Allegato 1
I valori naturali e paesistici delle foreste
San Rossore-Migliarino come patrimonio culturale ed ambiente
educativo per l'uomo.
La comprensione dell'ambiente naturale da parte
dell'uomo presenta caratteri di grande attualità e di rinnovato
interesse per la vita moderna.
Gli antichi insediamenti abitativi sorti e sviluppati nei nostri
territori per esigenze di lavoro agricolo e di vita associata per
famiglie sono rimasti ancora nella tradizione di particolari
strutture d'ambiente a rivelare la partecipazione attiva della
persona umana alla vita dei campi e la responsabile posizione
funzionale e figurativa della casa nel paesaggio.
Questo contatto diretto ha portato ad una graduale trasformazione
antropica della natura, acquistando l'ambiente nuovi fattori di
determinazione spaziale ed espressiva. Occorre soltanto ricordare
gli aspetti della nostra campagna toscana tutta profondamente
umanizzata, ricca di casolari, ville e paesi, elementi di rilievo
plastico e figurativo su un paesaggio di collina e di pianura sempre
vario nei suoi aspetti morfologici, nelle prospettive, nei colori.
Si è verificato poi il rapido impulso del progresso di vita
economico, tecnico, industriale, che ha disertato la campagna e si è
accentrato nelle città con sviluppo di attività e di cicli operativi
intensi e congestionati nei rapporti collettivi di lavoro, di
mercato, di residenza, di svago. La vita in campagna è rimasta
misera e modesta in tutte le sue manifestazioni e lo svuotamento
sociale dei territori con la corsa frenetica verso la città per
raggiungere un elevato grado di benessere ha provocato il distacco
dall'ambiente naturale dell'uomo sempre più attratto ed affaticato
dall'urgenza di produrre e di acquisire nuove ricchezze.
Si sono quindi invertite le condizioni di vita tanto che ora si
sente la necessità di un ritorno alla distensione ed al riposo
cercando il recupero fisico, intellettivo e spirituale della persona
umana.
L'ambiente naturale delle foreste si presenta come l'insieme delle
condizioni, in cui può compiersi questo processo di rigenerazione
sotto tutti gli aspetti.
Lo stato climatologico è ideale per la purezza dell'atmosfera, la
protezione dei venti, per le temperature moderate senza forti sbalzi
tra il giorno e la notte. A questi fattori si aggiunge la
possibilità di mettere in moto l'organismo in modo completo
riattivandone fisicamente tutte le funzioni.
Per documentare l'importanza soltanto di uno di questi fattori
riporto il risultato di una recente indagine condotta a Parigi e
pubblicala sul libro "Paris costruit". Numero di microbi esistenti
in un metro cubo d'aria: 4 milioni nei Grandi magazzini, 575 mila
sui Grands boulevards, 88 mila all'avenue des Champs Elysées, 1.000
al parco Montsouris, 50 nella foresta di Fontainebleau.
La presenza dell'uomo nell'ambiente della natura determina anche la
possibilità di una riattivazione più ampia e profonda delle facoltà
intellettive stanche dalla tensione delle applicazioni sopra gli
stessi temi di lavoro della vita quotidiana.
È difficile sapere che cosa avviene nel laboratorio del nostro
cervello; ma è sintomatico il fatto che specialmente gli uomini di
scienza, di cultura e d'arte sentono la necessità urgente di
portarsi spesso a contatto con la natura, allo scopo di ritrovare in
se stessi tutte le capacità potenziali per scoprire i grandi
problemi della vita.
L'assenza poi dai rumori produce e restituisce all'organismo una
naturale distensione psicologica di grande importanza per la ripresa
dell'attività di tutti i giorni.
La posizione romantica ruskiniana che annulla la personalità umana
di fronte allo spettacolo paesistico della natura che è oggetto di
illimitata contemplazione, è superata come la posizione classica,
che afferma la personalità dell'uomo al di sopra dell'ambiente. La
persona umana di fronte alla natura è un soggetto d'integrazione e
di comprensione dell'ambiente.
La cultura del paesaggio come fonte educativa e spirituale deve
intendersi in continua ricerca del soggetto dove potenzialmente si
trova; quindi attività critica e creativa nello stesso tempo,
interpretazione ed invenzione della persona di fronte alla fonte
espressiva dell'ambiente.
Per comprendere questi valori della natura è necessario quindi che
l'uomo non trasferisca in campagna tutte le abitudini di vita
cittadina e borghese -case, svaghi, ristori- ma si trasformi in se
stesso ritrovando la sua personalità e cambiando completamente il
costume convenzionale di vita quotidiana.
Prof. Ing. Giancarlo Nuti
Sintesi della relazione tenuta al Convegno di studio sul tema: « Il
Parco nazionale San Rossore-Migliarino » voluto e organizzato dalla
sezione pisana < Italia nostra » il 1&17 gennaio 1965 a Pisa
Allegato 2
Sulla vegetazione litoranea
L'Ispettorato regionale delle foreste per la
Toscana non ha che da sottolineare in questo convegno quello che ha
già espresso nel precedente congresso indetto dall'associazione "Pro
loco di Grosseto", dalla sezione "Italia nostra" della stessa città,
e dalla "Società naturalistica Maremma", sulle necessità della più
assoluta conservazione della fascia di vegetazione erbacea,
arbustiva ed arborea del litorale di questa regione.
A parte l'enorme interesse paesaggistico dei rappresentanti più
insigni di questa vegetazione come sono i boschi soprattutto di pino
domestico e secondariamente di pino marittimo, a parte il notevole
interesse botanico e faunistico di certe zone, prima fra tutte San
Rossore, non bisogna assolutamente dimenticare che tutta la
vegetazione litoranea disimpegna qui un ruolo fondamentale di
consolidamento delle mobili arene nonché di difesa delle colture,
dei manufatti e delle altre più importanti opere dell'uomo del
retroterra, dalla violenza dei venti di mare e perciò carichi di
salsedine, in modo particolare del terzo quadrante.
Né può escludersi anche da parte della stessa vegetazione, una certa
funzione, arginante entro certi limiti il disordine idrico causato
in determinate condizioni dal divagare delle acque in conseguenza
del ristagno dei corsi d'acqua.
E cosi non può trascurarsi in questo ambiente l'estrinsecazione da
parte della massa vegetante di una funzione correttrice sotto un
profilo più generale di certi elementi del clima data la ben nota
tendenza della foresta di crearsi gradualmente nelle stagioni secche
un ambiente sempre più umido e viceversa in quelle umide un ambiente
sempre più secco.
Ora è chiaro che per assicurare l'integrità di queste importanti
complesse funzioni, è necessario il più assoluto rispetto di questa
vegetazione nel senso che ogni nostro intervento su di essa deve
essere guidato dal più rigoroso criterio della sua conservazione.
È noto che ad eccezione delle pinete in genere di pino domestico e
marittimo -le quali del resto si sono perfettamente naturalizzate-
tutta la nostra vegetazione litoranea è di origine naturale e
formatasi date le eccezionali difficoltà dell'ambiente (alidore e
offesa dei venti marini) attraverso un processo lentissimo di
selezione delle specie più adatte.
Essa pertanto si distribuisce a partire dalla battigia cosiddetta
del mare agitato, secondo altezze crescenti che vanno da quelle
delle specie tipicamente alofìte dei generi Salsola, Hrmgium,
Ammophila, Euphorbia, ecc., a quella della tipica macchia dei
litorali dominata nella posizione più avanzata sul mare dal ginepro
coccolone, quindi a quelle del piano di vegetazione arborea
costituito in prevalenza dalle pinete di pino domestico.
Una massa vegetante siffatta, disposta perciò secondo un piano
inclinato rivolto a mare, oppone una difesa elastica e della massima
efficienza, alla violenza dei venti marini.
É da rilevare ancora che procedendo dal battente marino verso terra,
cresce, oltre che l'altezza delle piante anche il numero delle
specie di queste, per l'evidente ragione che col migliorare delle
condizioni ambientali si allarga sempre più il campo delle
possibilità di vegetazione per quelle via via meno frugali.
Altra circostanza importante va considerata quella che con
l'infittire della vegetazione aumenta considerevolmente la funzione
miglioratrice del suolo coltivato inteso questo come sede di una
miriade di microrganismi vegetali ed animali che fanno del terreno
un complesso ed armonico laboratorio vivente.
Sotto questo aspetto viene a configurarsi il vero significato della
parola «bosco» inteso questo non già come un semplice aggregato di
piante d'alto fusto, bensì come un organismo equilibrato che
abbraccia in una sintesi armonica gli alberi, gli arbusti, le piante
erbacee, la stessa copertura morta e tutta la lunga catena di
interazioni e di cicli vitali degli esseri micro e macroscopici, che
ne popolano il suolo ed il soprassuolo.
Ogni nostro intervento quindi che venga a turbare questo delicato
equilibrio può avere conseguenze incalcolabili tanto più gravi ove
si pensi che la ricostruzione artificiale di questo soprassuolo è
bene spesso -per le difficoltà ambientali- impossibile e che la
natura per portare la macchia litoranea a un grado di evoluzione
come quello attuale ha impiegato senza dubbio un tempo lunghissimo.
Va poi oltretutto considerato che questa espressione naturale della
vegetazione nell'ambito di una regione a intenso grado di
colonizzazione agricola come la Toscana, condiziona quel rapporto
fra terra coltivata e terra non coltivata che riveste un'importanza
più grande di quanto non si creda in ordine all'esito delle nostre
colture.
Anche l'erba selvatica del ciglio di un fosso può in determinate
circostanze manifestarsi utile con l'ospitare forme di vita che
controllano secondo cicli biologici più o meno complessi, lo
sviluppo di altre forme di vita a noi manifestamente dannose.
Dalle poche cose fin qui dette emerge chiaramente la necessità di
conservare sempre integro questo nostro patrimonio vegetale dei
litorali.
Qualunque causa di danno è ben poca cosa di fronte alla grave
minaccia degli insediamenti che pende costantemente sulle pinete, le
quali, fra l'altro, impongono al litorale toscano un contrassegno di
inconfondibile bellezza.
Ora per conservare le pinete toscane, non v'ha che di applicare ad
esse, forme di governo e di trattamento conformi ai veri boschi di
protezione.
La forma di utilizzazione più adatta a questo fine è quella che
nelle discipline forestali è chiamata taglio saltuario da cui
consegue la disetaneità dei soggetti che compongono i popolamenti
arborei.
Per quanto sembri a qualcuno strano, le pinete litoranee della
Toscana sono, fatte poche eccezioni, disetanee per la pratica del
taglio saltuario in esse applicata.
Caratteristica fondamentale di questa forma di governo è
naturalmente quella che la perpetuazione del bosco si attua secondo
un processo di disseminazione naturale costantemente in atto.
In questa situazione sono del resto gran parte delle pinete
esistenti nel bacino del Mediterraneo e particolarmente quelle della
Spagna e dell'Anatolia le quali, anche per quanto concerne la
produzione in pinoli, attraverso il tempo, non apparirebbero, da
qualche confronto, in condizioni di svantaggio rispetto alle altre.
È chiaro a questo punto che l'insediamento fisso (conseguente alle
lottizzazioni) e anche quello temporaneo stagionale, ma sistematico
nella successione annuale, vengono a scalzare, modificando l'intima
struttura del complesso e le condizioni che costituiscono il
presupposto essenziale della rinnovazione, quello che è il principio
base della conservazione del bosco.
Né vale l'assicurazione che viene di solito data del rispetto delle
piante di pino nei singoli lotti poiché è anche troppo evidente che
con le lottizzazioni il complesso vegetante non ha più il carattere
di bosco quale qui è stato definito, bensì quello di una semplice
alberatura.
Gli insediamenti di qualsiasi tipo devono perciò aver luogo sempre
fuori dell'area occupata dalla vegetazione litoranea che ho testé
descritto.
Ogni specie di compromesso infatti fra questi particolari boschi e
le varie esigenze legate al turismo che premono su di essi appunto
perché tali, non possono che portare alla rovina progressiva degli
stessi complessi boscati e quindi degli stessi strumenti che
condizionano l'eccezionale sviluppo degli insediamenti in queste
zone.
La responsabilità perciò di chi è chiamato a studiare le necessarie
leggi speciali adatte per l'assoluta protezione di questo bene
inestimabile qual è la nostra vegetazione litoranea, nonché di chi
sarà chiamato poi ad applicare queste leggi, è grande.
Ritengo comunque che un primo importante passo sulla via del
conseguimento di questa alta finalità sarà fatto, allorché proprio
chi ha o avrà la responsabilità che testé ho accennato sarà
pienamente convinto, di quanto ora ho, modestamente, esposto.
Dottor Giuseppe Bosetto
Ispettore regionale delle foreste per la Toscana
Memoria presentata al convegno di studio sul tema «Il Parco
nazionale San Rossore-Migliarino», voluto e organizzato dalla
sezione pisana di "Italia nostra" il 16-17 gennaio 1965 a Pisa.
Allegato 3
L'interesse e l'importanza scientifica della fauna di San Rossore
Illustrare l'importanza della fauna di San
Rossore è compito un po' difficile, perché, volendo entrare in
dettaglio, sarebbe necessario riferirsi principalmente ad animali
che il profano non conosce. La avifauna da sola giustificherebbe la
creazione di un parco nazionale, ma la ricchezza maggiore della
fauna di San Rossore è rappresentata dagli invertebrati, in pratica
cioè, dalla microfauna. In genere quando si parla di protezione
della fauna si pensa ad una protezione dal nemico più vistoso che è
il cacciatore, e quindi può a prima vista sorprendere che si
vogliano proteggere insetti e lombrichi, millepiedi e ragni che
nessuno insidia. Il fatto è che il pericolo maggiore per la fauna in
generale è rappresentato nelle nostre regioni dalla distruzione
degli ambienti naturali e delle associazioni vegetali attraverso il
disboscamento, l'estensione delle colture, le bonifiche, l'uso
indiscriminato degli insetticidi e dei diserbanti, l'inquinamento
delle acque. Ogni specie animale ha determinate esigenze ambientali
e, per poter vivere e riprodursi, ha bisogno di condizioni
ecologiche particolari e diverse. Quanto più monotona e uniforme o
scarsa diventa la copertura vegetale, tanto più povera sarà anche la
fauna.
La prima ragione della ricchezza della fauna di San
Rossore-Migliarino è dovuta al fatto che nel comprensorio sono
conservati una serie di ambienti che altrove si stanno facendo più
rari o che sono estremamente ridotti in estensione. Il problema
della estensione di un ambiente è estremamente importante per la
sopravvivenza della specie. Se il territorio di caccia, la località
adatta per la nidificazione, con una parola, l'habitat, è troppo
ristretto, la specie non può viverci o si riduce ad un piccolo
numero di esemplari ohe una piccola calamità naturale, come un
inverno più rigido o un piccolo aumento dei predatori può
distruggere. Sappiamo che nelle piccole isole, proprio per questi
motivi la fauna è povera in numero di specie. Ebbene, anche un
ambiente naturale, se poco esteso, è come un'isola ed è povero di
specie.
A San Rossore-Migliarino alcuni ambienti per fortuna hanno
conservato una discreta estensione ed un considerevole numero di
specie di grande interesse. L'arenile di San Rossore è forse uno dei
biotopi più interessanti. Lo sfruttamento balneare ha reso sempre
più rari gli arenili in condizioni naturali dove si accumulino i
detriti rigetti dal mare (e qui particolarmente abbondanti per la
vicinanza delle foci dell'Arno e del Serchio) e dove, soprattutto,
non sia interessata la successione ecologica con l'entroterra (i
nastri di asfalto tanto cari ai lottizzatori rappresentano una
disastrosa frattura in un ambiente fra i più interessati) e già si
prospetta questa minaccia per la zona di Migliarino. Oltre a queste
ragioni di conservazione naturale, l'arenile di San Rossore si
presenta di particolare interesse perché, mentre a nord del Gombo
prosegue ancora l'edificazione costiera, si ha invece tra il Gombo e
l'Arno un attivo processo di distruzione della zona litoranea. Ciò
consente di studiare da una parte il sorgere ed il consolidarsi
delle associazioni biologiche, dall'altra la loro degradazione
conseguente alla invasione del mare. La microfauna del litorale di
San Rossore proprio per questi motivi ci sta particolarmente a cuore
ed è oggetto continuo di studi da vari anni, soprattutto per merito
del dottore Tongiorgi, che vi raccoglie e classifica migliaia di
esemplari e centinaia di specie in ogni stagione dell'anno.
Gli acquitrini salmastri delle lame presso l'Arno sono un altro
ambiente di grande interesse scientifico, con un popolamento misto
di forme provenienti in parte dalle acque dolci, in parte dal mare e
in parte tipiche delle acque salmastre. Diverse specie platelminti
nuove per la scienza sono state trovate qui por la prima volta e di
parecchie non se ne conoscono altre stazioni. Certe altre specie che
vi vivono sono note solo per le acque salmastre del Baltico. È stata
una vera iattura che la bonifica delle pasture più a monte abbia
interrotto la continuità degli acquitrini nei quali si poteva avere
un gradiente continuo di salinità, dalle acque completamente dolci
alle acque con salinità anche elevata presso la spiaggia.
Non vi annoieremo con i nomi delle specie e nemmeno dei gruppi
animali che in San Rossore presentano un interesse particolare. Ci
preme però sottolineare un punto molto importante: la microfauna di
San Rossore è ancora in gran parte sconosciuta, ma quello che ancora
non si conosce è del più grande interesse. Ogni volta che uno
specialista di un gruppo vi ha compiuto raccolte sistematiche, vi ha
trovato forme di molta importanza spesso nuove per la scienza.
Faremo solo un esempio. Sino al 1951 non si sapeva niente dei
Nematodi (vermi cilindrici) delle sabbie dell'arenile. Il dottor
Gerlach in soli nove mesi di studi vi raccolse un gran numero di
specie mai segnalate in Italia e 35 specie nuove per la scienza.
Ma la raccolta e la classificazione degli animali e delle piante è
solo uno dei molti aspetti della ricerca biologica condotta in
natura (non meno importante e feconda di quella svolta in
laboratorio). Gli studi di ecologia, cioè dei rapporti tra organismo
e ambiente, e di comportamento animale fioriscono oggi in tutti i
maggiori centri universitari. Per lo svolgimento di queste ricerche,
una delle condizioni più importanti è di nuovo la disponibilità di
un ambiente naturale, dove animali e piante vivono indisturbati,
dove i rapporti fra predato e predatore, tra ospite e parassita non
siano alterati, dove, insomma, si possa seguire veramente la vita in
condizioni naturali. Non si può studiare la psicologia degli uccelli
in una zona infestata da cacciatori ed egualmente poco redditizia
sarà una ricerca sulla vita negli arenili condotta in mezzo ad una
folla di bagnanti. A San Rossore, per esempio, è stato possibile
condurre lunghe ricerche sull'orientamento astronomico di alcuni
crostacei e di certi ragni, che certamente sarebbero state
impossibili in altre zone della provincia.
L'avifauna di San Rossore-Migliarino rappresenta uno dei pregi
maggiori anche dal punto di vista estetico ed educativo del
comprensorio in questione. Infatti, mentre la mammalofauna è stata
radicalmente alterata dall'azione secolare dell'uomo così che pur
non mancando specie pregevoli anche fra i grossi mammiferi, quali il
cinghiale e il daino (altre, come il gatto selvatico, la lontra,
ecc., potrebbero essere utilmente reintrodotte), nel suo stato
attuale deve ritenersi piuttosto banale, solo nell'ultimo
quarantennio gli uccelli hanno avuto a soffrire per la sensibile e
progressivamente più grave azione dell'uomo, e tuttavia a tali danni
sarebbe ancora possibile ed anzi facile porre rimedio entro un breve
lasso di tempo. Ancor oggi infatti il complesso della fauna ornitica
di San Rossore-Migliarino deve ritenersi fra i più pregevoli
d'Italia. Dobbiamo alla paziente fatica del professore Caterini un
elenco completo delle specie che soggiornano o che visitano
regolarmente o saltuariamente la zona. Orbene, su 510 specie finora
segnalate in Italia ben 263 frequentano la zona che ci interessa,
cioè quanto a dire che più della metà della fauna ornitica d'Italia
può essere osservata e studiala in questa sede. Più che un elenco
che, per essere lungo, riuscirebbe monotono, delle «rarità»,
osservate a San Rossore che, oltre a tutto, si presterebbe alla
obiezione che non si costituisce un parco nazionale per la
protezione delle specie migratrici accidentali o quasi in Italia e
che capitano nel parco in maniera saltuaria, si deve richiamare
l'attenzione sul fatto che, benché manomesso in modo grave da opere
di drenaggio che definire infelice è il meno che si possa, non meno
di 81 specie di uccelli nidificano regolarmente nelle due tenute ed
altre 62 vi svernano regolarmente. E basterebbe ripristinare le
condizioni naturali del deflusso delle acque per ricreare un
ambiente idoneo a molte altre specie e soprattutto per consentire la
sosta a migliaia di migratori. Un ultimo argomento vorremmo
aggiungere agli altri che già rendono inestimabile il valore
scientifico di San Rossore, ed è la vicinanza di un centro di studi
e di ricerche quale l'Università di Pisa. Se paragoniamo la nostra
conoscenza sulla fauna e sulla flora di San Rossore-Migliarino (per
quanto incompletissime) con quelle di altre zone consimili ci
accorgiamo della grande importanza della vicinanza di studiosi e di
laboratori. Gli istituti di zoologia, di biologia generale, di
entomologia agraria, di botanica, della nostra università (ma anche
di altre università toscane) hanno svolto e svolgono ricerche
sistematiche, ecologiche ed etologiche sugli organismi di San
Rossore-Migliarino. Per i ricercatori è una fonte inesauribile di
materiali, di problemi, di argomenti, per gli studenti una magnifica
palestra. Di questi interessi dell'Università di Pisa fanno fede
numerose deliberazioni, delle quali leggerò la più recente, votata
all'unanimità dalla facoltà di scienze nel giugno 1962, allorché si
fece più minacciosa per Migliarino la speculazione edilizia:
«Il consiglio della facoltà di scienze, vivamente allarmato dai
progetti di lottizzazione della macchia di Migliarino, che
porterebbero alla distruzione di un ambiente il quale, unitamente
alla contigua tenuta di San Rossore, costituisce un complesso
floristico e faunistico di inestimabile valore scientifico e
paesistico, considerato anche che la macchia litoranea è oggetto di
ricerche scientifiche da parte di diversi istituti della facoltà, fa
voti affinché le competenti autorità intervengano sollecitamente
onde la zona di Migliarino sia conservata in condizioni naturali,
vietando la lottizzazione e l'apertura di nuove strade».
Né si pensi, a parte la vicinanza ad un centro di studi, che la
funzione di un parco San Rossore-Migliarino possa essere svolta da
altre riserve, nemmeno per la protezione della avifauna.
Infatti gli organismi internazionali che si occupano della
conservazione della fauna sono unanimemente giunti alla conclusione
che la conservazione delle specie migratrici -sia totali che
parziali- che rappresentano una larga parte dell'avifauna delle
regioni temperate, dipende dall'esistenza di una rete di riserve
lungo le vie di migrazione in cui vi siano le condizioni idonee per
le varie specie. Queste aree devono avere consistenza sufficiente a
permettervi durante la migrazione la concentrazione di un'aliquota
tale dell'intera popolazione emigrante che possa ripristinare
l'intera popolazione ove quella che non vi rimane dovesse essere
decimata altrove. In pratica per ciascuna specie occorre assicurare
l'assistenza di un habitat perfettamente congruo e di estensione
sufficiente durante lutto il suo ciclo biologico in modo da evitare
che la popolazione possa scendere al di sotto dei limiti critici, i
quali, purtroppo, per molte specie di uccelli europei, stanno già
per essere raggiunti.
Le aree in Toscana che siano idonee a svolgere tale funzione sono
incredibilmente poche e le migliori tra esse sono tre: San
Rossore-Migliarino, i monti dell'Uccellina-Bocca di Ombrone e infine
la foresta Casentinese, tre complessi tuttavia che si presentano con
caratteri assai diversi fra di loro, cosicché sarebbe o sciocchezza
o malafede il sostenere che uno possa sostituirsi all'altro.
Visti i caratteri della fauna che ci interessa, ne scaturisce che
nel progettare il Parco nazionale di San Rossore-Migliarino si dovrà
partire dunque da alcune considerazioni fondamentali. In primo luogo
la protezione effettiva di ciascuna specie si realizza solo a
condizione di porre a disposizione di quella specie un'area in
condizioni assolutamente naturali o in cui tali condizioni possano
rapidamente ripristinarsi; in cui una popolazione sia
sufficientemente numerosa da potersi perpetuare anche se circostanze
naturali le impongono occasionalmente gravi perdite. Gli individui
vi dovranno poter vivere in spontaneo equilibrio con tutte le altre
specie animali e vegetali, ivi compresi i loro nemici, il cui ruolo
biologico è fondamentale.
In secondo luogo, mentre per la microfauna aree limitate di qualche
decina di ettari possono essere sufficienti, per i mammiferi e ancor
più per gli uccelli occorrono aree molto più estese. Ai fini della
progettazione del parco, quando siano tenute presenti le esigenze
dei mammiferi e degli uccelli, le altre potranno essere considerate
automaticamente soddisfatte.
Da queste premesse scaturisce, quando si consideri la distribuzione
e la consistenza dei vari biotopi nel comprensorio in studio, che il
parco, se deve assolvere alle proprie finalità istituzionali, deve
consistere di non meno di 8 mila ettari di territorio classificati
nella categoria A del progetto di legge-quadro dell'onorevole
Raffaele Leone e del progetto degli onorevoli Rossi, Restivo,
Marangoni, La Malfa e Badini Gonfalonieri, nonché di almeno 4 mila
ettari di riserva parziale in cui la caccia possa essere inibita
totalmente in tutti i periodi in cui ciò sembra opportuno alle
autorità del parco. Nella riserva parziale il regime attuale delle
attività culturali dovrà restare invariato mentre dovrà essere
tassativamente vietata la circolazione dei natanti a motore entro
due miglia dalla spiaggia per tutta la zona prospiciente il
territorio.
In pratica dunque zona A per tutto il territorio compreso fra il
mare, il fosso della Bufalina, la ferrovia, Barbaricina e l'Arno,
ripristinandovi le naturali condizioni di impaludamento e vietandovi
l'introduzione di specie animali o vegetali non caratteristiche del
territorio, l'ulteriore effettuazione di utilizzazioni forestali,
raccolta di vegetali, catture animali, esercizio della caccia e
della pesca, l'introduzione di armi ed esplosivi e qualsiasi altro
mezzo di distruzione e cattura. Dovranno essere inoltre vietati
sbarramenti idrici, costruzione di strade ed elettrodotti, estese
opere edilizie, campeggi, pratica di sport organizzati, fuochi
all'aperto, transito fuori dei percorsi autorizzati, sorvoli a bassa
quota con aerei od elicotteri e quegli altri divieti previsti dalle
leggi-quadro che stanno per essere approvate dal Parlamento. Nella
rimanente zona di riserva, parziale invece, che dovrebbe comprendere
il rimanente della tenuta di Migliarino ed il lago di Massaciuccoli,
dovrebbero essere concentrate le attrezzature ricettive e culturali
analogamente a quanto è previsto nel progetto di legge del Parco
nazionale della Maremma (monti dell'Uccellina-Bocca d'Ombrone).
Prof. Simonetta dell'Università di Firenze
Prof. Floriano Papi dell'Università di Pisa
Dalla relazione tenuta al convegno di studi sul tema «Il Parco
nazionale San Rossore-Migliarino» voluto e organizzato dalla sezione
pisana di "Italia nostra" il 16-17 gennaio 1965 a Pisa.
Allegato 4
Il Parco nazionale San Rossore-Migliarino
Il recente Convegno regionale di studi tenuto
dalla sezione di Pisa di "Italia Nostra" nei giorni 16-17 gennaio
per l'istituzione di un Parco nazionale comprendente le foreste
litoranee tra Livorno, Pisa, Viareggio ha consentito con le
relazioni di docenti d'Università e di esperti altamente qualificati
di presentare al pubblico il valore scientifico ed i caratteri
tipici della flora e della fauna del territorio di Tombolo, San
Rossore, Migliarino.
Questo vasto patrimonio biologico e forestale della Silva
mediterranea, in tutte le primitive specie naturali viventi insieme
a quelle dovute alle diverse trasformazioni ed importazioni
antropiche, si presenta in massima parte ancora integro
eccezionalmente preservato dopo tanti secoli dalla pressione della
conquista edilizia verso le nostre spiagge e scogliere.
Il paesaggio rimasto intatto nei suoi elementi figurativi rivela
l'espressione diretta e totale della natura proprio qui dove l'Arno
ed il Serchio alla foce, dopo aver percorso una campagna toscana
tutta umanizzata, rinnovano i termini di un confronto con l'infinita
estensione dello spazio tra terra, cielo e mare.
La comprensione di questi beni da parte della società è un'esigenza
culturale della vita moderna, promossa dal grado di civiltà.
Il sistema economico collettivo fondato sulla ricerca del benessere,
la produzione di espansioni urbanistiche residenziali per un
pubblico sempre più vasto ed esigente ed il rapido incremento della
motorizzazione, hanno elevato lo stato della società ed ampliato gli
interessi ed i rapporti di tutti con il mondo esterno, ma hanno
ridotto lo spazio-tempo della vera vita dell'uomo.
Mantenere questo vitale ambiente della natura vuol dire lasciare a
tutti un patrimonio insostituibile di valori capaci di rinnovare per
l'umanità le risorse potenziali dell'intelletto e dello spirito. Il
bene è veramente inestimabile, perché, dopo la sua distruzione non
sarà possibile ricostruirlo anche impiegando tutti ì mezzi della
tecnica e della scienza.
I recenti avvenimenti segnalati sono quindi di estrema importanza
perché costituiscono una potenziale e progressiva minaccia di
invadente urbanizzazione.
Dalla documentazione presentata al Convegno risultano infatti
accertati i seguenti fatti:
1) La vendita a Società Immobiliari di vasti appezzamenti di terreno
a pineta al limite Nord della tenuta Salviati.
2) La cessione da parte dell'Amministrazione Salviati della fascia
costiera comprendente il litorale ed un tratto di pineta marittima
al Comune di Vecchiano.
3) La costruzione di una strada consorziale nuova passata poi al
Comune di Vecchiano e collegante il nucleo abitato di Migliarino con
il tratto centrale dell'arenile, Canale della Bufalina-Bocca di
Serchio.
4) La previsione del piano intercomunale Viareggio-Vecchiano della
nuova destinazione di una zona agricola interna tra il Serchio e la
pineta, comprendente insediamenti residenziali ed un centro
attrezzato di servizi generali oltre allo sviluppo di una zona
industriale attigua all'abitato di Migliarino.
Sono manifesti i segni irreparabili di una gravissima frattura
dell'ambiente paesistico, la quale porterà la conseguente
lottizzazione delle aree già vendute o in trattativa di
compra-vendita.
Si deve inoltre aggiungere a questi fatti la notizia del decreto
presidenziale del 5 gennaio 1965, che conferisce personalità
giuridica all'Ente per lo sviluppo della zona portuale ed
industriale Livorno-Pisa, con l'indicazione planimetrica dei limiti
di estensione per le prime attuazioni e successivi sviluppi di
utilizzazione industriale e commerciale.
La suddetta zona industriale per la vastità e l'ubicazione dei
terreni interessati e per le conseguenze inevitabili delle sue
installazioni verso le pinete costiere di Tombolo, Tirrenia, Marina
di Pisa, distruggerebbe non solo la possibilità di realizzare nel
comprensorio il Parco, ma anche l'esistente equilibrio urbanistico
ambientale e le potenziali risorse del litorale.
La zona colpita dal programma di questi interventi investe nel cuore
la regione delle foreste, che verrebbe in questo modo a perdere con
la continuità territoriale l'unità di un ambiente naturale e la
ragione di uno stato biologico radicato nel tempo ed esteso su tutta
la costa.
Anche l'assetto idrogeologico e morfologico dei terreni sarebbe
sconvolto e la pianura della valle dell'Arno verrebbe a perdere la
protezione termoregolatrice delle pinete marittime.
L'iniziativa intrapresa da "Italia Nostra" si propone pertanto di
preparare con urgenza un provvedimento legislativo efficace e
completo per la costituzione del Parco nazionale San
Rossore-Migliarino, che, secondo la mozione conclusiva del Convegno,
consenta:
«l'indagine unita alla protezione ed al rinnovamento del patrimonio
naturale della fauna e della flora e la possibilità di acquisire il
godimento di un paesaggio naturale con tutte le garanzie imposte
dalle esigenze di conservazione dei valori ambientali».
Il comprensorio Parco dovrebbe avere una estensione compresa da
Viareggio a Nord al Calambrone a Sud, delimitala ad Est da una
fascia confinante con le grandi arterie di comunicazione Nord-Sud
per una superficie complessiva di circa ettari 13.500.
In relazione al carattere eccezionale di tutto il comprensorio la
zona del Parco a nord dell'Arno fino al canale della Bufalina deve
quindi essere considerata come Riserva Integrale e Generale, mentre
la zona tra Viareggio ed il canale della Bufalina e tra Pisa, Marina
di Pisa ed il Calambrone può essere classificata, tenendo conto
della situazione esistente, tra le zone di protezione e controllate.
I temi trattati durante il Convegno e largamente diffusi dalla
stampa locale e nazionale hanno suscitato un profondo interesse da
parte del pubblico con importanti risultati per la formazione di un
movimento responsabile di cultura.
In modo particolare è stato possibile scoprire per tutti:
1) I valori scientifici dell'ambiente naturale e la necessità di
costituire queste riserve viventi della flora e della fauna per la
ricerca applicata e la cultura del pubblico. Lo Stato che si propone
di finanziare la ricerca scientifica considerata indispensabile per
il progresso della civiltà, non può permettere la progressiva
distruzione di questi laboratori modello di biologia vegetale ed
animale, connaturati con lo stesso ambiente di spontanea formazione.
2) I valori figurativi e paesistici come la verifica espressiva di
una realtà naturale al di fuori della soggettivazione umana, fonte
di nuove invenzioni ed intuizioni critiche, partenza di una totale
rigenerazione fisica, intellettiva e spirituale.
3) L'importanza di una responsabile educazione civile, privata e
pubblica, che consenta in modo assoluto il godimento per ciascuno e
la difesa per tutti dell'ambiente naturale, dove la vita dell'uomo,
come quella degli altri organismi possa trovare sempre nel tempo il
suo più perfetto equilibrio.
Gian Carlo Nuti.
Da "Italia Nostra", gennaio-febbraio 1965, n. 42.
Allegato 5
I congiurati della pineta
Se l'ultimo articolo del codice penale servisse a
qualche cosa (quello che punisce chi. mediante costruzioni,
demolizioni o in altra maniera distrugge o altera le bellezze
naturali), oggi vedremmo imputati i Ministri della pubblica
istruzione degli ultimi anni, i membri del Consiglio superiore delle
Antichità e Belle Arti, soprintendenti, provveditori alle opere
pubbliche, sindaci e consiglieri comunali. È infatti cominciata la
distruzione della pineta di Migliarino, tra Viareggio e Pisa, una
delle più intatte foreste costiere mediterranee. È l'ennesima prova
che, da noi, le risorse naturali vengono normalmente eliminale per
diretta responsabilità di coloro che dovrebbero custodirle
gelosamente: sconfessando così il nono articolo della Costituzione,
secondo il quale (ma nessuno se n'è mai accorto) la Repubblica
tutela il paesaggio.
La macchia di Migliarino, di oltre 2.500 ettari, è compresa fra la
Macchia Lucchese a nord e la tenuta di San Rossore a sud: essa
costituisce dunque il nucleo centrale della più compatta plaga
forestale litoranea italiana, con uno sviluppo costiero di quasi
venti chilometri e una profondità massima di cinque; la sua è la
tipica vegetazione mediterranea, fatta di pini marittimi, pini
domestici, lecci, querce, eccetera. Mentre la Macchia Lucchese
(circa 500 ettari) è proprietà del comune di Viareggio e la tenuta
di San Rossore (oltre 5.000) è un bene demaniale in dotazione alla
Presidenza della Repubblica, la macchia di Migliarino è di proprietà
privata: per questo è diventata vittima delle mene della
speculazione.
La triste storia comincia dieci anni fa quando sull'onda del
benessere incipiente e del cronico disordine urbanistico, le coste
italiane, in assenza di qualunque piano, studio e ragionevole
previsione, diventano terra di conquista per le peggiori iniziative
della cosiddetta «valorizzazione turistica».
Gli eredi Salviati, proprietari di Migliarino, sono ansiosi di
trarre un lucro enorme dalla distruzione di un bene creato dai loro
antenati. Il reddito della produzione dei pinoli, che pure è di
parecchie decine di milioni l'anno, impallidisce ormai di fronte ai
miliardi che offre la prospettiva della vendita e della
lottizzazione della pineta. L'uomo cui i Salviati si rivolgono per
avviare l'operazione è l'ingegnere Valdemaro Barbetta, oscuro quanto
autorevole rappresentante di quella sottocultura urbanistica che
nell'ultimo ventennio, giovandosi di compiacenze ai più vari
livelli, ha contribuito a dare un volto ripugnante alle città e alle
campagne d'Italia. È l'uomo, tanto per avere un'idea, che ha dato il
via all'invasione edilizia di circa mille ettari di Punta Ala e che
ha costruito quei due obbrobriosi agglomerati che si chiamano
«città-giardino» di Viareggio e quartiere di San Gervasio di
Firenze. Il piano che costui elabora per Migliarino è degno della
sua fama: più di cinquecento ettari vengono investiti dall'alluvione
edilizia a costituire una «città molto preziosa e raffinata», più un
porto fluviale alla foce del Serchio «per miliardari di tutti i
continenti», dove si sarebbero «cullati i sogni delle dive e le
fantasie dei re del petrolio».
A questo progetto il Consiglio superiore delle Antichità e Belle
Arti (la zona è infatti vincolata fin dal 1952) trova in un primo
momento la forza di opporsi. Qualche tempo dopo però ci ripensa e,
anziché promuovere un'azione decisa per la salvaguardia del
comprensorio e la sua acquisizione, finisce con l'accettare il
solito compromesso: spinto dal soprintendente di Pisa
(inspiegabilmente tenero verso i progetti Salviati-Barbetta) e
rinunciando per sempre al principio dell'intangibilità, nel 1958
approva un progetto che destina alla lottizzazione 232 ettari
situati nella zona settentrionale della tenuta, tra l'Aurelia e il
mare. Viene così autorizzata la costruzione di 800 mila metri cubi
(cioè un volume pari a otto alberghi Hilton romani uno sull'altro),
da infilare tra i pini come carta-velina, con conseguente
trasformazione della pineta in squalificato suburbio.
Un gioco di miliardi
Alla condiscendenza della Pubblica istruzione si accompagnano le
pressioni del comune di Vecchiano, nei cui confini rientra
Migliarino; dista una decina di chilometri dalla costa e vuole uno
«sbocco al mare». Tra Vecchiano e i nove eredi Salviati viene quindi
stipulata una convenzione, in base alla quale il primo concede mano
libera ai secondi nei 232 ettari e ottiene in cambio l'accesso
all'arenile mediante la costruzione di una nuova strada attraverso
la tenuta, più qualche altro piccolo favore. In sostanza, il comune
baratta un limitato e precario vantaggio per un vero e proprio
disastro nazionale qual è Io smembramento e la privatizzazione della
pineta, e regala miliardi ai proprietari e agli speculatori in
cambio di poco o niente. Lo strano è che questa convenzione,
stipulata nel dicembre 1961, viene in seguito approvata con
sorprendente velocità da tutte le autorità competenti: tra il marzo
e l'aprile del 1962 riceve il benestare del provveditorato alle
opere pubbliche, dell'ispettorato forestale, dell'ufficio tecnico
erariale, della Soprintendenza ai monumenti e della giunta
provinciale amministrativa.
Fatta la convenzione si costituiscono una mezza dozzina di società
per l'acquisto, la vendita e la lottizzazione dei terreni (a larga
partecipazione, spiace dirlo, socialista): oggi sono visibili i
picchetti dei primi lotti presso l'Aurelia, e un motel sta per
essere costruito un po' più in là; baracche abusive per i più
diversi usi sorgono sull'arenile, ridotto a un letamaio; la strada
di attraversamento è stata fatta, ma tutto lascia credere che sarà
proseguita in modo da tagliare longitudinalmente tutta la tenuta: e
già un migliaio di ceppaie di sottobosco sono state abusivamente
abbattute. È una strada che, oltre al fine filantropico di portare i
vecchianesi al mare, sembra fatta apposta per favorire
l'urbanizzazione prevista non solo dal progetto di lottizzazione
approvato, ma di quello originario di ben maggiori e più micidiali
proporzioni: e già si parla di acquisto di terreni al di fuori della
zona convenzionata.
Non basta: anche l'unico strumento urbanistico elaborato in questi
anni, il piano intercomunale Viareggio-Vecchiano (un piano di
compromesso, comunque) è finito in niente: nel dicembre scorso è
stato respinto dal consiglio comunale di Vecchiano perché non
rispondente «alle esigenze della popolazione», cioè,
presumibilmente, perché considerato ancora non abbastanza largo
nelle previsioni edilizie. Quanto al profitto ricavato dagli
interessati, i Salviati hanno incassato dalla vendita due miliardi e
mezzo: due anni fa le società acquirenti calcolavano in almeno sei
miliardi il valore del terreno, che oggi supererebbe i dieci
miliardi. È un gioco che si fa ormai al di fuori della portata del
povero comune di Vecchiano.
Così, con leggerezza e un passo dopo l'altro, in assenza di
qualsiasi piano e visione d'insieme, si liquida un patrimonio
ingente e la situazione appare tanto più grave sol che si consideri
quanto è già successo sulla costa toscana, da Bocca di Magra a
Livorno. Da nord a sud, per quasi trenta chilometri, il litorale è
stato trasformato nella squallida ininterrotta città lineare che
tutti conoscono. I guasti realizzati o in corso o in programma si
chiamano lottizzazione del promontorio di Monte Marcello,
lottizzazione di Marina di Carrara, lottizzazione della pineta la
Versiliana a Marina di Pietrasanta (opera del Barbetta);
lottizzazione intensiva di Lido di Camaiore; «città-giardino» di
Viareggio; lottizzazione lagomare nella Macchia Lucchese (altra
opera del Barbetta), la quale può dare un'idea della sorte riservata
nel prossimo avvenire alla contigua pineta di Migliarino. A sud di
questa e di San Rossore, troviamo la cortina edilizia di Marina di
Pisa, le lottizzazioni a tappeto eseguite dall'ente Tirrenia, che da
oltre trent'anni amministra e distrugge circa 1.800 ettari di pineta
(quindici ettari gli sono stati recentemente sacrificati dal piano
regolatore di Pisa, allo scopo di creare, con risibile neologismo
urbanistico, nuovo «verde a ville» !), la base logistica americana
(1.400 ettari), eccetera: ovunque la pineta è stata intaccata,
danneggiata, distrutta, sempre privatizzata e comunque preclusa
all'accesso pubblico; dovunque è stata stroncata la continuità tra
mare e entroterra.
La lottizzazione di Migliarino si presenta dunque come l'ultimo
passo verso la completa degradazione dell'intero arco litoraneo. Per
impedirla si battono da anni gli uomini di scienza e gli enti di
cultura.
Nel 1962 il consiglio della facoltà di scienze matematiche, fisiche
e naturali dell'Università di Pisa raccomanda alle autorità che la
macchia di Migliarino, dato il suo «inestimabile valore scientifico
e paesistico», venga «conservata in condizioni naturali, vietando
lottizzazioni e costruzione di nuove strade». Dello stesso parere è
la commissione provinciale per le bellezze naturali di Pisa che
prospetta l'urgente necessità che si provveda alla «conservazione
del carattere agricolo, forestale e naturalistico» della zona:
proposte concrete sono state avanzate dai naturalisti riuniti a
convegno l'anno scorso da "Italia Nostra" a Pisa. È stato
sottolineato il ruolo fondamentale che ha la vegetazione litoranea
per il consolidamento delle mobili arene, per la difesa delle
colture contro i venti di mare carichi di salsedine: la sua funzione
arginante contro il disordine idrico causato dal ristagno dei corsi
d'acqua, la sua funzione nei riguardi del clima, per il mantenimento
degli equilibri biologici, e per la vita della fauna, per la quale
esistono alcuni ambienti altrove diventati rarissimi.
Parco nazionale
L'unico modo di salvare quanto resta di queste grandiose riserve
naturali costiere è l'istituzione di un parco nazionale, che,
estendendosi dalla Macchia Lucchese al Tombolo a sud dell'Arno, avrà
il suo centro nel complesso Migliarino-San Rossore: circa 8.000
ettari di riserva integrale, più 4.000 ettari di riserva parziale. E
parco nazionale significa protezione della fauna e della flora,
divieto di costruzioni, divieto di transito al di fuori dei percorsi
autorizzati: significa soprattutto possibilità di praticare quella
forma moderna, civile ed educativa di turismo che consiste
nell'escursione in un ambiente naturale intatto.
Solo uno studio approfondito di tutti gli aspetti della questione,
nel quadro di un piano comprensoriale di tutta la zona tra
Viareggio, il lago di Massaciuccoli e il Calambrone a nord di
Livorno (con un litorale di oltre trenta chilometri), potrà definire
i diversi gradi della tutela e la localizzazione degli insediamenti:
quello che importa è di escludere questi ultimi dal parco vero e
proprio, per concentrarli invece nelle zone marginali, secondo i
piani di naturalisti e urbanisti.
Dopo decenni in cui le risorse naturali d'Italia sono state
abbandonate alla rapina privata, è arrivata l'ora di lasciare la
decisione agli esperti, per la salvaguardia di quanto ancora rimane.
Per il parco nazionale San Rossore-Migliarino sono stati elaborati
progetti di legge, sono stati rivolti appelli al Presidente della
Repubblica, sono state ripetutamente interessate le autorità
competenti e finora colpevoli: ma l'Italia ufficiale risponde col
silenzio, e le popolazioni locali, almeno a sentire i loro
rappresentanti, non vogliono saperne.
Antonio Cederna (da "l'Espresso") |