"Secolo d'Italia", 21
maggio
1977
La filosofia che ha dato via libera
alla delinquenza
Quando De Martino giustificava ...
i «mezzi riprovevoli»
Beppe Niccolai
Ora che il figlio di Francesco De Martino è stato restituito alla famiglia (e ne
siamo felici) possiamo scrivere cose che non potevamo dire finché la vita del
rapito era in pericolo.
Il 2 aprile 1976 chi scrive, parlando alla Camera dei Deputati sul bilancio
interno, ebbe modo di dire:
«Si parla tanto del dopo 15 giugno, della necessità di rinnovarsi, di cambiare e
di far sì che i vertici della vita politica "mutino facce". Sta bene. Ma quale
autorità ci siamo guadagnati, giorno per giorno e sul campo, per essere
autorizzati a dire ai vari Rumor, Andreotti, Colombo, Mariotti, Gullotti,
Bisaglia, De Mita, Donat Cattin, Lima, a tutti gli altri immutabili astri del
firmamento politico Italiano (anche se alcuni di loro hanno impicci con la
giustizia): è giunto il momento che voi sbarchiate? Come si può domandare: ti
vuoi mettere un po' in disparte? È in corso questo colloquio, non tanto
immaginario: "Sai, sarà meglio esaminare l'opportunità, date le polemiche cui
sei -sia pure ingiustamente- sottoposto, di un tuo avvicendamento alla
segreteria nazionale del PSI. C'è il Congresso nazionale a Genova" vediamo di
trovare un modo indolore per arrivare all'avvicendamento". Ecco la risposta
(l'uomo che risponde, nonostante tutto, mi è simpatico): "Quale sarebbe l'accusa
di fondo per la quale io dovrei lasciare la segreteria del partito?". "Non
saprei" non voglio parlare di questione morale, ma ti renderai conto
dell'angoscia di tanti compagni che, ignari di come stanno le cose, vedono nella
polemica sulle tangenti dell'ANAS profilarsi una questione morale". Risposta:
"Una questione morale nei miei riguardi? È mal posta, soprattutto perché da
segretario del partito ho potuto controllare minuziosamente i conti dei quali è
responsabile chi nell'incarico mi ha preceduto. Io so quel che ho dato, ma,
guarda caso, la cifra registrata nei conti del partito non corrisponde. Davo 100
e perché é registrato solo 00 o 50?"».
Cosi a pagina 27120 degli atti parlamentari del 2 aprile 1976. Presiedeva Sandro
Pertini, socialista.
Lontana da me l'idea che l'accusa che Giacomo Mancini rivolgeva a Francesco De
Martino -questi i personaggi dell'immaginario dialogo- si concretasse
nell'affermazione che la registrazione in meno delle somme che dal ministro
affluivano alle casse del partito, retto da De Martino, si sia trasformata in
vantaggi personali dell'uomo politico napoletano. Recenti vicende, tuttora
all'esame della Commissione inquirente, hanno confermato in modo inoppugnabile
che all'interno del PSI l'anomala contabilità a favore delle correnti non
risparmia nemmeno politici come Riccardo Lombardi (questo santone!) che, come
tutti sanno, non ha avuto difficoltà a versare i contributi dei petrolieri sul
conto personale della moglie. Vogliamo afferrare, dopo che Guido De Martino è
tornato a casa, che il parlamentare napoletano non ha le carte in regola per
esibirsi, cosi come ha fatto dai compiacenti teleschermi della RAI-TV, in
concioni morali agli Italiani.
Si, d'accordo, non possiede nulla. Ma vorremmo anche sapere quali
responsabilità, soprattutto morali, Francesco De Martino porta nel crollo morate
che il Paese ha subito. Non voglio qui ricordare l'ingenerosa polemica che
Francesco De Martino, dall'alto del seggio di segretario nazionale del PSI, ebbe
con il dr. Martuscelli. presidente dei probiviri, accusato dì essere un
Torquemada da strapazzo solo perché chiedeva che i corrotti fossero allontanati
dal PSI.
Voglio invece ricordare queste parole che Francesco De Martino, come una
direttiva, lanciava al militanti del PSI dalla tribuna congressuale:
«Gli amministratori del partito che assicurarono i finanziamenti fecero quel che
era imposto dalle necessità di far sopravvivere il partito, i suoi giornali, le
sue possibilità di aiuti verso i compagni del vari paesi che lottavano contro il
fascismo. I mezzi erano riprovevoli ma il fine era nobile. Essi non possono
venir censurati ed è stato giusto che i commissari socialisti della Commissione
inquirente assumessero la posizione che hanno assunto, tanto più che non vi sono
elementi dai quali risulti l'esistenza di veri e propri fatti di corruzione».
I mezzi erano riprovevoli, ma il fine era nobile, afferma Francesco De Martino.
Anche quando il sen. Talamona prendeva 150 milioni per "l'Avanti!" in cambio
della ristrutturazione di una fabbrica in Lunigiana, mandando a casa centinaia
di lavoratori?
I mezzi erano riprovevoli, ma il fine era nobile.
No. È questa filosofia che ci ha portato al collasso morale e materiale. E se
Francesco De Martino conserva la forza dell'esame di coscienza dovrà convenire
che proprio dall'esaltazione «dei ladri e dei corrotti» è scaturita l'atmosfera,
il clima in cui si è reso possibile il rapimento di suo figlio Guido.
Francesco De Martino ha crudelmente pagato. È vero. Ma ha pagato soprattutto il
Paese. Responsabile, in gran parte, la classe dirigente socialista.
Giuseppe Niccolai
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