DICONO

"Tabularasa", n° 5  Anno VII, 15 novembre 1998

 

Fascista di sinistra

Giampiero Mughini

 

Pur di tentare di togliere la parola a Giuseppe Niccolai, oggi ex-deputato del MSI e una delle figure più adamantine che io conosca, perdette la vita un anarchico di vent'anni, Franco Serantini, figlio di NN e donatore di sangue. Pur di impedire il comizio che Niccolai avrebbe dovuto tenere a due giorni dalle elezioni del 7 maggio 1972, Lotta Continua aveva difatti promesso di mettere a ferro e fuoco Pisa. In un manifesto affisso dappertutto era scritto: «Caschi il mondo su di un fico / Niccolai a Pisa non parlerà».

A proteggere il comizio dell'oratore missino arrivò un battaglione della Celere. Contro trecento estremisti di sinistra si schierarono oltre un migliaio di poliziotti. Gli scontri si accesero subito di inaudita ferocia. Quando vide partire la carica dei celerini, Serantini, un ragazzo di statura modesta con un gran cespuglio di capelli neri in testa, si irrigidì e si bloccò. Nude le mani, lanciò qualche insulto. Gli arrivarono addosso e colpirono senza pietà. L'autopsia parlerà di doppia frattura cranica, di lesione al polmone, alle arcate sopraccigliari, al pube, allo scroto e agli arti inferiori. Rimessosi in piedi e arrestato per oltraggio alla polizia, Serantini venne interrogato l'indomani mattina, il sabato. Pur vedendolo «bianco in faccia», come racconterà l'avvocato d'ufficio, nessuno pensò di affidarlo alla diagnosi e alle cure di un medico. Gli portarono una borsa di acqua fredda da applicare alla testa, lì dove gli doleva. Rientrato in cella, Serantini entrò in crisi nella notte tra il sabato e la domenica: la frattura del cranio gli stava divorando la testa. Alle 9,45 di domenica era morto.

Lotta Continua rifiutò di commemorarlo assieme agli altri partiti e movimenti democratici, e Adriano Sofri tenne un comizio in un suo ghetto rosso rosso. Arrivai a Pisa pochi giorni dopo, in casa di Luciano Della Mea, un ex-socialista e uomo retto, che di Lotta Continua era un po' il fratello maggiore e talvolta il suggeritore. Luciano aveva espresso fin dal primo momento la sua netta avversione alla follia d tentare di impedire il comizio di Niccolai. In casa Della Mea, una specie di porto di mare dell'estrema sinistra pisana, furibonde erano state le discussioni a favore o contro quella scelta. Ricordo come fosse ieri la moglie di Luciano, Livia, poi morta d'un tumore alla testa, che nella cucina di casa sua parlava di Serantini, della sua morte assurda e inutile.

Niccolai l'ho conosciuto molti anni dopo, e ancora ricordava con commozione la sorte di Serantini, l'anarchico morto per aver cercato di togliergli la parola. Preso prigioniero in Africa nel maggio 1943, Niccolai andò a finire nel «fascist criminal camp» di Hereford, Texas, dov'erano prigionieri italiani che s'erano schierati dalla parte di Salò e dov'erano anche Giuseppe Berto, che vi scrisse il suo splendido "Il cielo è rosso", e Gaetano Tumiati, futuro vicedirettore di "Panorama" e poi capo del settore periodici della Rizzoli. Furono 15.000, su un totale di 55.000, i prigionieri che si rifiutarono di collaborare con gli Alleati.

Dopo la fine della guerra, quando gli americani non avevano più loro uomini prigionieri dei tedeschi, nel «fascist criminal camp» le razioni divennero di fame. Come reazione psicologica e come affermazione di identità, Niccolai non ha mai voluto imparare l'inglese. Tornato in Italia, il 27 settembre 1948 scrisse una lunga lettera-testimonianza sulla lacerazione della loro generazione al direttore di un quotidiano comunista di Firenze, Romano Bilenchi, uno che era stato anche lui fascista e non dei meno accaniti. Anziché togliergli la parola, Bilenchi gliela diede in prima pagina, tanto che la discussione tra comunisti e giovani fascisti continuò a lungo sul "Nuovo Corriere", il quotidiano che il PCI chiuderà nel 1956 perché troppo apertamente aveva preso le difese degli insorti polacchi e ungheresi.

Fascista di sinistra per antonomasia, uomo di grande lealtà intellettuale, oggi l'unico oppositore di Giorgio Almirante nel comitato centrale missino, Niccolai venne lodato da Leonardo Sciascia per una sua relazione di minoranza alla Commissione antimafia. Dalla bellissima biblioteca del padre, ha estratto un giorno e m'ha regalato una copia di "Lacerba", la rivista di Giovanni Papini, quel sessantottino degli anni precedenti la prima guerra mondiale.

Giampiero Mughini
"Compagni, addio", Mondadori, 1987