"Millennio",
luglio-settembre 2007
Prosegue la carrellata di "ricordi" degli uomini che hanno fatto la Destra
italiana. Dopo Ernesto De Marzio, Beppe Niccolai: una «nobile bestemmia». una
anima critica. fedele alla regola di quelli che lottano in prima linea.
Beppe, quella nobile
bestemmia
Domenico Mennitti
Trasfigurazione mistica di Mussolini, Niccolai era il fascismo, era
un fratello grande come un padre. Come un campione solitario
immaginava scenari, certo impervi ma mai impraticabili |
Conobbi Beppe
Niccolai nell'agosto del 1963 a Roma. Mentre infuriava la canicola il MSI
celebrava all'EUR uno dei suoi animati congressi nazionali nei quali si
rinnovava la sfida per la segreteria del partito fra Arturo Michelini e Giorgio
Almirante. Niccolai era all'epoca un almirantiano di ferro e sosteneva con
fervore la causa del suo leader. L'eccesso di polemica fra i due schieramenti
determinò tensioni già alla vigilia del congresso e Michelini ebbe l'idea
imprudente di predisporre un manipolo di attivisti che avrebbero dovuto
garantire l'ordine fra i delegati. In verità i tutori dell'ordine, guidati da
Alberto Rossi, un protagonista dell'attivismo romano, presero troppo sul serio
le disposizioni ricevute e posero in atto un dispositivo di sicurezza non privo
di qualche rudezza.
Al primo giorno dei lavori, mentre rientravo nel salone dei congressi dopo la
pausa del pranzo, fui testimone di una contestazione vivace che un delegato
pisano mise in atto contro Alberto Rossi e il suo gruppo delle "camicie verdi".
Nella baruffa mi ritrovai accanto all'insofferente Beppe Niccolai. Fu uno
schieramento di solidarietà spontanea che segnò l'avvio di un rapporto che ha
segnato in misura non marginale la storia e le strategie del MSI. Perché con
Beppe dai primi anni Ottanta realizzai un sodalizio fortissimo che lo portò
addirittura a rompere i vecchi e saldi rapporti con Almirante per abbracciare
una coraggiosa scelta di rinnovamento.
DEPUTATO DI QUELLA COSTA PROIBITIVA
Fu per larga parte del suo percorso politico un uomo di opposizione, espressione
di una ribellione morale e politica che lo ha caratterizzato sempre. Viveva a
Pisa, terra di infedeli, dove svolse con cipiglio aggressivo per oltre
trent'anni il ruolo di consigliere comunale, sostenendo in aula e sulle colonne
di un giornale, "Rosso e Nero" (*), che scriveva da solo quasi per intero, una
battaglia che spaziava dai grandi temi della politica interna e internazionale
ai problemi quotidiani della sua città. Suoi interlocutori furono tanti, ma
prediligeva il ricordo del giovanissimo Massimo D'Alema con il quale fece grandi
baruffe, stabilendo però un rapporto di rispetto durato a lungo. Beppe fu anche
deputato eletto in quella circoscrizione toscana -detta «della costa»- che per
il MSI era proibitiva e in Parlamento, oltre che per altre iniziative, si
segnalò per una coraggiosa testimonianza che rese a conclusione dei lavori di
una commissione d'inchiesta promossa sulla mafia. Colse l'acutezza dell'analisi
e la efficienza delle proposte il presidente di quell'organismo, Leonardo
Sciascia, che nella relazione definitiva pronunziata alla Camera in sette
minuti, ne dedicò ben tre alle riflessioni del deputato toscano.
IL TEMPO PER AGGIUSTARE LA MIRA
Beppe, quando avviava una polemica, non conosceva limiti. Era aggressivo,
pungente, talvolta persino affrettato nelle valutazioni. Sapeva riconoscere il
torto quando lo scopriva e non è raro leggere su "Rosso e Nero" ritrattazioni
oneste dopo attacchi sanguinosi. Era toscano, anzi pisano, dotato di un
temperamento molto forte, fedele alla regola di chi vive in trincea: «Rispondi
colpo su colpo, c'è sempre tempo per aggiustare la mira».
Con Almirante sviluppò un rapporto solido, struggente: nei difficili anni
Settanta un comizio del leader a Pisa si chiuse con una aggressione fisica alla
quale Beppe oppose il suo corpo. Ne riferirono i giornali dell'epoca, i cui
titoli mi sfilavano davanti agli occhi il giorno in cui fui testimone a Roma,
nella sede di via della Scrofa, della fine del sodalizio che aveva condizionato
i suoi gesti, i suoi atti, insomma la sua vita. Correva il 1985: a primavera io
lanciai "Proposta", una rivista ideologica che divenne all'interno del MSI uno
strumento di dibattito e di rottura. Almirante all'inizio tentò di governare il
processo, poi si mise di traverso. Beppe, che era giunto all'approdo rivedendo
sue antiche certezze, non ebbe esitazioni a distaccarsi dall'uomo che aveva
considerato modello e guida.
Niccolai era toscano, anzi pisano, dotato di un temperamento molto
forte, fedele alla regola di chi vive in trincea: «Rispondi colpo su
colpo: per aggiustare la mira c'è sempre tempo» |
CAMPIONE SOLITARIO
Negli ultimi anni è stato in giro per l'Italia, frequentando sezioni del partito
dove raccontava la sua storia, le sue delusioni, le sue speranze. Da campione,
spesso solitario, di una lotta politica rivolta alla rivendicazione del passato,
divenne dialogico, aperto al confronto, disponibile a riconoscere le ragioni
degli altri. E a respingere l'arroccamento, ad intendere la diversità come
categoria dell'isolamento. Raccoglieva intorno a sé i giovani di spirito, da
cultore del passato s'era trasformato in premonitore del futuro. Quando fu colto
dal malore che nel volgere di pochi mesi gli causò la morte era in pieno
fermento. Si fermò solo perché era giunto al capolinea, quando pensava di poter
ancora combattere a lungo. Perse l'uso della parola e fu come se avessero
tarpato le ali al pensiero, perché Beppe era bravo a tracciare percorsi, ma il
maggior fascino lo esprimeva nel raccontarli. Erano impervi, ma non ti coglieva
mai il dubbio che fossero impraticabili. Con Altero Matteoli andai a trovarlo
nell'ospedale di Massa prima del mio ultimo congresso missino: lo sforzo per
comunicarmi le sue impressioni mi turbò, ebbi la sensazione di rendergli più
disagiata la condizione di combattente che non poteva più combattere. Ho
impressi nell'anima quei due grandi occhi tristi che mi seguirono mentre con
Altero percorrevo i viali dell'ospedale toscano di riabilitazione. Ammoniscono
che la vita ha un limite invalicabile: per tutti, anche per i protagonisti che
sembrano destinati a non morire mai.
UN MACIGNO E UNA VOCE
«È difficile parlare -scrisse su "Proposta" Pietrangelo Buttafuoco- le cose non
vanno bene e oggi è morto Niccolai. Niccolai per me era come Mussolini, anzi era
la trasfigurazione mistica di Mussolini, era il fascismo, era una nobile
bestemmia, era un fratello grande come un padre, era quello che aveva creduto e
ci aveva dato la forza di credere, era un macigno, era una voce».
Quella voce io, di tanto in tanto, ho la sensazione di riascoltarla.
Domenico Mennitti
NOTA:
(*) Molto probabilmente Mennitti si riferisce a "il Machiavelli", periodico
edito a Pisa dal 1954 al 1975 e non a "Rosso e Nero" che era una sua rubrica
pubblicata su "il Secolo d'Italia".
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