DICONO

"Il Giornale", 26 aprile 1991

OBIETTIVO - Il ricordo di Giuseppe Niccolai
L’utopia fascista di quel caro «nemico»

Giampiero Mughini

Caro direttore, non so se tu hai conosciuto personalmente Giuseppe Niccolai, l'intellettuale e dirigente del MSI morto poco più di un anno fa. Alcuni suoi amici, il socialista Antonio Landolfi come il missino Giano Accame, lo ricordano oggi a Bologna, alla Casa dell'Angelo. Mi spiace infinitamente non poterci essere. Niccolai era una delle figure più adamantine che io abbia mai incontrato, un italiano figlio di una guerra civile che non amava nemmeno un po', un intellettuale e un dirigente politico che metteva sempre la sua coscienza al primo posto. Leonardo Sciascia elogiò pubblicamente una sua relazione di minoranza, da deputato missino, alla Commissione antimafia. Giuseppe era un uomo dolce e gentile, che ascolta prima di parlare. Conservo gelosamente quel numero di "Lacerba" che mi regalò alcuni anni fa.

A raccontare quale sia stato il dramma di questi ultimi anni della storia italiana, quell'assurdo e psicotico prosieguo della guerra civile del 1943-45, varrà la pena ricordare che era proprio Niccolai l'oratore missino cui, nella primavera del 1972, i ragazzi pisani di Lotta Continua volevano togliere la parola, impedirgli a tutti i costi di tenere il comizio di chiusura della campagna elettorale a Pisa. Negli scontri di piazza che seguirono, fu duramente colpito dalla polizia un anarchico ventenne, Franco Serantini, che morì poco dopo di una lesione al cervello.

Secondo le testimonianze dell'accusatore Leonardo Marino, proprio alla fine del comizio dov'era ricordato Serantini, Adriano Sofri gli avrebbe dato l'ordine di uccidere Luigi Calabresi, in un certo senso a vendicare Serantini. Accusa alla quale io non credo, caro direttore. Fra pochi giorni sarò a Pisa, a testimoniare a favore di Sofri, perché il giorno del comizio c'ero anch'io a Pisa (da giornalista), e pioveva a dírotto: esattamente come sostiene Sofri. Ti stupisce che Niccolai e Sofri siano contemporaneamente miei amici? Sono sicuro di no.

Ma torniamo a Niccolai. Era stato catturato dagli inglesi durante la campagna d'Africa. Mi raccontò di un giorno in cui dei soldati francesi passarono dinnanzi al campo in cui erano custoditi separatamente i prigionieri italiani e i prigionieri tedeschi. A questi ultimi lanciarono delle sigarette, agli italiani niente (il famoso colpo alle spalle che gli avevano inferto nel giugno 1940). I soldati tedeschi divisero le loro sigarette con quelli italiani.

Niccolai venne poi trasferito negli USA. Erano i campi di prigionieri dove soggiornarono fra gli altri Giuseppe Berto e Corrado Tumiati, una pena che è stata raccontata da Fernando Togni in un suo bel libro nel 1989, "Avevamo vent'anni". Quando chiesero ai prigionieri italiani chi volesse schierarsi dalla parte dei Savoia, Niccolai rispose di no. Le razioni alimentari, a lui e a quelli come lui, vennero ridotte, Furono mesi di fame, in senso letterale. Per reazione psícologica, m'ha raccontato, non riuscì mai a imparare l'inglese.

Tornato in Italia, Niccolai non pensò dover rinnegare nulla. Con un suo compagno dell'anteguerra, il Romano Bilenchi, divenuto comunista, dialogò pubblicamente; non si rinnegava, ma cercava di capire e di farsi capire. Fece sempre chiazza a sé nel mondo missino, altero e indipendente. I migliori intellettuali di destra dell'ultima generazione lo avevano caro, lui che era così peculiarmente un «fascista di sinistra», uno che aveva in uggia l'americanismo, il mondo delle quantità materiali, la sfrenatezza consumistica. Cose che io, nel volergli bene, condividevo poco.

Figlio dei furori di sinistra della mia generazione, nel 1972 non conoscevo Niccolai. Ma ero già al punto di non condividere minimamente l'idea di voler togliere la parola a un oratore dell'altra parte e di giudicare perciò degli sciagurati quelli di Lotta Continua che imbastirono quel finimondo contro di lui. Quando poi l'ho conosciuto, una decina d'anni fa, mi sono chiesto che ne avrebbero pensato gli ex-giovani di Lotta continua a trovarselo innanzi, a conoscerlo per quel che davvero era ed era stato, un italiano dell'altra parte ma così leale e puro. E per quel che è del Sofri di oggi, non ho il minimo dubbio di come avrebbe avuto in simpatia Niccolai se lo avesse conosciuto.

Giampiero Mughini