"Secolo d'Italia", 26
maggio
1977
La corsa a sinistra
Beppe Niccolai
Se si vuole capire qualcosa di quello che ci sta capitando, occorre risalire al
luglio 1960. Era in piedi il governo Tambroni, retto dagli «sconsacrati» voti
missini.
L'attività di quel governo con che cosa si era concretizzata fino al luglio
1960? Aveva diminuito il prezzo della benzina, della carne, dello zucchero.
Aveva abolito alcune imposte, quali quella sul bestiame. In breve, socialmente,
difendeva il potere di acquisto degli stipendi e dei salari degli Italiani.
Nel 1990 l'Italia lavora, produce, esporta, la disoccupazione è debellata.
Arriva il luglio 1960. Congresso del MSI di Genova. È il pretesto per la svolta.
Il governo Tambroni viene attaccato: dai moderati, dai socialisti, dai
comunisti.
La piazza si scatena e l'Italia, per la prima volta dal 1940, rivede la violenza
esplodere incontrollata, devastatrice, distruttrice.
Centocinquanta agenti dell'ordine finiscono a Genova all'ospedale, aggrediti dai
ganci dei portuali. Sì spara. Sangue a Reggio Emilia, Roma. Palermo. Catania.
Nenni, dalle colonne de "l'Avanti!" scrive che quando il parlamento «vota male»
è la piazza che quel voto deve correggere. Democristiani, liberali,
socialdemocratici trovano tutto legittimo. Il presidente del Consiglio,
succeduto a Tambroni, Amintore Fanfani esalta «quei cittadini» che si sono...
difesi «come hanno potuto, e come hanno saputo». Tambroni è spazzato via in nome
della svolta a sinistra, svolta che, sulla scia del matrimonio fra cattolici e
socialisti, si afferma, darà all'Italia pace, progresso, benessere, libertà.
Da quei giorni sono passati 17 anni. Per 17 anni siamo andati a sinistra. Il
bilancio? È sotto gli occhi di tutti. Coloro che vennero alla luce con il
forcipe della violenza, dalla violenza della piazza sono oggi travolti. È la
legge del contrappasso dantesco.
I toni sono cupi, il clima è da dramma. I capi storici della resistenza e del
luglio 1960 scrivono: «tutto crolla, non sta più in piedi nulla, è finita». Ed è
tanto finita che per «salvare la democrazia» si chiede aiuto al comunismo.
Ed intanto, fra scariche di mitra, attentati, morti, feriti, la danza dei
partiti. Fra il grottesco e il macabro. Si incontrano. Si lasciano. Si
ritrovano. In due. In tre. Tutti insieme. Si rilacciano. Comunicati. Esperti.
Formule. Contenuti. E ancora daccapo. E, fuori della porta, qualcuno bussa per
essere ammesso al gioco dell'arco costituzionale. Nessuno però muore di
vergogna.
A sinistra. A sinistra. Ci siamo andati per 17 anni. Non basta. A sinistra
ancora: con il PCI. Pazzia. Pazzia lucida.
Giuseppe Niccolai
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