ARTICOLI

"Secolo d'Italia", 9 febbraio 1989

 

La pubblicazione dei documenti ha dimostrato gravi inefficienze

Quelle schede accusano

Contro la mafia si «doveva» fare di più

Beppe Niccolai

 


Perché 20 anni fa non si bloccò l’ascesa di alcuni personaggi? Perché non si è andati a fondo nelle indagini? Perché uomini politici sospetti sono sfuggiti a ogni inchiesta?


Roma - Le 2.750 schede dell’antimafia, custodite segretamente negli archivi del Senato, hanno visto la luce. Ed è subito iniziata l’opera di denigrazione e di demolizione. Poco ci è mancato che scrivessero che si tratta di carta straccia.
Una domanda iniziale si impone: che effetto avrebbero fatto se fossero state pubblicate venti anni fa? Se, tanto per tare un esempio, si fosse rivelato che Aristide Gunnella, protetto di Ugo La Malfa, assumeva, per questioni elettorali, alla Sochimisi un pluriomicida, quel Giuseppe Di Cristina, assassinato a Palermo nel 1978 con assegni in tasca per il valore di due miliardi, ricavati dal traffico di droga?
Eppure il Di Cristina sapeva tutto sulla scomparsa e sulla morte del giornalista De Mauro.
La Commissione, davanti a queste vicende come a tante altre, è rimasta bloccata, Gonnella non è stato toccato.
Perché se fosse andata avanti il PRI avrebbe decretato la fine del centro sinistra, come la minacciò, sempre tramite Ugo La Malfa, quando eletto Ciancimino sindaco di Palermo, lo si voleva far dimettere. Ugo La Malfa: «Se fate dimettere Ciancimino, io faccio la crisi su scala nazionale».
E dove sarebbe andato a finire il caso del ministro Reale in carica (Grazia e Giustizia) e sottosegretari vari che, grazie appunto ad un anonimo, fecero sì che il ministro di Grazia e giustizia dovesse, obtorto collo, tirare fuori un fascicolo dove tutto il vertice (ministeriale) ? si dava da fare onde proteggere i fratelli Rimi, mafiosi di grido e pluriomicidi?
In quelle schede la vicenda degli esattori Salvo è raccontata, ma è rimasta sepolta per oltre 20 anni. Il giudice Falcone, per fare condannare venti anni dopo i Salvo, è dovuto ricorrere a ciò che era scritto nella Relazione di minoranza del MSI che, fra l’altro, si era fatta forte di cose contenute anche in quelle «schede», in relazione e per conto della potente e prepotente famiglia degli esattori di Salemi.
Nessuno si preoccupa di collocare quelle schede nel tempo in cui furono raccolte; nessuno si chiede quale uso abbiano fatto i singoli commissari delle notizie che in quelle schede erano contenute e del perché le verità in esse raccolte sono rimaste bloccate e non sono venute alla luce. Nessuno si chiede del perché alcune di queste schede, definite niente altro che volgari pettegolezzi, hanno dato vita, con la costituzione di apposito comitato, ad inchieste dalle quali sono venute fuori fior di relazioni.
Chiaromonte scrive che le schede non possono dare alcun contributo importante alla lotta alla mafia perché non sottoposte ad alcuna verifica, a nessun riscontro oggettivo. A parte il fatto che Chiaromonte, commissario dell’Antimafia negli anni ’70, è stato un pessimo commissario per negligenza, non è affatto vero quanto dichiara, perché frasi di anonimi sono state prese in esame con la massima attenzione e, come abbiamo scritto, hanno dato risultanze rilevanti.
Faccio un esempio: non è forse un anonimo ad aprire quell’enorme spaccato per cui il PCI, con suoi rappresentanti qualificatissimi, compare ai vertici delle banche di Sindona? Una notizia simile, perchè negli anni 70 non fece rumore? Perché, con il governo di unità nazionale, il PCI metteva il silenziatore, in fatto anche di mafia, a tutte le proprie iniziative che riguardavano i rapporti con la DC. Ed è questa la prima ragione per la quale la relazione conclusiva del PCI sulla mafia e sbiadita, barale, in tante parti insultante quanto e debole nelle sue proposizioni. O non è forse vero che, proprio quando si chiudevano i lavori dell’antimafia (febbraio 1976) lo stesso Pio La Torre andava in giro a raccontare la lieta novella che ormai la DC si era rigenerata e che lo stesso fenomeno della mafia era in declino?
Si fa tanto clamore sulla scheda nella quale Ciancimino denuncia il giudice Terranova, poi assassinato. Terranova era un galantuomo. Non c'è nulla di lui al riguardo; resta però il fatto che Terranova, nella sua dichiarazione di voto del gennaio 1976, quando le relazioni finali venivano presentate, è proprio lui che, stranamente, difende Vito Ciancimino. Perchè? Nessuno se lo chiede.
Come del resto solo le schede parlano di Vito Guarassi, il personaggio che, dal trattato di pace dì Cassibile in poi, lo troviamo in mezzo a tutti i fatti più clamorosi che hanno caratterizzato la vita della Sicilia. dalla pubblicazione delle miniere baronali (operazione di mafia) al sequestro De Mauro, al governo Milazzo, alla morte del petroliere Mattei, al caso Insalaco, alle vicende della massoneria palermitana.
Non si dica quindi: carta straccia! No. Certo quelle schede se si guardano nel contesto 1989 possono apparire appassite, ma se si ha l’avvertenza di portarle al tempo in cui furono compilate c'è da porre l’interrogativo: se quelle schede fossero state utilizzate a tempo debito, i morti eccellenti, che dal 1976 ai giorni odierni, si sono raccattati dappertutto ci sarebbero stati? È un interrogativo che aspetta una risposta.
Certo è che le «schede» dimostrano, su tutto, una cosa, e cioè che nessuno, nè i ministeri, nè la Banca d'Italia, nè la Polizia, nè i Carabinieri, ne la Finanza, ai vertici, hanno dato quell'apporto che potevano dare alla lotta antimafiosa. Ma quelli che restano, su tutto e su tutti, i responsabili della mancata verità, sono i partiti politici, sono loro infatti che non hanno voluto deliberatamente scrivere come stavano le cose. Perchè la mafia è loro congeniale. Perchè, ahimè, come scrive Montanelli, i partiti, in fin dei conti, così come sono strutturati, sono mafia. Cane non morde cane.

Giuseppe Niccolai

Inviato da Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info