FRAMMENTI

dal "Secolo d'Italia" del 12 luglio 1987

 

«carta bianca»

Una comune e convinta strategia

 

 

Caro direttore, mi riferisco alla prima parte della «provocazione» di Niccolai ("Dove la coscienza ci dice di andare"; sul "Secolo d'Italia" del 7 luglio scorso) e al suo proposito, che è anche adesione al tuo invito, di discutere per rinnovare.
Niccolai è sempre stimolante ed apprezzabile perché dietro le sue provocazioni vi è l'onesto intendimento di ampliare il dibattito ed arrivare a delle conclusioni. Purtroppo però egli -a mio avviso- è più innamorato del momento provocatorio che di quello conclusivo (e costruttivo!) per cui effettua deliberate forzature in senso riduttivo e parziale trascurando (negando?) realtà e verità lampanti. In tal maniera il dibattito diventa viziato nelle premesse e non giunge ad autentici punti di arrivo strategici.
Mi spiego: quando egli dice che Giorgio Almirante ha tenuto insieme «una comunità perseguitata attraverso una propaganda costruita di volta in volta sulle occasioni...: i bottegai, i bassi napoletani, ecc»; quando Niccolai nega, che vi sia stata la capacità «di costruire un grande disegno, un programma di largo respiro di conciliazione e di ripresa nazionale», ebbene egli trascura la realtà e la verità nei loro aspetti globali ed essenziali, concentrando l'attenzione solo su alcuni elementi parziali, reali e veri pure essi, ma di volta in volta posti in evidenza quali aspetti macroscopici dovuti alla mancanza, da parte del regime partitocratico imperante, proprio di quel «grande disegno» e di quel «programma» in base al quale il MSI-DN ha denunciato le ingiustizie nei confronti dei lavoratori autonomi e dipendenti; il degrado delle città, specie di Napoli, il terrorismo vile ed inutile; l'inefficienza delle infrastrutture civili, sociali e sanitarie; l'oppressione fiscale e lo sperpero del pubblico denaro; l'occupazione delle istituzioni da parte di torme di famelici partitami.
Niccolai insomma ignora altri elementi, assolutamente non marginali, anzi essenziali, che, pure oggetto di volta in volta, di specifiche battaglie, completano il quadro e consentono di individuare non solo l'esistenza, ma anche la validità del «grande progetto» che è di Almirante, ma anche di tutti noi, perché tutti noi vi abbiamo contribuito (e non solo approvando la politica di Almirante!): la difesa della capacità d'acquisto dei lavoratori dipendenti contro la confisca dei punti della scala mobile (non va dimenticato che il partito comunista ci segui a ruota nel referendum); la lotta contro la discriminazione dei sindacati nazionali e per il riconoscimento della loro rappresentatività nazionale; la denuncia dell'inflazione come «costo del regime» a causa dell'inefficienza politica e nei servizi (specie trasporti, comunicazioni, produzione energetica e politica scolastica); la proposta di rifondazione dello Stato con la nuova rappresentanza delle categorie della cultura e dell'economia e quindi la modifica nella composizione del Parlamento con la presenza delle autentiche capacità; il presidenzialismo come garanzia di efficienza e di imparzialità al vertice dello Stato e degli enti locali; la costante richiesta di una programmazione produttivistica per combattere la disoccupazione, specie giovanile; la partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili delle imprese; la difesa dell'unità territoriale e linguistica della nazione; la parificazione nello sviluppo delle regioni meridionali.
Insomma tutta un'altra serie di «episodi» che insieme ben fanno quel «grande disegno» che Niccolai sembra non vedere, ma che si compendia nella nota strategia della «Nuova Repubblica».
Certamente il problema che Niccolai sottintende non è solo quello programmatico. Nella frase «largo respiro di conciliazione e di ripresa nazionale» vi è implicito il problema: con chi realizzare questo grande progetto? (visto che oggi la forza elettorale del MSI-DN non supera il 6% dell'elettorato).
Ebbene Niccolai a questo proposito dimentica che è in atto una crisi di identità di tutte le forze politiche dell'ex-arco costituzionale e resistenziale e che proprio queste forze, obtorto collo, pescano episodiche soluzioni parziali dal nostro ben più organico bagaglio politico: alcuni sono giunti a richiedere l'elezione diretta del Presidente della Repubblica; altri quella diretta del Sindaco; altri ancora una modesta modifica del sistema elettorale, e via dicendo.
Quindi il problema della aggregazione delle forze politiche è duplice: è un problema di presa di coscienza degli uomini politici più avveduti in tutti i partiti ed è un problema di maturazione degli eventi internazionali ed interni nel nostro paese (per esempio ormai ci si va convincendo che la presente legislatura sarà breve e di transizione).
Tutto questo perciò impone, all'interno del MSI-DN, una consapevolezza decisa e diffusa di essere portatori di un vero progetto in grado di affrontare i problemi italiani secondo moderne visioni. All'interno dei partiti della Democrazia cristiana e del socialcomunismo vi è un rimescolamento culturale e politico che può, allo stato delle tendenze, sfociare in programmi che recepiscono per forza di cose antiche e nuove intuizioni proprie del nostro ambiente mentre sul piano delle oligarchie di vertice invece si sta attuando una politica di chiusura ad ogni rinnovamento. Questo potrà scatenare contestazioni e lotte intestine. Il MSI-DN può inserirsi in questi dibattiti e far esplodere contraddizioni e contribuire a nuovi sbocchi. Ma prima di tutto è necessario che il nostro partito si senta sicuro della sua strategia nazional-popolare, dei suoi obiettivi presidenzialistico-corporativi, della sua classe dirigente interamente consapevole di queste comuni mete.
Quando una classe politica è portatrice di idee che impongono una forte tensione morale e politica, i pericoli di contaminazione, di intrallazzo, di spartizione contingente sono molto attenuati, se non esclusi. Perciò credo che al prossimo Congresso si debba andare per svolgere serenamente queste tesi e scegliere in base a questa strategia la classe dirigente del partito.
 

Marzio Narici
dal "Secolo d'Italia" del 12 luglio 1987

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