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"L’Eco della Versilia", n° 5 Anno XVII - 31 Maggio 1988
Pino, leticheremo ancora ... Beppe Niccolai
Cruda, dolorosa incombenza. «L’Eco della Versilia» si apre con un «addio», si chiude con un altro saluto. Definitivo. A Pino Romualdi che se ne va, anche in morte come in vita, con Giorgio Almirante. Io credo ai segni. Pino, eterno secondo, anche nell'addio, supremo. È sempre stato il suo destino, un destino che lo ha tormentato per tutta la vita; dal suo arresto nel 1948, alla vigilia del 18 aprile, che lo mise fuori gioco nella gara per la leadership del partito, al 21 maggio di ora quando, in punta di piedi, ci ha salutati. Avrà pensato: questa volta gliel’ho fatta! Il mio destino, in morte, si diversifica da quello di Giorgio Almirante. Ed invece, poche ore dopo, Giorgio lo ha raggiunto, mettendo, ancora una volta, e pur nella dipartita da questa terra, Pino al secondo posto. Sono certo: ci riderà sopra.
* * * Cosa dire? Romagnolo, temperamentale, sanguigno, introverso nei suoi amori e nei suoi risentimenti, come tutte le persone vive, impastate di cocenti passioni. Non era possibile volergli bene e, al tempo stesso, non leticarci. Non è stato indifferente ad alcuno. O stare con lui o leticarci. Di brutto. Fino a mettere in dubbio l'amicizia che è un bene inestimabile, ma che, per romagnoli e toscani viene dopo ai propri convincimenti. A suo titolo d'onore aver tentato di costruire, intorno a sé, un gruppo umano intriso di letture e carico, al tempo stesso, di passione politica. Ne è venuto fuori un polo intellettuale, fatto di molte letture, orgoglioso di essere in possesso di dati, ma troppo freddo, troppo razionale. Un polo intellettuale caratterizzato, in mezzo a noi, dal classificare il Fascismo dentro una «destra» che, alla stretta, finisce fatalmente nello sfociare nel modernismo tecnocratico di tipo reaganiano. Una destra i cui «valori» di Stato, di ordine, di disciplina, di efficienza, di grandezza creatrice di istituti sociali e previdenziali, finisce per esaltare, per dirla con Schumpeter, la «creazione distruttrice» del capitalismo. I suoi prodotti più significativi: Franco Petronio e Guido Lo Porto. Da qui la sua viscerale repulsione a tutto ciò che potesse, sia pure lontanamente, avvicinare il Fascismo alla cultura della Sinistra. Su questo piano Pino incrociava, impavido, le armi ed era inesorabile nel condannare. Non avvertendo, a parere mio, che il Fascismo non è né destra, né sinistra e che, appunto per questo, rimane l'interprete autentico della vocazione del secolo che viviamo, appunto quella di non essere né di destra né di sinistra.
* * * Ma la cosa più bella Pino ce l'ha lasciata, soffrendo indicibilmente, anni fa: suo figlio Adriano, morto tragicamente, nel vigore degli anni e nel pieno furore creativo. Uno schianto dal quale, Pino, non riuscì più a riaversi, una perdita per tutti noi. I libri di Adriano restano, anche la sua giovinezza di intellettuale troncata innanzi tempo. Non è il solo. Anche Berto Ricci morì a 35 anni.
* * * Mi accorgo che, come per Giorgio Almirante, non sono sceso alla commemorazione consueta, ma alla polemica. Sono certo, certissimo, che gli piacerà. In fondo era romagnolo. Come Lui, Mussolini, che si firmava, da giovane anarchico, «il vero Eretico». Il Fascismo come fascio di eresie, come trasgressione permanente. Anche quella di Pino lo era: il Fascismo come «destra», quella destra. Legittima culturalmente, ma tale da farci accapigliare sopra. Appassionatamente. Fino a quando tutti noi ci situeremo, dopo avere altrettanto appassionatamente discusso, concettualmente al di là della destra e al di là della sinistra. Addio, Pino, ti prometto una cosa: continueremo a leticare. Nel tuo ricordo. Incancellabile.
Beppe Niccolai |