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"Secolo d'Italia", 12 febbraio 1977

 

Miscela esplosiva

Beppe Niccolai

 

Il quadro è sufficientemente chiaro. Sta cadendo del tutto l'illusione che il PCI possedesse la medicina adatta a risolvere il dramma della crisi che viviamo. Nelle steste masse comuniste c'è uno stupefatto... stupore nel constatare l'impotenza del PCI. Il PCI non possiede medicine. Farfuglia. O. cadendo nell'eresia, si fa paladino di tesi che nemmeno Luigi Einaudi oggi porterebbe avanti. Per il resto, e per quel che conta, e proprio la presenza del PCI nell'area del potere che blocca tutto e che, a poco per volta, fa scivolare l'Italia nel grigiore di vita, tipico del Paesi dell'Est europeo.
La presenza comunista, piaccia o no, ha questo effetto: deprime, scoraggia, porta inefficienza e rassegnazione, cose tutte che non sono certo fatte per ridare tono alla produttività.
Cose ovvie, si dirà. Ma il bello è che con il PCI si è schierata, oltre il Governo Andreotti, la Confindustria, in particolare il suo presidente Guido Carli. Ed è questa vicenda che occorre esaminare con la necessaria lucidità.
Quando Carli afferma, insieme al Governo e al PCI, che «solo con la depressione del reddito e della domanda» si può salvare la lira -cioè porta avanti argomentazioni incredibili sulla bocca del rappresentante degli industriali italiani- a cosa in realtà punta? Con tutta probabilità Carli punta ad ottenere, grazie all'aiuto del PCI e del Governo Andreotti, concessioni concrete per una parte di industriali.
Carli si «fa sotto» e dice, per rafforzare la propria tesi, che c'è da temere «come sottoprodotto dell'inflazione la comparsa di un Pinochet», e sa, con queste argomentazioni, di trovare il consenso del PCI.
Ma regge questa argomentazione? Forse la depressione ci fa evitare certi rischi?
Con una domanda estera bloccata, con i consumi interni ridotti al lumicino -e ciò per alimentare una spesa pubblica improduttiva, parassitaria, pazzesca- ecco, con una simile «terapia», non si va al dissesto, al crollo politico ed economico? Con simili medicine dove e come si creano nuovi posti di lavoro? E quale è lo sbocco inevitabile?
Centinaia di migliaia di disoccupati. Problemi umani dolorosissimi. Ma anche problemi gravissimi di instabilità politica. È i ceti medi frustrati, nella morsa fiscale, sempre più demoralizzati? Non ne viene fuori, grazie al trinomio «Andreotti - PCI - Carli», una miscela socialmente esplosiva? È questo che si vuole? Ma se è questo, i custodi del disordine sono loro.
Si esce, allora, dalla crisi, associando definitivamente i comunisti al governo?
No. Dalla crisi si può uscire, come del resto economisti avveduti e non di nostra parte affermano, riuscendo a dare agli imprenditori e ai lavoratori fiducia in un avvenire migliore, soprattutto indirizzi programmatici capaci di proiettarsi nell'arco almeno di quattro, cinque anni, cioè dando certezza di indirizzo politico ed economico, stabilità, efficienza. La crisi, prima che economica, è politica, è istituzionale.
Questa è la strada per uscire dal dramma. Ma è una strada che può essere percorsa solo se si ripensa lo Stato; una sua riforma democratica in senso efficientista. Altrimenti non c'è che il PCI. Ed è subito Cecoslovacchia.

Giuseppe Niccolai

Inviato da Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info