Sulla
"rivolta" di Reggio Calabria
(intervento alla Camera dei Deputati - 1
ottobre 1970)
PRESIDENTE - L'onorevole Giuseppe Niccolai ha facoltà di dichiarare se sia
sodisfatto.
NICCOLAI GIUSEPPE - Poco potrò
aggiungere, dopo il nobile intervento dell'amico e collega Antonino Tripodi,
sulla triste vicenda di Reggio Calabria. Altro non mi resta che fare scorrere la
mia polemica nell'alveo aperto dalle parole documentate e cariche di passione
dell'onorevole Tripodi, per rafforzare il concetto principe di quell'intervento,
cioè la responsabilità della classe politica, cercando di dimostrare come tutta
la sinistra italiana, compreso il partito comunista, sia nella vicenda
compromessa fino al collo.
È vero, signor ministro, quello che è stato scritto e detto anche in alta sede,
per cui a Reggio ci si sarebbe battuto per quaranta posti di impiegato di gruppo
C? Chi è che semina violenza (questo è l'interrogativo posto anche
dall'onorevole Tripodi), signor ministro? Quando la classe politica e di governo
per lunghi quindici anni -dal 1955- recita la vicenda dell'addizionale prò
Calabria, semina o no violenza, signor ministro? E non sono centinaia le
addizionali di promesse e impegni non mantenuti che oggi si pagano a Reggio? Che
dire, signor ministro, di una classe politica, di una classe di Governo che per
l'istituzione dell'università -come ha ricordato l'onorevole Tripodi- in
Calabria, per un pugno di voti preferenziali da strapparsi nella lacerante lotta
di clientele, tra cosche rivali, promette quell'università a tutti i paesi della
regione? Semina ordine o semina legalità o semina rivolta una classe politica
che, alle spalle del cittadino, si divide la torta del potere a profitto dei
propri feudi clientelari?
Signor ministro, ella ha deprecato in dure parole il fatto che sia stato
impedito con la violenza il funzionamento del consiglio regionale. E non è
violenza quella -tanto per fare un esempio- compiuta dalla classe politica e di
Governo che, per contrasti interni, sempre in Calabria, blocca l'attività del
comune di Lamezia Terme? Voleva essere la Brasilia della Calabria; è bloccata
dai rancori, dalle divisioni e dagli odi della classe politica! Signor ministro,
io le domando: è violenza questa, oppure no? Il vero dramma di Reggio Calabria,
se si tengono presenti queste storie, non sta nella triste vicenda del
capoluogo. Per la stragrande maggioranza dei cittadini di Reggio, il
trasferimento del capoluogo è stato un simbolo, il suggello ad una inarrestabile
situazione di decadimento, l'inchiodare Reggio alla situazione di miseria senza
appello della corrente migratoria più forte d'Italia, e probabilmente più forte
d'Europa. Non ci danno niente, non solo, ma ci dicono: siete condannati ad
andare sempre peggio; anzi, vi togliamo quello che già avete. La rivolta non sta
nella richiesta di quaranta scritturali in più. Le vere responsabilità della
rivolta, signor ministro, sono di altro tipo, e sono da ricercare nella condotta
della classe politica.
Abbiamo da lei ascoltato ieri, signor ministro, un inno all'istituto della
regione contro le strutture accentratoci dello Stato. Ella, come ministro
dell'interno, si è compiaciuto di cavarsela con poche parole per ciò che
concerneva gli episodi della rivolta, per accentrare tutto in una analisi
socio-economica, secondo la quale i secolari squilibri del Mezzogiorno
dovrebbero finalmente essere sanati dall'istituto della regione. Ecco l'idea
regionale contro l'accentramento statale, il motivo del suo discorso, il motivo
che è rimbalzato in quest'aula anche negli altri interventi.
RESTIVO, Ministro dell'interno - Non contro l'accentramento statale (neanche
questo è vero), ma per evitare che la regione sia un fattore di accentramento:
anche nella Costituzione, la regione è un grosso fattore di decentramento.
NICCOLAI GIUSEPPE - Signor
ministro, a proposito di quanto ella sta dicendo, le vorrei ricordare un
memorabile discorso pronunciato in quest'aula da un calabrese, da un uomo non
della mia parte politica, da un comunista, dall'onorevole Fausto Gullo
all'Assemblea Costituente il 28 maggio 1947. «Diciamo la verità -disse Gullo-
perché bisogna essere onesti anche quando si chiede di vedere alfine riparati i
torti che si sono subiti, anche quando si denunciano le colpe di cui si è stati
vittime. Come cittadino, come italiano, come meridionale, il quale insieme con
la sua regione, ama l'Italia con filiale affetto, io devo dire che è contro la
storia, contro la verità colui che osa affermare che il mezzogiorno d'Italia,
entrando a far parte della famiglia unitaria, ha tutto perduto e nulla
guadagnato. Chi avrebbe costruito l'acquedotto delle Puglie, questa opera di
grandiosità romana, se ci fossimo affidati soltanto alle risorse regionali? È un
esempio di quanto lo Stato unitario ha fatto. Non arriviamo ad esagerazioni che
del resto riescono pregiudiziali soprattutto alla nostra causa. Il mezzogiorno
d'Italia, entrando nello Stato unitario, non solo ha realizzato l'ideale dei
suoi grandi figli, ma vi ha trovato anche l'utilità materiale. È vero: il
mezzogiorno di Italia doveva e poteva ottenere di più. Ed in ciò è stato
sicuramente danneggiato. Ma da chi e da che cosa?.. Nelle rivolte contadinesche
che, specialmente nei primi anni che seguirono alla unificazione d'Italia
arrossarono tanto sovente le zolle delle nostre contrade, qual è sempre stato il
segno verso cui si appuntarono tutte le ire, verso cui si volsero tutti gli odi
delle masse? I poteri locali: quei poteri che, essi soli, mozzavano il respiro
delle popolazioni, le quali ben sapevano che quelli erano i veri nemici».
Onorevole ministro, se si ha la bontà di sostituire nel discorso pronunciato nel
1947 qui dall'onorevole Gullo, alle parole «la grande società terriera», le
parole relative alle nuove clientele partitiche altrettanto fameliche e
altrettanto dissipatrici, i nuovi tiranni, il discorso di Gullo resta valido
nella sua diagnosi, ci aiuta a capire i fatti luttuosi di Reggio.
L'onorevole Principe potrebbe documentarci ampiamente al riguardo e potrebbe
testimoniare la verità di quanto affermiamo, e cioè che alle vecchie tiranniche
clientele del censo e della terra, si stanno ora sostituendo le clientele
partitocratiche, altrettanto inadempienti, altrettanto colpevoli, altrettanto
spietate.
Nel luglio del 1968, dopo una movimentata riunione del comitato centrale
dell'allora unificato Partito Socialista Italiano il direttore di "Calabria
oggi", così poteva scrivere, in relazione ad un processo post-elettorale, che lo
stesso partito socialista apriva in sede partitica nei riguardi di colui che,
dirigendo oggi le sorti del partito socialista italiano, è stato ieri qui, per
bocca dell'onorevole Frasca, il protagonista della seduta, il salvatore, il nume
tutelare della Calabria. «A tutti i più o meno attendibili co-moralizzatori
-scriveva il direttore di "Calabria oggi"- delle vecchie e nuove leve, sorti
come funghi dopo l'alluvione del maggio 1968, l'investigazione sui metodi
deformati e deformanti di conduzione delle campagne elettorali non può essere
ristretta agli aspetti puramente ministeriali di essi. Bisogna invece allargare
il raggio dell'indagine fino ad investire altre forme di degenerazione di cui, a
torto o a ragione, diffusamente si parla, quelle relative alla privatizzazione
personale e di gruppo, di partito, ai vistosi apparati elettorali di certi
candidati, alla utilizzazione di enti pubblici di vario genere, al noleggio di
attivisti per il rastrellamento delle preferenze, ai finanziamenti privati di
cui sarebbe interessante accertare le fonti e la loro compatibilità con una
battaglia socialista».
Gli onorevoli Frasca e Scalfari questa indagine l'hanno trascurata! Non così
"l'Unità", che commentando le parole del direttore di "Calabria oggi", così
scriveva il 17 Iuglio 1968: «Vogliamo aggiungere una cosa: che tale processo,
una tale indagine non deve essere fatta a porte chiuse davanti ai probiviri del
Partito Socialista Italiano, ma deve essere pubblica, perché pubblica è l'accusa
e ancor più pubblica la parte lesa. Si tratta del risorgere nel sud di processi
mostruosi di trasformismo basati sulla omertà fra i gruppi di potere a struttura
feudale. Un potere per altro che in parte corrisponde al partito della
democrazia cristiana, ma che, come un tempo aveva delle sacche locali di
preponderanza monarchica e liberale, oggi tende ad inglobare il Partito
Socialista Italiano sotto l'egida di quella grande alleanza Colombo-Mancini» (ma
guarda un po' che cosa scriveva "l'Unità" nel 1968) «di cui si è largamente
parlato prima delle elezioni. Chi l'avrebbe mai detto che dal seno della
partitocrazia ecco nascere i nuovi feudatari, le nuove clientele, il nuovo
trasformismo meridionale non meno feroce e tirannico di quello di un tempo. A
noi preme sottolineare» (si dimenticano oggi queste cose, perché l'operazione
Mancini vi fa comodo) «come la struttura feudale che si vuole ripristinare al
servizio di una politica di asservimento del Mezzogiorno nelle condizioni di
predominio dei monopoli d'Italia, tenti di travolgere la concezione stessa di
partito e cerchi di riabilitare, magari rispolverando demagogicamente la
polemica contro la burocrazia politica, il rapporto diretto uomo politico-corpo
elettorale attraverso l'indispensabile trama della clientela».
«Da ciò» -scrive la rivista milanese "Critica sociale"- «si ha così in Calabria
la vittoria del clientelismo e del sottogoverno e l'ascesa al potere di una
nuova classe di notabili».
Ieri l'onorevole Frasca, ad una mia interruzione riguardante queste vicende, ha
replicato che non comprendevo nulla delle vicende della Calabria, perché la
responsabilità di quanto accadeva si doveva addebitare alle vecchie forze
clientelari, parassitarie, eversive e reazionarie. Che ne dice l'onorevole
Frasca di questa diagnosi de "l'Unità"? È del luglio 1968. Ecco quali titoli si
stampavano in Calabria dopo le elezioni: «Processo al potere feudale»; «Tutti
gli uomini del califfo» (e il califfo era l'onorevole Giacomo Mancini).
Ecco che tornano valide le affermazioni di Fausto Gullo del 1947: «Le clientele,
l'affarismo, la degenerazione dei rapporti umani e politici. Tutto si sfarina
davanti al volere del signorotto politico che ha in mano la vita, l'avvenire di
quella gente. Se mi servi, ti aiuto; altrimenti ti spezzo».
Se oggi la Calabria non è più isolata dal contesto del paese, se oggi la
Calabria ha il porto di Sibari, l'aeroporto di Sant'Eufemia, lo deve
all'onorevole Giacomo Mancini. Così ha detto ieri l'onorevole Frasca. Una vera e
propria sinfonia «manciniana». E dato che l'onorevole Frasca ha intercalato ieri
il suo dire con accuse specifiche di ordine morale, non sarà male, ritornando a
"l'Unità", riascoltare quanto l'organo dei lavoratori (che oggi elogia Giacomo
Mancini e la sua politica) scriveva nel luglio 1968.
«Così quei manifestini laurini ancora appesi alle cantonate per identificare
l'avanzata della Calabria col trionfo del suo figlio generoso e autorevole, così
le foto che ancora sono esposte in certe vetrine con la procace e ridente Sandra
Milo che inalbera sul seno il dischetto "Io voto Mancini" sono oggi immagini di
sconfitta e insieme testimonianze di una pericolosa degenerazione; per tutti i
democratici, per tutti i socialisti un invito a riflettere. E a fare anche,
giacché la macchina elettorale che ha funzionato in prò dell'onorevole Mancini
dovrebbe essere sottoposta a una severa inchiesta se non altro per stabilire
quanto è costata allo Stato in uomini, in macchine, in benzina ecc., per quali
obiettivi -leciti o illeciti- si è mossa e come abbia potuto essere montata, con
quali complicità dirette o indirette.
E sarebbe certo giusto rivedere il piano finanziario di tanta mobilitazione che
deve essere stato ben gravoso anche se una larga parte ne è stata colmata
secondo il detto napoletano «io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me».
Quanto è costato il fiume di manifesti? Quanto il mare di schede e volantini?
Quanto la cascata di patacche, dischi, mangiadischi ecc.? Chi ha pagato? Il
«candidato ricco»? Ma l'onorevole Mancini è onusto di meriti ma non ha tanto
danaro... Le sezioni socialiste? Ma se non avevano neanche i soldi per fittare
in proprio gli altoparlanti...
In attesa che l'onorevole Mancini pubblichi su uno dei tanti suoi giornali il
conto di quanto gli è costato ciascuno dei suoi 109.745 voti di preferenza
sarebbe certo possibile avvicinarsi alla verità rispondendo alla domanda: "a chi
è giovato tutto questo?". Cioè con più precisione: a chi è giovata la politica
dell'onorevole Mancini in Calabria e in tutta Italia, chi era interessato acche
essa continuasse, chi aveva un "debito di riconoscenza" verso il ministro dei
lavori pubblici, chi puntava sulle sue fortune politiche?
Una risposta si può dare, appena modificando il vecchio canone di cherchez la
femme; no, non la donna si deve cercare per risolvere questo giallo ma il gruppo
dei cementieri, delle grosse imprese edili, dei monopoli prosperanti all'ombra
del mancinismo: tutta quella solida rete di interessi che negli ultimi cinque
anni ha fatto buona pesca nel sud».
Così scriveva "l'Unità" del 17 luglio 1968.
Che diventa il marginale episodio raccontato qui dall'onorevole Scalfari
sull'imprenditore, amico di Preti, accusato di essere un finanziatore della
rivolta, davanti a queste accuse contenute nel foglio dei proletari?
«Quanto è costata» -incalza l'Unità- «tutta questa carta stampata»? Quanto
costano le pagine de "Il Tempo" dedicate alla pubblicità per il signor ministro?
E -di contro- quanto è stata pagata, su questi giornali, la pubblicità per la
sicurezza delle strade che nel bilancio del Ministero grava per ben quattro
miliardi?
«Sono domande» -conclude "l'Unità"- «cui solo il più ristretto clan
dell'onorevole Mancini potrebbe dare una precisa risposta, ma che rendono
plausibile la voce comune che la campagna elettorale del ministro sia costata,
tutto compreso, almeno un miliardo».
Si torna all'atto di accusa di Fausto Gullo: i poteri clientelari che mozzano il
respiro delle popolazioni. Ieri la grande proprietà terriera, oggi le clientele
fameliche dei vari califfi. E in questa situazione di scollamento, morale prima
che politico, come ve la cavate, come se la cavano i moralizzatori tipo
Scalfari? Con l'espediente di bassa lega, che le classi politiche, inclusi i
comunisti, usano, a piene mani, in questi casi quando si è colti con le mani nel
sacco, quando non si hanno argomenti, vestiti da autentici forcaioli. «Tutta la
cittadinanza, tranne i pochi facinorosi e l'accozzaglia degli speculatori che
hanno fomentato i disordini dei giorni scorsi, sta ora risentendo la gravita di
quanto è successo, ma purtroppo la vita non potrà riprendere normalmente sino a
quando i teppisti fascisti non saranno isolati, resi innocui, arrestati,
processati e mandati in galera, assieme ai loro mandanti». Così "l'Avanti!" del
22 luglio 1970. Vi inventate, ecco, il fascismo a vostra immagine e somiglianza
per coprire che cosa? Le vostre inadempienze, le vostre promesse mancate, la
vostra politica di rapina, di dissanguamento della Calabria, i delitti di una
classe politica che pur di salire non si è affatto peritata di mettersi accanto
alla malavita dell'Aspromonte. Lo afferma, signor ministro, un rappresentante
della maggioranza. Lo ha dichiarato qui, in questa aula. E siedono accanto.
Quando si scende in Calabria, quando si scende in una città come Reggio,
dissanguata dall'emigrazione, degradata dalla disoccupazione permanente, e si
spende da parte di un segretario nazionale di un partito di governo proletario
per la propria campagna elettorale personale (come attesta "l'Unità") più di un
miliardo di lire, come si fa, onorevole Restivo, a chiedere le manette per
l'arcivescovo, come vorrebbe l'onorevole Mancini, e il «ferro e il fuoco» per i
«fascisti» cittadini di Reggio, così come chiede l'onorevole Scalfari?
Chi è che in tutti questi anni, signor ministro, ha sparso e continua a spargere
a piene mani in Reggio e altrove violenza morale, per non parlare di quella
fisica, se non la classe politica che, nata in quelle zone, la sorregge?
Si chieda un po' qual è il reddito prò capite dei calabresi e lo confronti con
quello degli uomini politici più rappresentativi di quella stessa zona.
A mano a mano che là ci si abbrutisce nella miseria, salgono vertiginosamente le
fortune economiche della classe politica di governo. In questa situazione come è
possibile dichiararsi sodisfatti?
Ci rendiamo conto delle sue difficoltà, signor ministro, del fatto che si trova
in una ben strana maggioranza, che prima di non riuscire a capirsi sul piano
politico non si stima sul piano personale. Ci rendiamo perfettamente conto delle
sue difficoltà nel trovarsi di fronte a gruppi politici che, pur facendo parte
dell'assetto governativo si insultano così, senza pudore, nel modo più plateale
e violento. È difficile, impossibile per lei, signor ministro, fornire una
risposta, non dico unitaria, ma decente in questa situazione.
Com'è possibile dichiararsi sodisfatti della sua risposta, signor ministro,
quando dal seno della maggioranza che lo sostiene l'onorevole Giuseppe Reale,
del suo partito, afferma che le cinque giornate reggine sono un fatto di
coscienza e di popolo, tale da essere paragonato alle più belle pagine della
Resistenza; mentre l'onorevole Scalfari, nelle vesti di forcaiolo (se gratti i
radicali trovi dei reazionari della più bell'acqua), chiede al Governo di
stroncare questo fenomeno di sedizione delle squadre fasciste, spalleggiate
dall'arcivescovo, intervenendo (udite bene!) con la massima urgenza, con il
massimo rigore, con tutti i mezzi.
Difficilmente i cittadini di Reggio scorderanno queste parole. Comunque ci
saremo noi perché non le dimentichino.
Com'è possibile dichiararsi sodisfatti, signor ministro, quando l'onorevole
Andreotti, nel chiederle di intervenire contro i sobillatori, gli agitatori che
discreditano Reggio, la costringerebbe ad agire, ad arrestare l'arcivescovo di
Reggio Calabria che, secondo l'onorevole Giacomo Mancini, segretario nazionale
del PSI, sostenitore di questo Governo, ha dato alla sollevazione egemonizzata
dalla destra neofascista, un carattere di crociata? Ella non ci ha annunciato
alcun provvedimento contro l'arcivescovo. Lo arresta, o non lo arresta?
Ecco perché, signor ministro, le diciamo di essere completamente insodisfatti.
Per ragioni morali prima che politiche. Siete forti con i deboli, deboli con i
prepotenti. La vicenda di Reggio testimonia questa vostra costante. Avete
arrestato il missino Francesco Franco e l'ex capo partigiano Alfredo Perna. E
credete, con ciò, di avere salvato l'anima! Ve la siete dannata, signor
ministro! Lo dico con le parole di un democristiano, l'onorevole Giuseppe Reale:
Non un'azione, quella di Reggio, sostenuta da teppisti, ma dall'anima di tutta
una città che si è ribellata all'intrigo. Non solo all'intrigo, al baratto, ad
una scioperata politica, alle «cosche» clientelari, al malgoverno, ai forcaioli,
ai reazionari vestiti, o meglio, travestiti da socialisti.
In questa situazione, signor ministro, non posso non inviare al «missino»
Francesco Franco e al partigiano Alfredo Perna, nel dichiararmi insodisfatto
della sua risposta, la mia umana solidarietà.
Beppe Niccolai
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