.
Ecco i maggiori protagonisti della strage descritti nel libro citato:
Ermanno Buzzi, 35 anni. Il padre Danilo ha ricoperto cariche sindacali ed è
stato iscritto al PCI. Il Buzzi risulta pregiudicato, seminfermo di mente,
mitomane, omosessuale, pluricondannato per reati comuni, confidente dei
carabinieri. Scrive il Santerini: «politicamente è tutto: prima fascista, poi
comunista, con tanto di falce e martello tatuati.
Angolino Papa. 18 anni, ladro e ricettatore, seminfermo di mente, omosessuale.
Ugo Bonatti. 22 anni, nullafacente, congedato dal servizio militare per turbe
nervose, omosessuale.
Raffaele Pupa. 27 anni, fratello di Angiolino. ladro e ricettatore
Un'istruttoria «fasulla»
Secondo la magistratura l'attentato (otto morti e 103 feriti) è preordinato e
attuato da questa banda. Non altro. Il libro del Santerini afferma che
l'istruttoria della magistratura è fasulla, fa acqua da tutte le parti e non
persegue i veri colpevoli. Colpevoli che sempre per il Canterini, vanno
ricercati nel MAR dell'ex-partigiano Fumagalli, autore, state bene a sentire,
chi scrive è il Santerini. del «tentato golpe bianco», grazie alla complicità
dell'Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni, del SID e perfino di
un ministro: Paolo Emilio Taviani. partigiano combattente. E il libro "Strage a
Brescia, potere a Roma" offre, da pagina 127 a pagina 238 sotto il titolo
"Inchiesta sul golpe bianco", uno spaccato interessante e degno di attenzione.
Bene, ma c'è un particolare ignoto ai più. È che Giorgio Santerini. giornalista
del "Corriere della Sera", a proposito della strage di Brescia che segue fin
dagli inizi, si guarda bene dal dire sul foglio milanese quello che ha scritto
sul libro. La strage di Brescia, il MAR di Fumagalli non vengono inquadrati e
analizzati nel «tentato golpe bianco». No, tutto resta nero. Perché ciò fa
comodo al PCI.
Cosi si informa in Italia. Cosi il "Corriere della Sera", del resto non nuovo
alle veline, al vassallaggio ai potenti, dal trasformarsi in spione del regime.
Come un'altra vicenda, quella di Giorgio Zicari ampiamente dimostrò.
Giuseppe Niccolai
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