ARTICOLI

"Secolo d'Italia", 16 maggio 1989

 

A vent’anni dalla scomparsa restano attuali le anticipazioni introdotte dal giurista all’inizio degli Anni ‘50 nel dibattito politico. I diritti espropriati dal «Tiranno senza voto». L’assenza dello Stato, la crescila di incontrollabili poteri criminali. Il cittadino è sempre più solo. Decenni di discriminazioni bloccano ogni possibilità di ricambio nel sistema democratico italiano. Proseguire nel Paese quella rivoluzione culturale.

 

La partitocrazia in Maranini

Beppe Niccolai

 

Pubblichiamo la relazione svolta dall'on. Giuseppe Niccolai al convegno missino di Milano sul presidenzialismo.



Sono passati esattamente venti anni dalla scomparsa di Giuseppe Maranini: uomo di studio, scrittore, avvocato, scienziato del diritto; in gioventù (è una connotazione da non ignorare) legionario a Fiume con D'Annunzio. Nella sua piena maturità, agli albori della Costituzione repubblicana, è Lui che, con la Lezione inaugurale dell'Anno Accademico dell'Università di Firenze 1949-1950 «Governo parlamentare e partitocrazia» (questo il titolo) pone il problema del partito che controlla e macera lo Stato, e non è controllato.
Il termine «partitocrazia» è introdotto da Maranini, per la prima volta, 40 anni fa nel dibattito politico, e allora nessuno ci fece caso perché le vicende costituzionali, attraverso il governo stabile e prestigioso di De Gasperi, parevano svolgersi nel più regolare dei modi.
Maranini è dunque un anticipatore della grande crisi costituzionale che ci tormenta e dell'assoluta necessità di rinnovare i termini del nostro contratto sociale; se si vuole che l'Italia, dinnanzi alle grandi prove del 2000 non si perda nei gorghi di una «instabilità» selvaggia che la porterebbe, nella competizione mondiale che ci aspetta su tutti i mercati del mondo in difesa del Lavoro italiano, a sicura e definitiva sconfitta, una sconfitta che sarebbe una scomparsa a dimensione di popolo.
La morte ha colto Maranini prima del completo collasso delle Istituzioni e Lui, che era particolarmente attento ai problemi riguardanti la Magistratura, non ha vissuto i nostri tempi caratterizzati dalla dissolvenza, ad opera del partitismo, proprio di quel terzo potere: la Giustizia. Incapace ormai, avendo il partitismo abolito e corrotto ogni residuo di controlli giuridici e di equilibri nel sistema di governo, di rendere giustizia.


Il cittadino è sopraffatto
Il cittadino è solo. Sopraffatto, non può appellarsi alla forza dello Stato, perché lo Stato si è fatto partitocrazia. I diritti sanciti ed elencati dalla Costituzione vanificati, perchè i congegni istituzionali per farli valere sono tutti espropriati da quel «Tiranno senza volto» che è il partito moderno, il Principe di gramsciana memoria. Nella citata Lezione del 1949, Maranini afferma: «D’altra parte le nuove forze associative scaturenti dalla lotta economica si politicizzano influendo sulla vita dei partiti in modo cosi decisivo da rendere ormai anacronistiche e impossibili libere e spontanee correnti di opinione, quali una volta erano in sostanza i partiti. I partiti dell'epoca nuova, si presentano come organismi disciplinati, dotali di burocrazia, finanza, stampa, inevitabilmente collegati alle organizzazioni economiche, sindacali, lobbistiche delle quali riflettano le lotte e gli interessi. Veri stati nello stato, ordinamenti giuridici cioè autonomi, essi mettono in crisi con il loro particolarismo e talvolta con il loro il liberalismo il debole Stato liberal-parlamentare, al quale si presenta un compito ben più grave di quello per il quale era attrezzato; non si tratta più di difendere l’individuo contro l’individuo, ma si tratta di difendere l’individuo e la legge contro potenti organizzazioni. Queste a loro volta traggono sempre nuovo alimento dal senso di panico potenziale che pervade gli individui a causa della carenza dello Stato. L'individuo, sentendosi indifeso nel maggior ordinamento lo Stato, cerca negli ordinamenti minori e particolari la sua garanzia e a quegli ordinamenti paga il tributo di obbedienza che Io Stato non sa più esigere».
Scritte queste parole 40 anni fa, quando il fenomeno della criminalità organizzata era ancora da venire, acquistano oggi, quando interi Istituti di Credito possono cadere preda di Cosa Nostra, significanza davvero straordinaria e drammatica. Il cittadino, non più protetto dallo Stato o fugge o cerca la sua garanzia in altri «ordinamenti», pagando a questi il suo tributo di obbedienza, di sudditanza, intriso spesso di sangue. È la disfatta. Partitocrazia, correntocrazia: il canale putrescente, attraverso il quale l'uomo di Stato, l'uomo di Governo a Roma, si trova in Sicilia ad essere alleato all'uomo di mafia, sono parole di Leonardo Sciascia.
Carlo Alberto Dalla Chiesa ad Andreotti: «Onorevole Ministro, vado come Prefetto in Sicilia. Sento il dovere di dire che dovrò essere severo, specie nei riguardi dei suoi amici».
Lo Stato «partitocratrico» lo lascerà solo. E sarà la sua morte. La «solitudine nello Stato» e il potere criminale.
L'analisi di Maranini 40 anni fa, le denunce di oggi, i fatti di oggi.

Potere e criminalità
Beria d'Argentine, procuratore Generale del Tribunale di Milano: «Il potere politico legato alla criminalità economica non può cedere il campo alla giustizia, non può permettere che essa Giustizia funzioni. (I mafiosi siciliani sono uno dei punti del potere discrezionale, una delle zone fuori legge di cui la criminalità economica deve disporre). Oggi la criminalità economica è in grado di comprare gli uomini politici o di condizionarli» ("La Repubblica", 9.10.82).
Giancarlo Pajetta: «Oggi i confini fra la politica e la criminalità organizzata sono sempre più difficilmente identificabili».
Valentino Parlato, "il Manifesto", «La prima Repubblica è metastatica, non c'è più. La mafia è espressione di questo Stato. Questo Stato ha una potenzialità di violenza superiore a quella di 14 mafie messe insieme».
Alberto Cavallari, direttore de "il Corriere della Sera) (5.9.82): «La mafia non è più un fenomeno regionale. Dalla Chiesa muore perchè spedito al fronte senza tenere conto che dietro le sue spalle la mafia ha invaso le retrovie, gli Stati maggiori, l'Intendenza, il territorio nazionale. Che può fare Dalla Chiesa se Milano è mafiosa come Palermo, se Torino ha più cosche di Agrigento, se Roma è una grande Bagheria, e se tutto si lega alla mafia di New York, attraverso una rete fitta di ricatti, rapimenti, finanziamenti, associazioni per delinquere, commerci internazionali di droga, sistemi finanziari alla Calvi, basati sulla malavita? La mafia è stata nazionalizzata, ha invaso come cancro l'intero corpo della nazione e così amministra, uccide, finanzia,ricicla, decide, giudica, scrive, lottizza e governa».
Siamo allo sfacelo, allo schianto. Maranini con linguaggio scientifico (ricordo i suoi scritti raccolti da Bompiani nel "Tiranno senza volto", la sua famosa opera "Storia del potere in Italia; Lo spirito della Costituzione e i centri di potere occulto"), aveva previsto tutto ciò che istituzionalmente soffriamo. In un clima chiuso, ostile, settario, tale da costringerlo spesso, onde poter continuare a tener viva la sua predicazione, a mimetizzarsi, a procedere mascherato onde non farsi cancellare del tutto dal dibattito politico e culturale. Sempre comunque nel mirino di quei «professionisti della politica», i più interessati alla conservazione dell'assetto costituzionale, in quanto sistemati proprio dalla partitocrazia, o attraverso l'espansione verticale dello statalismo nell'economia, o con l'espandersi orizzontale del partitismo nell'ente regionale, nelle USL e altro.
I suoi tempi sono quelli dell'immobilità più assoluta, sposati all'intolleranza, la più spietata.
A chi si scopriva come Randolfo Pacciardi e il suo movimento del 1964, non solo l'ostracismo, l'accasa andava oltre: eversione contro lo Stato. Maranini poteva scrivere come cattedratico, ma guai se si fosse spinto più in là. I partiti non glielo avrebbero consentito. Idee sì, ma nessuna battaglia per attuarle
Questo clima intimidatorio, discriminatorio, di cui Maranini sentì i morsi feroci, è rimato fino agli anni '80. Tentò di dar vita all'Alleanza Costituzionale per la riforma dello Stato. Pareva una contraddizione di termini. Denunciava il fallimento della Costituzione, ne chiedeva il capovolgimento e metteva su una Alleanza costituzionale. Era un adattamento per raccattare qualche personalità politica, ma la cosa non camminò. Quelle personalità non erano affatto disposte a rompere con i propri partiti e a dare battaglia. Tenevano alle cariche, non a rinnovare istituzionalmente l'Italia.

La posizione sul Presidenzialismo
Il suo dover procedere mascherato lo situa, nei riguardi del presidenzialimo, in una posizione culturale che appare ambigua. Rileggendo in alcuni articoli riguardanti, con De grulle, il passaggio dalla 4ª alla 5ª Repubblica, è critico, ferocemente... «Il linguaggio di quel progetto della 5ª Repubblica», scrive, «e quello tipico di tutte le tirannidi contemporanee»... Mentre parla in contrapposizione, «del glorioso sistema di governo presidenziale tipico degli Stati Uniti d'America».
Viste poi come sono andate le cose in Francia, quella condanna di Maranini risulta eccessiva, anche se si deve tener conto come la sua formazione culturale lo portasse a preferire, per l'Italia, al modello di democrazia francese, il modello anglo-sassone. Non va inoltre dimenticato come in quei giorni la demonizzazione del gen. De Gaulle fosse, nel dibattito politico italiano, generalizzata dal mondo delle oligarchie partitocratriche. È allora ragionevole ritenere che Maranini, già conscio di dire molte verità impopolari sul sistema costituzionale italiano, abbia voluto non appesantirle, in quel momento, di una ulteriore impopolarità, quella del gallismo. Si torna a «quel procedere mascherato» di cui ho fatto cenno.
Maranini vide e denunciò il carattere arbitrario e irresponsabile del potere partitocratico; non vide, con altrettanta lucidità e forza, l'altra emergenza, l'emergenza funzionale.
Il sistema ruba, è accertato. Ma ciò che spreca, per le sue strutturali incapacità a governare con efficienza, è maggiore delle sue ruberie. Questo è un aspetto che in Maranini resta in ombra.
L'altro aspetto, gravissimo, direi esiziale che Maranini non affrontò, fu quello che la democrazia italiana è nata nel 1945, per vicende che sfuggono ora a questo dibattito, con un limite: l'impossibilità di una alternativa all'interno del sistema.
Ciò genera un fenomeno esiziale per la democrazia italiana, e cioè l'identificazione tra la DC e lo Stato; la DC si trova praticamente regalato un potere senza alternative. Nel corso di 40 anni la DC porta a compimento questo processo di identificazione e di confusione tra il partito e lo Stato che diventa l'elemento fondamentale per spiegare gli effetti di decomposizione, di feudalizzazione, di privatizzazione dello Stato.
La stessa corruzione del regime DC nasce da questa eternizzazione della DC. La DC, e le maggioranze che, con la DC, hanno formato governi non pagano mai Io scotto per le loro malversazioni.
È qui che si innesta il processo di lenta incubazione del terrorismo, destinato a nascere sulle perversioni del sistema italiano.
Non so se da questo convegno uscirà un documento. In caso affermativo mi permetto di suggerire che il principio di alternanza alla guida del Paese sia affermato con forza, facendo del tutto cadere le discriminazioni anticomuniste e antimissine che hanno minato dall'interno, per 40 anni, il sistema democratico italiano.
Selezione della classe politica da attuarsi anche con l'adozione di un cursus Honorem per le carriere politiche, così come si fa per il medico, l'avvocato, il maestro; disciplina del partito politico, non caserma, ma associazione libera di liberi uomini; l'ingovernabilità, l'instabilità politica; l'indipendenza del potere giudiziario e amministrativo, un forte esecutivo in un solido sistema di controlli giuridici, sono i temi di cui maranini si occupò e che oggi rappresentano materiali per la Grande Riforma.
È da auspicarsi che la soluzione del Problema costituzionale si abbia per strade ordinate e pacifiche, senza rotture, senza avventure, scrive Maranini. La via del consenso. Ce lo auguriamo anche noi che, con lui, più di lui, abbiamo sofferto per 40 anni una persecuzione più feroce e più spietata, per aver denunciato, fin dal nostro sorgere, la crisi dello Stato. Ma le condizioni sono tali da credere che l'attuale Parlamento riesca a procedere alla grande riforma?! Miglio, e il suo gruppo, a tale riguardo, sono scettici. Per Miglio la nuova fase costituente seguirà il collasso delle Istituzioni. Secondo Miglio l'attuale
classe politica non risulta pari ai compiti che ha davanti.
Che fare? Anticipare i tempi. Con una costante, viva, forte pressione sulla pubblica opinione. Continuare nel Paese quella rivoluzione culturale che Maranini iniziò, 40 anni fa, nelle Università e portarla a compimento per vie civili. I tempi di incubazione delle idee si misurano a decenni. Ma i tempi, oggi, sembrano maturi.

Vivere le proprie idee
L'ultima connotazione. Vivere le proprie idee. Non solo predicarle ma attestarle. Non essere prudenti. Aspettare, in un comodo cantuccio, che gli eventi maturino, è il solo modo per comprometterli. Camminare, non «come il mondo va», ma secondo i dettami della propria coscienza. Un nomo è vero uomo se ha un carattere. C'è il dovere, quando le cose si fanno aspre, del coraggio civile che è uno dei corollari più apprezzati del carattere. Esso consiste nella ferma fedeltà in ciò che si crede, nel parlare e nell'agire secondo i dettami che ci scavano dentro, assumendone di fronte agli altri tutta la responsabilità. Testimoniare.
Questa -se ci fate caso, è la parte più difficile della grande Riforma. Perchè la partitocrazia è penetrata nel profondo in tutti noi. Non ci sono Isole felici. E la partitocrazia si batte se l'Italia saprà esprimere caratteri, cioè uomini.
Dio voglia che sia così.

Giuseppe Niccolai

Inviato da Andrea Biscàro - http://www.ricercando.info