Anno XXIV (1979) - n° 5 - Maggio 1979

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1) Il voto utile
2) Il coraggio di avere paura
3) I parlamentari si aumentano l'indennità
4) Partigiani della menopausa della Storia
5) La Legge Merli salva Cefis dalla galera
6) Indro Montanelli, ovvero della coerenza
 

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1) La Riforma della salute pubblica
2) Come si distrugge l'onorabilità professionale di una dottoressa
3) Alessandro Natta
4) «Mi fai schifo, ma ti voto lo stesso perché ho paura»
5) Come ti condisco il finocchio...
6) Razzisti
 

pagina 3:

1) Civile polemica sul MSI fra Niccolai e Pacciardi
2) La risposta di Pacciardi
3) Rosso e Nero
4) Olocausto
5) Pareri
6) Sulla morte dì Aldo Moro
 

pagina 4:

1) Pertini difende Leone
2) Sotto l'ombrello
3) Primo amore e senilità
4) Non lo far sapere
5) Sei fregate per una fregatura
 

Il voto utile

Caro elettore,
quale è il voto utile? Noi rispondiamo che il voto utile è quello dato a quel partito che utilizza il Tuo voto per i fini per i quali Tu Io hai dato.
Facciamo un esempio: se Tu elettore quel voto lo hai conferito ad un partito che afferma di essere anticomunista e questo partito, dopo le elezioni, usa il Tuo voto rispettando l'impegno reso con Te, quel voto è utile, non è un voto disperso.
È stato così per l'elettore che in tutti questi anni ha votato DC ritenendo che la DC Io difendesse dal comunismo?
La risposta è negativa. La DC ha sempre chiesto voti per difendere gli italiani dal comunismo, ma quando li ha ricevuti (e in abbondanza) si è costantemente dimenticata di quell'impegno, fino al punto di portare il PCI nella maggioranza di governo.
Questo, ne converrai caro elettore, è il caso classico di voto, non solo inutile ma addirittura dannoso.

* * *
Veniamo ad una seconda considerazione sempre di ordine pratico.
Cominciamo con una domanda: può la DC essere credibile quando, davanti a Te, elettore, espone i suoi intendimenti anticomunisti?
Te ne puoi fidare?
Noi diciamo di no. Chi, infatti, può rendersi garante di quella promessa, se nella DC convivono più partiti, l'uno in contrasto con l'altro per ragioni di potere, ma poi tutti uniti nel gabbare l'elettore quando si tratta di barattare gli impegni e le idee in cambio di posizioni di potere?
Sono conciliabili fra loro i discorsi elettorali di Piccoli, di Andreotti, di Donat Cattin, di De Mita, di Granelli?
Battono tutti i tasti, sfruttano tutti gli stati d'animo, sono al tempo stesso filo-comunisti e anti-comunisti, pescano dappertutto con linguaggi diversi.
E poi?
E poi, Tu elettore, credi di avere votato per Piccoli ma poi, "dopo" , Ti accorgi che ha avuto la meglio Bodrato, in quanto dall'urna elettorale non è uscita la politica promessa, ma addirittura il suo contrario.
Siamo al trasformismo più inverecondo, più sfacciato. Si tradiscono ideali, promesse, impegni.
Questo è il voto inutile, dannoso, e che porta alla rovina Te elettore, la Tua famiglia, i Tuoi figli, la Tua Terra.

* * *
La DC insiste e afferma che i voti dati al MSI sono inutili, che quei voti vanno a finire in frigorifero perché non servono.
Rispondiamo con alcune considerazioni. È vero, anzi verissimo, che fino a quando la DC camminerà verso sinistra alla ricerca del PCI, e fino a quando il Paese non si sarà definitivamente stancato dalla DC, i voti missini non potranno essere utilizzati.
È per una ragione molto semplice: perché in questo caso, per realizzare quella politica, occorrono i voti del PCI. Essendo utili i voti del PCI, quelli del MSI non sono certo utilizzabili se non per combattere quella politica.
Ma di tutto ciò sei Tu, caro elettore, arbitro, non la DC.
Fino a quando Tu crederai giusto affidarti alla DC che va a sinistra, i voti che contano saranno quelli del PCI, non quelli del MSI.
Fino a quando durerà?
Dipende da Te, elettore. Quella politica della DC per cui solo i voti del PCI contano. Ti ha dato inflazione, terrorismo, lo sfascio dello Stato, il deserto nelle coscienze dei giovani, sangue, disordine, morte.
Vuoi continuare? Vuoi ancora premiare la DC che si è fatta portatrice di comunismo?
A Te la scelta.
Parlano di frigorifero per i voti missini. Si, d'accordo, ma non Ti pare che fino ad oggi coloro che hanno votato DC, visti i risultati, abbiano buttato quei voti nella pattumiera?
Frigorifero o pattumiera? A Te la scelta.

* *
Ultima considerazione. Si dice: ma la politica della DC di apertura al PCI è destinata a durare e, quindi, i voti missini non servono.
Diremo: anzi!
Vuoi Tu, caro elettore, lasciare briglia sciolta sulle spalle della DC? O metterle accanto solo il pavido freno di una opposizione di comodo, come quella laica, che è franata davanti al comunismo?
Repubblicani, socialdemocratici, liberali, fanno parte dell'ammucchiata.
A Milano e in altre grandi città, i socialdemocratici governano con il PCI. Il migliore incoraggiamento a durare nella folle corsa verso sinistra la DC lo riceve proprio da chi, sciaguratamente, credendo alla inutilità del voto missino congela il proprio suffragio su quei "laici" che, garantendo da sempre alla DC via libera in Parlamento e nel Paese, le hanno sempre consentito di tradire la fiducia degli italiani.
Delle due l'uno: o la marcia della DC verso il PCI sarà arrestata ed allora in tal caso sarà insostituibile l'apporto di rottura e poi di ricostruzione nazionale dei voti missini; o la marcia della DC verso il PCI continuerà e allora, dopo le elezioni, ci vorrà una opposizione di battaglia e di tenacia quale è quella che i missini, e solo i missini, hanno saputo organizzare in Parlamento e nel Paese.
Se il MSI fosse stato eliminato come era nel sogno della sinistra italiana, a quest'ora la DC sarebbe già finita nelle braccia del PCI. Definitivamente.
Inutili i voti conferiti al MSI?
Ricorda, caro elettore, rifletti e scegli utilmente: per Te, per la Tua famiglia, per la Patria, per lo Stato.
Non c'è voto più utile perchè non c'è voto più fedele di quello missino.

Giuseppe Niccolai




Il coraggio di avere paura

Seguendo la campagna elettorale «dalla parte del consumatore», cioè non da uomini politici ma come cittadini comunissimi, alla radio, alla televisione, nelle piazze, abbiamo tratto l'amara ma certissima conclusione che la gente reagisce con un profondo senso di sconforto, quasi di nausea ascoltando le parole dei vari (anche illustrissimi) personaggi della politica.
Dobbiamo confessare che non sappiamo dar foro torto. Anche a noi è accaduto di provare le stesse sensazioni, qualche volta almeno.
Vogliamo un po' insieme e con serenità scoprire le cause di questa avversione, di questa nausea verso tutto ciò che sa di politica, e che in definitiva mette sotto accusa tutta la classe politica italiana da parte della pubblica opinione?
Se siete in su con gli anni, ricorderete il 1946. Anno terribile: il Paese era allora uscito dalla guerra e le distruzioni, le rovine non si contavano. Pareva impossibile tornare ad una vita normale. Ve lo ricordate? Eppure gli italiani, al di là degli odii che li avevano divisi fino alla morte, il miracolo della ricostruzione lo fecero. Con una passione travolgente.

Perchè?
Perché quegli italiani di 34 anni fa credevano. Non interessa sapere in cosa. Interessa riconoscere, insieme a Voi, che quegli italiani, in mezzo alla disperazione delle macerie, fossero essi socialisti, comunisti, democristiani, ex-fascisti, dimostrarono nei fatti di credere in se stessi e nel Paese che ricostruirono. Non sembri un paradosso, ma erano, nella avversa sorte, felici.
Da allora sono passati 34 anni e il Paese, almeno sulla carta, è la settima potenza industriale del mondo. Abbiamo raggiunto certamente alti livelli di agiatezza. Però tutto intorno a noi si sta sfaldando, si sfarina come un mondo illusorio senza speranza. L'agiatezza dunque non è stata sufficiente a renderci o mantenerci felici.
Perché la passione, la volontà, l'energia del 1946 sono scomparse.
È sopraggiunta la sazietà, la noia, la nausea.
Si corre di più perché vogliamo avere di più, ma non ci si incontra più, non ci si parla più, non si comunica più; ci si chiude, ci si isola, e ci si sente sempre più soli.

Si ha paura
Abbiamo parlato all'inizio della nausea che investe i cittadini quando ascoltano gli uomini della politica.
Ma non accade forse ciò proprio perché ai politici rimproveriamo soprattutto di non aver saputo mantenere a noi e offrire ai nostri figli quelle speranze e quegli ideali che in fondo danno un senso alla vita e per i quali val proprio la pena di continuare a vivere e lottare civilmente?
* La famiglia è stata dissacrata e hanno creato la figura del "padre-padrone" ovviamente odiosa.
* Non c'è più amore: lo sostituisce il "sesso".
* Il soldato è un servo, la divisa una livrea, la bandiera un lenzuolo e la patria confina con le sacre sponde del letto a due piazze.
* Gli uomini per aver successo e fortuna e fama, è preferibile siano invertiti mentre le donne è necessario siano puttane.

Hanno fatto un falò di tutto
Ma se la fede nei valori di ieri è sopita o spenta, quella nei miti nuovi sta crollando.
L'Unità stessa, davanti al terrorismo che dilaga, scrive che «sono nati i ragazzi-mostri». Non ci dice però il perché. Non ci dice da dove vengano questi mostri e nemmeno ci dice come si fa per riportarli all'umano. Ripete con grigia monotonia che tutto andrà a posto con i comunisti al governo come se in moltissime province, comuni e regioni non amministrassero da trenta anni la cosa pubblica offrendo i più clamorosi esempi di disastrosa amministrazione.
E certo non fanno difetto i «ragazzi-mostri» nelle amministrazioni rette dai socialcomunisti, tutt'altro.
Non ce lo dicono dunque i comunisti, ma ce lo dicono i 35 giovani drogati di Grosseto i quali hanno scritto: «non avevamo scelta: o la droga o il partito armato».
Ecco i mostri! Violenza verso sé o verso gli altri. Ma sempre la violenza come soluzione.
Ma coloro che si proclamano «democratici» a 24 carati, sono esenti da colpe?
Alla gioventù disperata, che si è fatta mostro, e che lor signori chiamano rossa o nera, quali esempi, soprattutto morali, hanno saputo dare?
Un ministro è in galera perché ladro. Non è anche questa violenza?
Non sono violenza gli scandali continui, le insolenti ricchezze dei politici, le pensioni da fame a milioni di lavoratori quando categorie privilegiate hanno anche 70-100 milioni l'anno di pensione, i bambini di Napoli assassinati dall'inefficienza e dalla dilapidazione del denaro pubblico?
Non è anche questa violenza?
È un'immensa, mefitica palude. Ma è anche da questa palude che nascono i ragazzi-mostri.
Ma i democratici, che di quella palude sono i responsabili, hanno tutto l'interesse a non bonificarla poiché i mostri ci debbono essere, eccome!
Perchè, senza i mostri, con che cosa potrebbero giustificare la richiesta del voto del 3 giugno?
- Datemi il voto perché sono un ladro?
- Datemi il voto perché ho disarmato materialmente e moralmente?
- Datemi il voto perché le FF.SS., le poste, gli Ospedali, le Scuole, non funzionano?
Datemi il voto perché, mentre tu, artigiano, commerciante, piccolo industriale, lavoratore, professionista, contadino, tiri la carretta, io me la spasso irridendo ai tuoi sacrifici?
Come potrebbero chiedere voti presentando bilanci fallimentari? Chi potrebbe dar loro fiducia?
Ecco perché fanno comodo i neri e i rossi. E più fra loro si azzuffano e si ammazzano, io, democratico, ingrasserò perché potrò sempre dire al cittadino che, in fin dei conti, è sempre meglio essere governati da dei ladri piuttosto che da degli assassini.
Ragazzi-mostri. Burattini tragici.
Ma dove sta, e chi è il diabolico burattinaio che muove i fili di tutto?
Dicono che Aldo Moro fosse un grande statista, un mediatore di prestigio, un personaggio che sapeva domare ogni passione, un interprete insuperato dei tempi che viviamo.
Senza dubbio. Ma Aldo Moro, oltre che dalla ferocia dei suoi aguzzini, muore dalle «condizioni storiche» da lui stesso create. Nel comprimere slanci, passioni, ideali. Esaltando la mediazione, il compromesso, l'accordo a qualunque costo, si uccide il coraggio, l'immaginazione, la fantasia, la vita stessa.
La partita a carte, riservata solo ai privilegiati del potere, emargina, esclude, discrimina, crea protesta, rabbia, furore.
Dicono che la DC sia l'immagine di Moro. Senza dubbio. Anni e anni fa coniò un motto che ebbe successo: «DC: progresso senza avventure». «Rendetemi forte, vi farò felici».
È venuta la felicità?
La DC deve essere ancora premiata perché, insieme al PCI, ha portato il deserto nelle coscienze dei giovani, la crisi economica, il terrorismo?
«Io sono un porto sicuro», dice la DC. Non è vero. E te lo dimostra il suo costante appello alla "paura", che è uno dei sentimenti meno nobili dell'uomo: comunque uno stato d'animo di fronte al quale ci si arrende tutti, non solo Aldo Moro.
Più la DC cede al PCI, più quest'ultimo partito guadagna voti. È paradossale, ma è così, in questo modo però non si esce dalla trappola. Ci si casca dentro. Definitivamente, il PCI infatti nel 1946 aveva il 19% dei voti. Grazie alla "medicina" democristiana (o meglio al veleno) di elezione in elezione è arrivato a raggiungere il 34%. La paura fa di questi scherzi.

Ed allora, come se ne esce? Non abbiamo ricette magiche da suggerirvi se non quella di dirvi di avere coraggio.
Ve lo dice una comunità politica come la nostra, i cui Morti, per mano delle BR, risalgono all'aprile del 1973, quando in una povera borgata romana dove è difficile essere anticomunisti, furono bruciati vivi due ragazzi, uno di 14, l'altro di 18 anni. Solo perché erano figli di un missino. Quella morte, allora, non fece rumore. Erano ragazzi fuori dall'arco costituzionale.
Coraggio. Ve lo dicono quei due fratelli.
Andate a votare.
E mettete sulla scheda il segno in cui credete.
Il voto convinto a chiunque vada, è sempre un voto valido.
Quello che devi evitare, per Te, per la Tua famiglia, per la Tua Terra, è il voto dell'opportunismo, è il voto della paura. Quel voto ci porta al disastro, perché è dal voto ambiguo, torbido, che poi nascono le condizioni per cui la DC -come al solito tradendo- va al definitivo abbraccio con il PCI.
Sarebbe la fine. Perché da quell'abbraccio (lo abbiamo già visto) altro non può sortire che il definitivo passo verso lo sfascio totale.
Voto del coraggio che ci consenta di ripensare la Repubblica in termini, sì di libertà, ma anche di efficienza. L'Italia ha bisogno di essere governata, amministrata. Con pulizia. Con giustizia. Con rigore.
Il coraggio ristabilisce le condizioni prime, essenziali, perché anche i nostri ragazzi riprendano a credere in se stessi, nella Patria.
Vota dunque per chi vuoi, ma fallo con convinzione. Avendo cura di schiacciare sotto i Tuoi piedi, senza pietà, la viltà, la paura, che, ahimè, da troppo tempo, devastano il corpo della nostra adorabile Italia.
Coraggio, ce la faremo!


I parlamentari si aumentano l'indennità

"La Nazione" del 20 settembre 1978 riportava da Pontedera, in bella evidenza, sotto il titolo "PCI mobilitato per l'on. Natta", questa parole: «un caloroso applauso si è levato dalla platea ad un accenno che Natta ha fatto ad un tema che, non solo da oggi, è molto popolare: qualcuno, ha detto, ha chiesto in questi giorni l'aumento dell'indennità parlamentare; ebbene noi abbiamo risposto no».
Questo avveniva nel dicembre 1978, sotto Natale. Ora si da il caso che questo aumento ci sia stato. Infatti i signori parlamentari di Serie A, alla chetichella e a Parlamento chiuso, si sono aumentata l'indennità del 20%, con decorrenza, badate bene, dal gennaio 1979. Quindi quei comunisti che a quanto afferma Natta dicevano «no» a dicembre 1978, hanno detto sì a maggio 1979. E non si venga a dire che loro sono, stati contrari. È una solenne bugia. Infatti il provvedimento non sarebbe stato possibile se il Presidente della Camera si fosse opposto. Senza la sua firma, il provvedimento non passava. Ora tutti sanno chi è il Presidente della Camera. Risponde al nome di Pietro Ingrao che, già poeta del «tempo di Mussolini», è ora indicato (nientemeno!) come il possibile successore di Enrico Berlinguer alla testa del PCI.
Non si dica nemmeno che quel provvedimento era obbligatorio in quanto, essendo l'indennità parlamentare legata agli emolumenti dei magistrati, quando questi emolumenti aumentano è giocoforza ritoccare anche gli stipendi degli "onorevoli". È un'altra bugia. Infatti gli Uffici di Presidenza della Camera e del Senato non hanno l'obbligo dell'aumento, ma solo la facoltà. Quindi, potevano benissimo dire di no.
Sicché l'aumento è cosa fatta: 350 mila lire in più al mese nella busta dei parlamentari.
Per i lavoratori, che sono in attesa dei rinnovi dei contratti, si prevedono aumenti che vanno dalle 13 mila lire mensili alle 24 mila.
Fate i raffronti. Sono interessanti.
E poi andate a leggere la Costituzione. All'articolo 1° sta scritto:
«l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
 

Partigiani della menopausa della Storia

Partigiani, dove siete oggi?
Con chi siete oggi?
Ti vedo alle commemorazioni ufficiali,
doppio petto,
guancia flaccida
e «pur bisogna andar»...
a conquistare la nostra Citroen dove vagisce
l'ultimo nato della società del benessere.
Dentro i mezzi da combattimento
dai nomi quieti come Anglia-Austin-Simca 1000
mirate bene.
Partigiani sparate a zero!
Attaccate l'ultimo semaforo.
Oggi il guidatore ha una dimensione ideologica.
Tacete: il pedone vi ascolta.
Lo vedete?
Occhio alla striscia:
È l'uomo della rivoluzione piegata.

da "Nuovi Argomenti"
(Agosto 1966 – collaboratori: Moravia, Pasolini).


La Legge Merli salva Cefis dalla galera

In questi giorni si fa un gran parlare, specie nel cosiddetto Comprensorio del cuoio, della Legge Merli, la legge anti-inquinamento.
In discussione anche i princìpi di fondo di quella legge. È bella? È brutta? È troppo severa? È troppo blanda?
Nessuno riflette sul fatto che quella Legge ebbe, soprattutto, una finalità ben precisa: salvare dalla galera Eugenio Cefis, Presidente della Montedison, condannato in primo grado dalla Magistratura per inquinamento del Mar Tirreno per gli scarichi in mare del biossido di titanio di Scarlino.
Questa legge, a Parlamento chiuso, venne portata al varo definitivo e, guarda caso, finché non venne pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale", il ricorso di Cefis presso il Tribunale di Livorno non ebbe sfogo. Varata la legge, al Tribunale non restò che assolvere Cefis e compagni «perché il fatto, previsto come reato dalla vecchia legge, era stato cancellato dalla legge Merli».
L'articolo fatidico è il 12. Lo hanno battezzato: articolo Foro Bonaparte che è la via che, in Milano, accoglie gli Uffici della multinazionale Montedison, grande finanziatrice dei partiti politici.
La Legge Merli, dunque, non serve contro l'inquinamento, ma à servita a salvare Eugenio Cefis dalla galera.
Evviva! Evviva! La giustizia è salva!




Indro Montanelli ovvero della coerenza

«La fine dell'anticomunismo professionistico è naturalmente la prima condizione per un processo di sviluppo della distensione. Il carrozzone della guerra fredda è infatti abitato da anticomunisti professionisti che come le mummie hanno ragioni di temere di finire in polverone uscendo all'aperto.
Vi sono anticomunisti di professione che si trovano di fronte ai problemi pratici, meritevoli di considerazione, perché non sanno fare niente altro. Ma per uscire dallo scherzo ritengo giusto dire che nella gente la professione di anticomunista è finita da un pezzo. Direi che questo elemento ha preceduto, consentito, accompagnato la distensione nei suoi primi passi.
E vuoi sapere perché io non sono più, da oltre due anni, un anticomunista professionale? Perché sono profondamente convinto che Nikita Krusciov è in buona fede...
Il miracolo di certe ultime conversioni è stato compiuto dalla supremazia sovietica. Krusciov ha avuto ragione, aveva visto giusto quando ha fatto prevalere nel Piano, un ulteriore sviluppo dell'industria pesante e quindi della potenza militare e della efficienza dei razzi. Prima la forza e poi la distensione: questa mi sembra, grosso modo, la tesi di Krusciov che ha raggiunto tutti gli obiettivi, dalla luna alla distensione internazionale.
L'anticomunismo era già arrivato ad un punto tale in Italia e nel mondo che senza la supremazia missilistica russa non si sarebbe mai arrivati al disarmo. Bisogna onestamente aggiungere che l'"Orbitnik" è stata la condizione necessaria ma non sufficiente per aprire le porte della distensione. Molta gente aveva già capito che l'oltranzismo anticomunista non mena a nulla e non ha prospettive. Non si poteva vivere a lungo di anticomunismo. Ma soprattutto nessuno poteva più negare l'enorme successo del comunismo in URSS».

("Paese Sera", 20 ottobre 1959. Intervista di Felice Chilanti a Indro Montanelli)
 

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La Riforma della salute pubblica

La bellezza non proprio fresca ma giovialmente rubiconda, ridanciana e vagamente villereccia della signora Tina Anselmi, ministro della Sanità, ci allieta e ci rassicura che in fondo la vita è bella e che come il Candido di Volaire noi viviamo nel migliore dei mondi possibile.
Vien subito a turbarci però il pensiero atroce che il grazioso ridente viso della signora venga domani sostituito –per capriccio di Andreotti o per esigenze di compromesso- con un altro, per esempio quello truce e sospettoso di un Berlinguer o dolorosamente pervaso di mestizia e di lutto di uno Zaccagnini.
Non ci resterebbe nemmeno il conforto dell'illusione, la consolazione della speranza.
Ho fatto questa lunga premessa perché dovevo giustificare in qualche modo il mio atteggiamento che -parrà strano- non è affatto di opposizione alla Riforma Sanitaria. Debbo anzi ammettere che la legge che istituisce questa Riforma non è solo buona, ma ottima, ben fatta.
Per chi avanza qualche dubbio, cercherò di chiarire il mio punto di vista affrontando il problema nei tre punti in cui esso sostanzialmente si divide.
Il primo riguarda la parte politica vera e propria, cioè l'organizzazione del servizio sanitario, il secondo riguarda i medici e il terzo ma certamente non l'ultimo riguarda gli interessi dei cittadini volgarmente chiamati mutuati.

ORGANIZZAZIONE
È perfetta o quasi. I consorzi socio-sanitari (appena potranno funzionare) saranno collegati con le Unità Sanitarie Locali (anche quelle non appena entreranno in funzione) e tutti e due smisteranno i pazienti al Pronto Soccorso degli Ospedali da dove a loro volta saranno smistati nei Reparti o nelle Cliniche specializzate per ricerche ed esami.
Intanto continuano a sopravvivere le strutture delle varie Mutue senza le quali per il momento sarebbe un grosso pasticcio andare avanti in quanto le Regioni non hanno preceduto a fornirsi delle strutture adeguate per operare con efficienza.
D'altronde, non si può pretendere di avere tutto.
Ma che cosa può fare di più una Regione per esempio come quella Toscana la quale -pensate!- mette in bilancio ben 877 miliardi per l'anno 1979 per il solo settore della Sanità, cioè il 72% di tutto il bilancio regionale?
Che cosa può fare di più una Regione, che garantire il buon funzionamento dell'apparato mantenendo un rapporto di 6 occupati per ogni medico. Ma se perfino la progredita Svezia, dove certamente non fanno difetto le forme assistenziali ma certamente lo fanno quelle burocratiche, non supera il rapporto di 1 medico per ogni 2 occupati!
E che cosa può fare di più una Regione come la nostra, che offrire ai propri assistiti dei posti-letto in Ospedale che costano mediamente 60 mila lire al giorno ciascuno? Nemmeno una pensione all'Hilton costa tanto! Non si può dire dunque che i malati siano trattati male.
E allora, con queste cifre davanti e la garanzia offerta dal sorriso aperto e sicuro della signora Anse/mi, perché non dovrei dire che la Riforma Sanitaria è la migliore delle riforme sanitarie possibili?

I MEDICI
A conforto del mio ottimismo, chiamo il comportamento dei medici i quali sono i veri tecnici, gli esperti, gli intenditori indiscussi.
Se la Riforma non fosse ben fatta, essi si sarebbero in qualche modo ribellati.
A ben vedere, infatti, è investito il loro campo di lavoro e di sussistenza in maniera diretta e perentoria. Ed i medici sono organizzati, sia attraverso gli Ordini professionali e sia attraverso i diversi Sindacati di categoria. Dunque, se sono stati buoni buoni ad assistere al varo di questa grossa barca, peraltro nemmeno finita e con parecchie falle sotto la chiglia, e sulla quale loro si trovano come passeggeri in balia di poco raccomandabili nocchieri politici, significa che giusto in questa barca hanno riposto tutta la fiducia foro.
Del resto, anche l'arca di Noè, chi avrebbe mai immaginato che sarebbe riuscita a scampare al diluvio e a portare in salvo tanti animali?
Non possiamo pensare che i medici abbiano accettato le condizioni poste loro dalla legge per la Riforma con la riserva mentale di eluderle poi, come sempre accade nel nostro beneamato allegro Paese.
Avrebbe potuto essere cosi per qualcuno, forse, ma non per un'intera classe professionale. E invece l'Imprimatur alla Riforma lo hanno dato la Federazione Nazionale degli Ordini e i Sindacati, siglando le convenzioni a nome di tutti i medici.
Per lo stesso motivo non possiamo neanche pensare che siano stati spinti dalla paura. Uno solo può anche avere paura, ma ad un'intera organizzazione nazionale, l'avere paura non è assolutamente consentito.
A quel punto, ci si dimette.
E allora? Che cosa può averli spinti ad accettare la Riforma, se non il convincimento che essa è la migliore che ci si potesse attendere e che si potesse sperare?

GLI ASSISTITI
Loro, la Riforma non l'hanno fatta. E nemmeno gli è stato chiesto di accettarla attraverso firme di documenti, convenzioni, patti e statuti. L'hanno presa e basta. Un giorno sono entrati in farmacia e han dovuto pagare il biglietto d'ingresso. Perché ticket vuoi dire biglietto, no? Poi -dopo essersi sentiti spiegare che le Mutue non esistono più- son dovuti andare alla Mutua a fare la nuova scelta del dottore, l'iscrizione al SAUB, poi al Consorzio socio-sanitario, all'Unità Sanitaria Locale, riempiendo documenti, esplicando formalità, ma alla fine rendendosi conto di essere entrati nell'ingranaggio di una macchina dalla perfezione quasi assoluta, miracolosa. Certo, che anch'essi bisogna che collaborino a mantenerla in piena efficienza. Ma non è poi tanto difficile. Basta che non si ammalino.
Eh, si, perché in quel caso tutto andrebbe a rotoli, il motore si ingreperrebbe, gli ingranaggi si bloccherebbero e tutta l'organizzazione si sgonfierebbe come un palloncino vizzo, la sera di San Ranieri.
Perché tutta l'organizzazione sta bene in piedi finché si è sani come pesci, ma il giorno che a uno salta lo sfizio di ammalarsi, ti saluto Mariarosa! La luce vacilla, la barca comincia a fare acqua e perfino il sorriso giocondo e paesano da massaia rurale della signora Tina si ottenebra se non proprio a somiglianza di quelli tragici e piagnucolosi di Berlinguer e di Zaccagnini, almeno vicino a quello di Ruggero Orlando. Che è tutto dire!
La macchina di questa Riforma è dunque eccellente e rasenta la perfezione.
L'unico inghippo, che potrebbe farla traballare e paralizzarla addirittura, è che i cittadini assistiti si ammalino. La qual cosa sarebbe davvero un guaio.
Ma siamo sicuri che per il bene della Riforma e della sua madrina e tutrice signora Tina, essi non lo faranno. Non si ammaleranno.
O se, per dannata ipotesi, dovessero ammalarsi, non ricorreranno ai Consorzi Socio Sanitari, alle SAUB, alle USL.
Andranno dal dottore.
Pagandoselo di tasca propria.
Per amor di Patria.
E perché non sono poi tanto sprovveduti!
DOC




Ospedale Santa Chiara
Come si distrugge la onorabilità Professionale di una dottoressa

Ai Ministri della Sanità, di Grazia e Giustizia e dell'Interno.
Per conoscere
— premesso che con provvedimento emesso da un magistrato del Tribunale di Pisa (17 novembre 1977, n. 210/75-A-Be) sono stati assolti gli amministratori dell'ente ospedaliere regionale Santa Chiara di Pisa, per cui costoro, secondo il magistrato, avrebbero agito correttamente nell'estromettere la dottoressa Giomi Flora dai reparti di medicina «perché biasimevole nella condotta di lavoro e scarsa sul piano del rendimento e del profitto», quando attualmente, a vicenda conclusa, la Giomi, o meglio la «incompetente» Giomi, si trova ad espletare il suo lavoro presso un reparto medico di quello stesso ospedale Santa Chiara, dal quale gli amministratori la volevano fuori perché professionalmente scadente;
* che il magistrato, nell'assolvere gli amministratori e nel condannare, sia pure moralmente, la Giomi, non ha voluto tener conto che tutta la incredibile vicenda, per la quale una professionista si è trovata "linciata" sul piano morale e professionale, prima dagli amministratori del Santa Chiara poi dalla sentenza del magistrato, derivava dal fatto di avere essa dottoressa deciso di partecipare, come era suo diritto, ad un concorso pubblico nazionale per titoli, per essere ammessa, come assistente, nel costituendo reparto medico lungodegenti, e di avere i titoli per vincere tale concorso;
* che il magistrato non ha voluto tener conto che la... famosa lettera del professor Giacomini Giuseppe riguardante la Giomi, risalente al 30 dicembre 1971 e tirata fuori dagli amministratori dopo tre anni al solo scopo di estromettere la dottoressa dal concorso, venne cestinata dagli stessi amministratori, non solo perché secondo gli stessi il Giacomini aveva «mania grafologica», ma perché tutto si riduceva a costringere la Giomi ad abbandonare il posto di medico dell'INPS (non si dimentichi che l'«incompetente» Giomi, oltre ad avere ottenuto la qualifica di assistente volontaria dal professor Giulio Sicca, vinto il concorso per assistente presso il reparto di anatomia patologica, ha conseguito fra il 1968 e il 1971 due specializzazioni, una in pediatria, l'altra in igiene e medicina scolastica);
* che la pretestuosità della lettera del professor Giacomini è evidente appena si rifletta che alla «incompetente» dottoressa Giomi, con ordine di servizio dello stesso Direttore sanitario del Santa Chiara, veniva comandato di leggere gli strisci della medicina preventiva e ciò perché il primario professor Giacomini non lo faceva e il lavoro si accumulava; non solo, ma nell'estate del 1971, in relazione alle ferie del Primario, la Giomi veniva addirittura resa responsabile (lei incompetente!!) delle letture citologiche;
* che il magistrato non ha voluto tenere conto che i giudizi negativi per i quali la Giomi viene moralmente condannata e assolti gli amministratori dell'ente ospedaliero regionale Santa Chiara di Pisa, derivano dal chiaro disegno di far fuori la dottoressa, in quanto, avendo la Giomi titoli superiori ai concorrenti, la sua presenza al concorso rendeva impossibile la sistemazione di alcuni raccomandati "politici" che stavano a cuore a primari altrettanto politicizzati e in grado di dettar legge agli stessi amministratori dell'ente ospedaliere: e tanto è vera questa affermazione che la stessa dottoressa Giomi, allontanata per far posto ad altri, non si trova ora relegata a funzioni ridotte data la sua presunta incompetenza, come hanno affermato gli amministratori, ma nel reparto medico che, guarda caso, è diretto da quello stesso primario che fu costretto a redigere la lettera di biasimo; e con funzioni piene, fra le quali svolgere la guardia, il che significa avere la responsabilità solitaria di 120 malati; il che, se le ragioni per le quali gli amministratori del Santa Chiara vollero la Giomi lontana dai reparti medici fossero state vere, ne verrebbe che ora sono responsabili coscienti, insieme al primario del reparto che vergò la lettera di biasimo, di avere affidato la salute di 120 malati ad una incompetente;
* che lungo tutto l'arco della istruttoria durata quasi tre anni, la dottoressa Giomi non ha ricevuto alcuna comunicazione che le avrebbe consentito di costituirsi parte civile e nominarsi un difensore, sicché può affermarsi che tutti gli atti dell'istruttoria sono stati compiuti senza contraddittorio—:
* se sia vero che la dottoressa Giomi, oltre alle innumerevoli umiliazioni già lamentate sia stata costretta, sotto la minaccia di «buttarla fuori», a ritirare la domanda di partecipazione al concorso in questione e sia stato imposto anche il ritiro del ricorso presentato al TAR;
* se sia altresì vero che agli atti della amministrazione ospedaliera esiste una lettera di quel primario che l'aveva giudicata incompetente, nella quale si richiede l'opera della dottoressa nel proprio reparto, e le si rende atto della corretta preparazione professionale;
* infine cosa intendiamo fare per rendere giustizia ad una professionista che, estromessa dal suo incarico quel tanto perché non partecipasse ad un concorso pubblico pilotato dall'alto, sotto il pretesto della sua incompetenza, si trova oggi a svolgere la sua professione in un reparto medico, avendo sul collo una sentenza che la bolla come «incompetente»; Quando la sua «incompetenza» fu creata e voluta con la collaborazione di primari e amministratori, al solo scopo di favorire altri meno meritevoli.

14.XI.78 - On. Franchi – Bollati – Tremaglia
 

Alessandro Natta

Alessandro Natta, presidente del gruppo parlamentare della Camera del PCI, è stato chiamato dall'Amministrazione Comunale di Pisa a commemorare l'antifascista Concetto Marchesi.
Sul "Il Campano" dell'aprile 1941 sta scritto:
«Alessandro Natta, laureato in lettere, iscritto al PNF dal 24/5/1937, proveniente dalle organizzazioni giovanili fasciste, è nominato, in data 13/3/1941, dal Segretario Federale di Pisa, addetto alla cultura nel Direttivo del Gruppo Universitario Fascista di Pisa».


«Mi fai schifo, ma ti voto lo stesso perché ho paura»

È il voto della rassegnazione, della resa.
Quel voto non uccide solo Aldo Moro. Uccide tutta la società civile.
È il voto che ci ha portato terrorismo, droga, barbarie, il deserto nelle coscienze dei giovani, inflazione.
C'è un solo modo contro la resa definitiva: il voto del coraggio.


Pannello radicale di tolleranza
Come ti condisco il finocchio...
.

La crudeltà usata dalla società tradizionale nei confronti dei "diversi" ha certamente facilitato la reazione permissiva dei radicali guidati da Marco Pannella. I primi passi sono quasi naturali e sfondano porte che gli eccessi mostruosi degli scorsi decenni hanno addirittura spalancate. Chi sosterrebbe ancora le discriminazioni razziali o religiose, che in non poche parti del mondo, ivi compresi alcuni paesi socialisti, continuano a marcare penosamente il destino dei gruppi "diversi"? E chi non sente oggi come rivoltante il far gravare sui figli illegittimi il peso e l'imbarazzo della loro origine? La catena delle discriminazioni odiose nei cui confronti sembra giusto invocare una maggiore comprensione e tolleranza ha i suoi successivi anelli nelle ragazze madri, nelle coppie irregolari, nei tormenti inflitti per crudele superstizione agli jettatori, nella feroce irrisione dei cornuti.
Ma a quale anello della stessa catena delle "diversità" discriminanti conviene poi fermarsi per esaminare il caso con atteggiamento più critico? Ci sono gli obiettori di coscienza, che una sensibilità particolare rende diversi dalla massa dei coscritti. Ci sono gli omosessuali, nei cui confronti forme di indulgenza oggi considerate già retrive e inaccettabili tendevano a supporre come scusante la presenza di malattie congenite da curarsi con la psicanalisi. Provate oggi a suggerire ai finocchi FUORI! che vadano a curarsi! Vi sentirete rispondere che gli inibiti ed i malati siete voi.
* * *
Il guaio della tolleranza è appunto questo: che è un principio senza fine, avendo la sua misura d'arresto nel concetto vago e imprecisabile del senso comune, della morale comune, in base al quale un tempo si lapidava l'adultera ed oggi si porta in trionfo come moderno campione del progresso il medico d'aborti e si comincia a sostenere che la droga leggera fa meno male delle sigarette o del fiasco del vino.
Ma l'indulgenza può anche essere infinita perfino negli uomini e nella società, come il perdono e la bontà divina, a patto che non faccia perdere la precisa distinzione tra ciò che è bene e male. È tanto ingeneroso sfottere i cornuti, quanto insopportabile il cornuto che se ne faccia vanto. Conviene ad una società civile, anche per evitare forme di inquinamento e turbative dell'organizzazione nelle Forze Armate, regolamentare con umanità l'obiezione di coscienza, senza peraltro tollerare che essa venga poi ostentata come una manifestazione di superiorità spirituale rispetto a chi fa il proprio dovere senza complicazioni e senza storie. Ed è proprio questa distinzione, questo preciso confine, che il radicalismo non ammette, avendo sostituito alle categorie di bene e male quelle di permissivismo e repressione. Non c'è altro male per il radicale, che il proibire, il disapprovare, il castigare, e non c'è altro bene che la permissività estesa praticamente all'infinito, con la sola esclusione della violenza repressiva, che non è permessa.
Noi siamo contrari a questa concezione, fermamente convinti che essa porti molto più dolore, molta più sofferenza e perfino più discriminazione di quella che vorrebbe risparmiare. In parte ciò dipende anche dal fatto che non ci si batte mai per il pareggio; ci si batte sempre -se si può- per vincere. Le crociate dei "diversi", promosse per la loro accettazione, si trasformano in moti di petulanza nei confronti dei normali. Cortei di lesbiche, di malmaritate, di abortiste non rivendicano solo la libera gestione dell'utero, ma tendono a squalificare come «donna oggetto» chi non ci partecipa ed a mettere in condizione di inferiorità la madre di famiglia che non ha mai abortito e non ha nemmeno fatto un poco la mignotta.
Ha ragione il nostro Franco Martino che nella sua gustosa nota di costume di qualche settimana fa osserva: «Altro che pericolo nero, qui siamo ormai al pericolo rosa». Rappresentato, immagino, più dagli invertiti che dalle femministe, le quali non vorranno riconoscersi nel colore della loro antica schiavitù muliebre. Un'arroganza si sostituisce all'altra. La virtù attraverso l'arroganza svilisce e rinnega se stessa. Ma l'arroganza che è connaturata al vizio è ancora peggio.
Sul piano personale non possiamo muovere questo addebito a Pannella, il cui comportamento è sempre stato di estrema civiltà. Ma è come apprendista stregone di un permissivismo corruttore che abbiamo dovuto quasi sempre dissentire dalle sue campagne. C'è fra noi una incompatibilità di filosofia che ha le sue lontane radici nella polemica di Mazzini contro l'utilitarismo anglosassone di Geremia Bentham. Polemica che un secolo dopo procurò a Mazzini le postume accuse di essere stato il vero precursore del fascismo: lo ha scritto Bertrand Russel, ultimo grande interprete del pensiero radicale inglese ed ispiratore di Pannella anche nella moda della protesta non-violenta.
Tuttavia proprio a Marco Pannella potrebbe applicarsi ciò che Mazzini scriveva di certi cultori dell'Utile, segretamente dominati dal Dovere: «Utilitari teoricamente, ma utilitari sinceri, credenti, santificati dall'entusiasmo, accettavano tutte le nostre credenze di dovere, di sacrifizio, di progresso collettivo e continuo e mi dicevano: questa è pure la nostra fede, senza avvedersi ch'essi non avevano, logicamente, diritto di professarla e non potevano salire dal vantaggio dell'individuo all'utile generale senza introdurre nella loro teorica un terzo termine superiore agli altri due (il Giusto e l'Utile - n.d.r.) e destinato a predominarli. Traevano dal cuore migliori ispirazioni che non dall'intelletto... e quella parola li perseguitava come il mostro di Frankenstein chiedente un'anima».


Giunta Comunale
Razzisti

Siamo grati alla Giunta Comunale di aver chiarito, con il comunicato pubblicato dalla stampa il 24 c.m. relativo al comizio del MSI in Piazza S. Paolo, fino in fondo il proprio pensiero in ordine alla democrazia e alla libertà di parola.
La Giunta comunale è firmataria dell'accordo siglato in Prefettura dai partiti politici per regolare civilmente la campagna elettorale. In quella occasione il Sindaco della città di Pisa si guardò bene dal sostenere il principio, ora sancito nel comunicato della Giunta, per cui il diritto-dovere del MSI di parlare agli elettori è una provocazione. Anzi: il Sindaco, onde sancire a tutti il diritto di parola, mise la sua firma accanto a quella del rappresentante del MSI perché, fu affermato, «tutti hanno diritto a manifestare il proprio pensiero».
Ora la Giunta ricorre all'etichetta di comodo e squalificante di «fascista».
Facciamo notare alla pubblica opinione pisana che tale modo di pensare è tipico di quei regimi che, per squalificare l'avversario fino ad annientarlo, hanno, di volta in volta, usato etichette che l'uso comune ritiene infamanti. È l'argomento usato dai nazisti contro gli ebrei, dai comunisti contro trotzkisti e riformisti, da farisei contro cristiani. Con tutte le conseguenze del caso.
Non dunque la democrazia viene a difendere la Giunta comunale, ma la discriminazione civica che è un concetto tipicamente razzista.
I cittadini possono riflettere su quanto accade e trame gli opportuni insegnamenti. Ecco perché siamo grati alla Giunta di avere messo le carte in tavola.

pagina 3

Civile polemica sul MSI fra Niccolai e Pacciardi

Gentile onorevole,
leggo su "Nuova Repubblica" (25/3/1979) questa frase: «un altro assurdo politico. Invece di incoraggiare lo sfaldamento del MSI e allargare il fronte della democrazia questi democratici vogliono rinsaldare il MSI».
Il riferimento è ai laici. Sicché, fra i tanti rimproveri che ai laici possono esser rivolti, Lei sceglie proprio quello per cui tutto l'arco politico italiano ha inchiodato anche Randolfo Pacciardi sulla croce dei discriminati?
Quale «fronte» della democrazia tengono i partiti laici?
I laici sono finiti da un pezzo. Il loro fronte è stato polverizzato dal giorno in cui, dentro un sistema ormai a pezzi, per mantenere esclusivamente posizioni di potere, hanno chiesto aiuto al PCI. Ed oggi sono ancora in sella grazie al PCI. E nessuno meglio di Lei, gentile onorevole, dovrebbe sapere che la ragione per la quale i partiti laici non intendono ripensare una "nuova repubblica", sta proprio nel fatto che non si vogliono, poverini, scottare le mani, nella tema di essere tacciati, perché riformatori del tabù costituzionale, «fascisti». Ed eccoli, quindi, tenere in piedi un "sistema" decrepito che, oltre a darci inflazione, disordine e terrorismo, consente al PCI di gridare: «senza i comunisti il paese non si governa».
Ecco perché, sul piano politico, da un Uomo che ha avuto le esperienze che ha avuto, non mi sarei mai aspettato un giudizio del genere.
Se poi, dal piano politico, passo a quello umano, come posso approvare quel giudizio che se guarda bene è in contrasto con le scelte di fondo della Sua vita? Lei avrebbe potuto, negli anni passati, quando ancora l'Italia non era stata sfasciata del tutto, restare sulla cresta dell'onda della ufficialità, continuare a contare, ad essere Ministro.
Ha sbattuto la porta. Se n'è andato. Perché l'Italia che vedeva crescere non era quella sognata. Perché si era accorto che, con il sistema delle crisi a ripetizione e delle "cosche" che espropriano lo Stato e il Popolo, c'era in fondo la fine di tutto e, in primo luogo, dell'Italia che, incapace di darsi un assetto civile, avrebbe perduto, con la dignità, ogni ragione di vita.
Non ha avuto paura di restare solo e di farsi dare (a Lei, pensi!!) del fascista.
Lei, per costituzione, è nemico giurato di ogni opportunismo. Ed è per questo che non può, anche se è distante mille miglia dalle aspirazioni rappresentate dal MSI, servirsi delle argomentazioni di coloro che, non volendo nulla rimproverare per tutto conservare, si servono, d'accordo con il PCI, dell'etichetta «fascista» onde mettere nel ghetto, prima morale che politico, quanti dicono, alto e forte, che così non va. E non si piegano.
È vero, oggi va di moda la categoria dell'utile. Gli isolati non servono. Occorre intrupparsi. Anche a costo di turarsi il naso, scrive Montanelli. E si pensa, con ciò, di poter battere il comunismo.
No, caro onorevole, no. Aldo Moro è morto non solo per la crisi di volontà che travaglia l'Italia, ma anche perché si era ostinato a tenere in piedi un sistema che non reggeva, che cascava da tutte le parti, che, per dirla con Montanelli, puzzava, e lo teneva in piedi con artefici. E ci è crollato dentro.
O si pensa una nuova Repubblica, o insieme a questa, crolliamo tutti. Ma chi vuole una nuova repubblica ce li ha tutti contro. Dal PLI al PCI. Pronti, il dito puntato, il grido in gola: «ecco, sono fascisti». Ricorda la vicenda Sogno?
È un ricatto ignobile. Se ci fa caso anche i patrioti del Risorgimento si trovarono soli. Erano considerati non solo inutili, ma addirittura dannosi. L'inutile Mazzini, l'inutile Pisacane. Ricorda?
Gentile onorevole, no, non mi sarei mai aspettato quei giudizi che, detti da Lei, sono, dopo tutto, contro natura.
I contraddittori odierni, laici o no, non hanno allargato alcun fronte della democrazia, ma semmai quello dell'intrallazzo, del clientelismo, dell'affarismo, della corruzione. Hanno sbriciolato la democrazia ed il comunismo... è passato.
La saluto cordialmente.

Giuseppe Niccolai


La risposta di Pacciardi


L'on. Niccolai che è un nostro abbonato, fraterno amico di nostri amici, è presidenzialista e persona rispettabilissima, mi scrive questa lettera per protestare contro un rilievo politico che mi sembra assolutamente oggettivo. È innegabile che non soltanto la DC e specialmente Andreotti, ma anche Ingrao e in genere la classe politica dominante nel suo complesso, hanno favorito la scissione del MSI e il sorgere di una destra nazionale che potesse essere parlamentarmente utilizzabile.
Non si contano le volte che Andreotti ha ricevuto ostentatamele i dirigenti di questo nuovo partito. Era poi sorprendente che un capo di governo alla ricerca di una maggioranza respingesse come infamante quello che gli offriva la nuova destra.
Ciò non poteva che portare acqua al mulino di Almirante e del MSI che il regime ha sempre confinato nel ghetto come fascista, e dimostrare la inutilità della scissione.
Non abbiamo nulla a che fare né con la destra nazionale né con il MSI, né con la scissione, ma si converrà che il contegno di un governo che si batte ansiosamente per ottenere la sfiducia del Parlamento è per lo meno molto strano.
Questo abbiamo detto e non altro. Perciò comprendiamo poco lo stupore dell'on. Niccolai.
Quanto al resto, entra poco in questo in questo discorso.
Nessuno, penso, ha preso mai sul serio l'etichetta di fascista che si è attribuita a Randolfo Pacciardi a scopo evidentemente polemico e di una polemica deteriore e assurda. La posizione di Almirante e dei missini, lo converrà l'on. Niccolai, è molto diversa.
Parlando in prima persona è notorio che non è di mio gusto la lotta fra antifascisti e fascisti, quando il fascismo è morto da alcune decine di anni, specialmente quando è fatta da coloro che in questa lotta non si impegnarono davvero quando il, fascismo era regime vivo e potente. Lo dissi fin dal 1946 in un discorso al Campidoglio per l'inaugurazione della Repubblica.
Non ho mai ostentato i titoli del mio antifascismo, ma evidentemente non ho alcuna simpatia per chi è nato come l'erede del regime rovesciato dalla guerra civile e dalla guerra internazionale.
La mia ripugnanza per l'attuale classe politica della repubblica muove dall'interno della democrazia proprio perché sono repubblicano, democratico e laico. Non credo che il movimento laico e repubblicano per una repubblica migliore sia morto. Proprio in questi giorni la polemica per la revisione delle Istituzioni si ravviva in ogni settore democratico.
Possiamo dire le stesse cose, ma per quel che riguarda me non c'è alcun dubbio che ho l'occhio rivolto all'avvenire della democrazia, della repubblica, dalla libertà e sono coerentemente devoto agli ideali che ho servito prima del fascismo, durante il fascismo e dopo il fascismo, non disprezzando affatto i sentimenti di considerazione e di stima che l'on. Niccolai, che ritengo un galantuomo, mi dimostra anche nella sua lettera cortese di antico avversario nel comune collegio di Pisa.

(r.p.)




Rosso e Nero

«Essendo il nostro un partito piccolo ma pulito, è anche un partito povero».
Così il segretario nazionale del PRI Oddo Biasini in una intervista al giornale "La Nazione".

* * *
Andiamo per ordine. Scandalo dei petrolieri: il PRI c'è dentro fino al collo. Il percettore diretto di 120 milioni è Ugo La Malfa. Gli assegni (12 da 10 milioni ciascuno) provengono dalla ITALCASSE per conto dei petrolieri. Questi ultimi finanziano i partiti di governo perché sostengano la campagna intrapresa dall'ENEL per la costruzione di nuove centrali termoelettriche, cioè funzionanti con olio combustibile a basso tenore di zolfo.

* * *
I soldi dei petrolieri per questa "operazione" (ve ne sono altre) vengono cosi distribuiti:
* 220 milioni al sen. Talamona del PSI
* 140 milioni al sen. Amadei del PSDI
* 120 milioni all'on. La Malfa del PRI
* 520 milioni all'on. Micheli della DC.
Il tutto per un miliardo di lire. Contro questi signori, da tempo, giacciono in Parlamento le autorizzazioni a procedere per corruzione. Non sono mai state discusse. Anzi, l'on. Amadei è stato premiato. Infatti è ministro. Delle finanze, naturalmente!

* * *
Conservo l'originale di un manifesto a più colori, affisso dal PCI in Sicilia il 12 marzo 1971. Formato: un metro per settanta. Riporta tre fotografie: quella di Ugo la Malfa, di Aristide Gunnella e del mafioso Di Cristina. Le didascalie sotto le fotografie dicono così: «La Malfa, il moralizzatore, segretario del PRI e Di Cristina». Più sotto la frase: «mi vergogno come viene amministrata la cosa pubblica in Sicilia». Al centro del manifesto la fotografia di Di Cristina con sotto scritto: «il mafioso, un amico del PRI e di Gunnella. È all'Ucciardone accusato di aver fatto ammazzare all'Ospedale Civico l'albergatore Ciuni». Accanto la foto di Gunnella con la seguente dicitura: «il collocatore, deputato del partito di La Malfa e di Di Cristina. Io l'ho assunto alla SOCHIMISI e Di Cristina ha restituito a lui e a La Malfa voti e preferenze nelle elezioni del 1968». E, in fondo al manifesto, la morale: «Ecco un esempio di quel legame fra mafia e potere che è necessario tagliare per la liberazione, della Sicilia».
Così il PCI nel 1971. Oggi che il PRI si è fatto portavoce del PCI, quelle accuse e quei manifesti sono dimenticati Ma l'affermazione di Oddo Biasini, per cui il PRI è sì un partito piccolo ma pulito, non andrebbe un po' ridimensionata? Magari con questa: il PRI è sì un partito piccolo ma è anche un po' sporchetto.
Di mafia e di petrolio.

* * *
È arrivata l'ultima. Si è scritto, riferendosi a documenti inoppugnabili, che "la Repubblica", il giornale della... verità diretto da Eugenio Scalfari, è nato da contributi dell'ANIC, una controllata dell'ENI, del Banco di Roma, quello per intenderci di Sindona, e dalle collette di Rovelli. Un bell'impasto davvero!
Alla fine di aprile c'è stata l'assemblea dei soci dell'ANIC. C'era molta attesa per i chiarimenti ufficiali circa questa inquietante faccenda, per cui un'Azienda a partecipazione statale risultava fondatrice di un quotidiano social-comunista. Ahimè, il presidente Ratti, nel tentativo di scaricarsi di dosso questa rogna, se l'è cavata dicendo che «nella contabilità ufficiale non si trova traccia del finanziamento». Che significa contabilità ufficiale? Forse l'ANIC ha anche una contabilità nera? Ci sono i fondi neri?
Neri (i fondi), rossa (la Repubblica).




Olocausto

È giusto, doverosamente giusto che quanto racconta il film americano "Olocausto" sia visto dai telespettatori italiani. I drammi dal sangue e del terrore, avvengano questi sotto quella o questa bandiera, non debbono e non possono essere dimenticati. Anche se, ahimè, l'umanità pare non tenere in eccessivo conto le esperienze vissute tragicamente se ripercorre, come se nulla fosse stato, pur sotto etichette diverse, le vie del terrore e dall'infamia contro l'uomo.
Detto questo, una domanda: perché la proiezione di "Olocausto" programmata dalla RAI-TV par settembre viene invece data in piena campagna elettorale? C'è un deliberato "proposito" in questo comportamento? E di quale tipo? Forse quello di scolorire, nell'onda emozionale di quella sequenze, le pur drammatiche vicende che gli italiani sono costretti a vivere? C'è forse l'intento, da parte dei reggitori del potere, di trovare, in quei ricordi di sangue, un alibi alle proprie presenti responsabilità?

* * *
Vediamo un po' se "lor signori" hanno le carte in regola per fare simili operazioni.
Il film viene trasmesso dal canale 1, quello par intenderci, democristiano. La sue puntate sono stata programmata in modo tale che, proprio mentre gli italiani voteranno si avrà, sui teleschermi, il massimo della emotività. Se così stanno le cose, qual'è l'intento che si ripromettono di ottenere i "padroni politici" della RAI-TV?
Evidentemente far si che la pubblica opinione sia portata a mettere sul banco degli accusati qualcuno e ad escluderne altri.
Questa una delle motivazioni, la meno nobile, ma la più probabile. Può essercene anche un'altra, e cioè quella dell'esame di coscienza duro, spietato, fatto fino in fondo. Il chiedersi: quanti di noi, che siamo ai vertici della vita politica italiana, siamo corresponsabili morali di quella tragedia? Sapevamo. Perché tacemmo, o peggio ci schierammo coi carnefici?
Ricordate? Gli articoli in difesa della razza di "Civiltà Cattolica"; quelli di Padre Agostino Gemelli, Rettore dall'Università Cattolica; quelli di Raimondo Manzini, già direttore de "l'Osservatore Romano", di Amintore Fanfani che sulla "Rivista di Scienza Sociali" (maggio 1939, pag. 256) scriveva che «per la potenza e l'avvenire della Nazione, gli italiani, oltre che numerosi e costituzionalmente sani, devono essere razzialmente puri». E perché, già che si siamo, dimenticare il corso delle lezioni, dal titolo "lo Stato" tenute da Aldo Moro presso l'Università di Bari, esaltanti la razza?
È questo esame di coscienza che hanno voluto fare davanti agli elettori? Lasciamo fare, anzi, applaudiamo.

* * *
Non diversamente dai democristiani, uomini di vertice della sinistra italiana.
Leopoldo Piccanti, santone dell'antifascismo e del radicalismo più acceso insieme a Giuliano Vassalli (si stava per trovarcelo Presidente della Repubblica, quest'ultimo, per grazia socialista), sono a Vienna fra il 6 e l'11 marzo 1939 a ribattere, insieme ai vari Rosemberg, il tema "razza a diritto"; Felice Olianti, giornalista di grido di "Paese sera" e de "l'Unità", scrive sulla «coscienza di razza dal popolo lavoratore» ("Ordine corporativo" - luglio 1938); Amerigo Boldrini, senatore del PCI, presidente dell'ANPI, è, "in quei tempi" centurione della MVSN; Davide Lajolo, già direttore de "l'Unita", è, "in quei tempi", federale di Ancona a camicia nera in terra di Spagna; Pietro Ingrao, presidente della Camera dei deputati, è, "in quei tempi", vincitore del concorso "poeti del tempo di Mussolini"; Alessandro Natta, presidente del gruppo parlamentare del PCI, è "in quei tempi" responsabile della stampa e propaganda del GUF di Pisa; Giovanni Spadolini, ministro della pubblica istruzione è "in quei tempi" l'apologeta della repubblica di Mussolini.
L'elenco è largamente incompleto. La domanda è questa: possono costoro, davanti al video che trasmette "Olocausto", sentirsi senza rimorso?

* * *
Olocausto. Questa è la vera lezione da trarre? L'orrore non è finito. È dietro l'angolo. Non siamo ancora ai campi di sterminio. Siamo però alla loro preparazione; siamo alla seminagione delle idea che a quei "campi", sia pure sotto etichette diverse, possono riportarci. Il tempo delle "follie" non è finito. Anzi. Vigoreggia. I filosofi, i teorici, i politologi non mancano. Annaffiano ogni giorno il terreno e i mostri stanno risorgendo, come ha già scritto qualcuno.
Che fare? Può servire il silenzio? Può servire rintanarsi nel privato? Può servire fuggire? Può servire avere paura?
La follia ha le stesse caratteristiche di sempre: l'eliminazione di chi la pensa diversamente, l'annullamento fisico e spirituale dell'avversario. Non ti rispetto perché, Uomo, ti ammazzo.
Può salvarci la filosofia della resa e della rassegnazione teorizzata da Aldo Moro?
Non ha salvato lui. Non salverà noi.
Perché una libertà senza coraggio è sempre preda dalla violenza e, successivamente, del terrore.




Pareri

«La storia è straziante, gli attori sono bravi, il messaggio è chiaro; la brutalità organizzata, l'agonia silenziosa delle vittime, l'indifferenza del mondo, la serie mostra quel che i superstiti hanno tentato di dire per anni. Malgrado ciò qualcosa non va. Qualcosa? No, tutto. Falso, infamante, gratuito, il film è un insulto per coloro che perirono, come per i superstiti. L'olocausto deve rimanere nella memoria, ma non come uno show».

(Elia Wiesel, scrittore storico, professore all'Università di Boston, reduce dall'olocausto).



«Se gli autori tedeschi sì fossero permessi di "trivializzare" il dramma ebreo come lo hanno fatto i produttori di oltre Atlantico, è probabile che lo scandalo sarebbe stato denunciato su tutta la superficie del globo».

("Le Monde", Parigi)



I produttori del film si dimostrano più preoccupati di superare il successo di "Radici" che di sondare le cause profonde del male nazista, facendo appello al gusto per la violenza già eccessivamente sfruttato alla televisione. I produttori di questo film erano innanzitutto preoccupati del rendimento.

(Wolfe Kelman, rabbino)
 

Come fummo i primi a presentare nel Parlamento italiano una legge istituente l'anagrafe tributaria dei membri del Parlamento (N. 78 dell'11/6/68), ci faremo promotori di una modifica dell'articolo 42 della Costituzione perché in esso venga inserita la seguente norma:
«La legittimità della proprietà degli uomini politici deve essere dimostrata. L'onere della prova è a carico del titolare del diritto di proprietà».


Sulla morte dì Aldo Moro

La mozione che si riporta, presentata dai consiglieri comunali del MSI, è stata discussa, nel silenzio di tutta la stampa, dal Consiglio Comunale di Pisa il 6 aprile 1979. Ha votato contro tutto l'arco costituzionale.

IL CONSIGLIO COMUNALE ad un anno dall'assassinio di Aldo Moro, davanti ad un Paese che pare di avere smarrito la bussola di orientamento morale, al punto che la violenza che viene scagliata sugli italiani, specie quelli più giovani, dalla Televisione di Stato, dalla stampa di regime, dalla cinematografia sovvenzionata dal denaro pubblico, dagli episodi di malcostume e di malversazione del denaro di tutti è pari a quella fisica che si scatena nelle strade, nelle piazze, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, per cui l'assassinio diventa metodo di lotta politica;
* constatato come il sacrificio di Aldo Moro rischi, grazie ad una informazione drogata e falsa, di deviare gli italiani da quell'esame di coscienza duro ma necessario, non solo per capire perché quel "sangue" venne sparso ma altresì come da quel "sangue" l'Italia possa riscattarsi tornando ad essere un Paese maiuscolo, civile e per il quale valga la pena di vivere e lottare;
* constatato come i vertici della politica continuino a rappresentare il dramma di Aldo Moro al solo fine di puntellare le posizioni di potere, e come tale rappresentazione arrivi alla mistificazione, per cui il Presidente della DC da ricordare è quello prima del 16/3/78, mentre l'Aldo Moro dei 55 giorni del sequestro e del suo sacrificio è da cancellare e da dimenticare, mentre è vero il contrario;
* convinto che per capire occorra avvicinarsi, con religiosa attenzione, alle commoventi lettere di Aldo Moro scritte dalla "prigione del popolo" lettere nelle quali il presidente della DC dava dell'Italia, a diversità della TV e della stampa un'immagine reale, per cui era assurdo che in un Paese «corroso dai compromessi e dai patteggiamenti alle spalle del popolo, della mafia, della corruzione, da violazioni costanti alla lettera e allo spirito della legge italiana» lo si sacrificasse ad una ragione di stato che non esisteva e non esiste in quanto lo Stato è tutto da ricostruire se si vuole uscire dal baratro in cui la Nazione Italiana è precipitata;
* convinto che è proprio la mancata analisi di questa situazione a precipitarci tutti nella confusione e nel disordine mentale e fisico; analisi che invece Aldo Moro ha saputo fare dalla prigione, riscattandosi, nel supremo sacrificio, da quella politica dell'ambiguità e del compromesso da lui stesso impersonata per tanti anni e che, ahimè, lo portava alla morte;
* convinto quindi che dal terrorismo e dal disordine economico, suo stretto alleato, si possa uscire solo riformando lo Stato e la società secondo giustizia e rigore morale,
INVITA
la cittadinanza, ad un anno dal sacrificio di Aldo Moro, a guardare oltre il proprio utile e il proprio tornaconto, perché collettivamente si senta l'imperiosa volontà di ripulire il Paese dalle piaghe dell'ingiustizia, dell'arbitrio, del clientelismo, della, corruzione, del privilegio, onde ridare, specie ai più giovani, speranze e ideali per i quali valga la pena di vivere e operare.

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Pertini difende Leone

Riportiamo uno scambio di lettere con il Presidente della Camera dei Deputati, allora Sandro Pertini.
La corrispondenza, riguardante la Presidenza della Repubblica e, in particolare Giovanni Leone, è di antica data. I radicali dovevano ancora scoprire che al Quirinale sedeva un personaggio che dava ad addivedere di usare, non correttamente, il denaro di tutti. La vicenda inizia con l'interrogazione dell'on. Giuseppe Niccolai che riportiamo:

Si chiede di interrogare il ministro della difesa, per conoscere se è esatto che diversi ufficiali di complemento del servizio automobilistico, pur avendo superato 13 anni nel grado di capitano, non vengono promossi in quanto, per una legge assurda, stanno aspettando la promozione del capitano in s.p.e. Vincenzo Spinosa che, per la quarta volta, è stato valutato «idoneo ma non iscritto»;
Per conoscere i motivi per i quali il capitano Vincenzo Spinosa, quando venne dichiarato per la seconda volta «idoneo ma non iscritto», non fu passato nel ruolo speciale unico, cessando così di essere di intralcio agli altri;
Per sapere se il capitano Vincenzo Spinosa ha precedenti penali e se è esatto che è stato difeso dall'avv. Giovanni Leone.
on. Giuseppe Niccolai

A questa interrogazione rimasta senza riscontro fece seguito la lettera che pubblichiamo indirizzata all'allora Presidente della Camera dei Deputati on. Sandro Pertini:

Signor Presidente,
è congelata presso l'Ufficio Assemblea una mia interrogazione relativa al Capitano Vincenzo Spinosa, la cui mancata valutazione blocca da anni le promozioni di diversi Ufficiali di complemento.
Nell'interrogazione denuncio uno stato di privilegio legato al fatto che il capitano in questione, incorso in un infortunio penale, è stato difeso dall'avv. Giovanni Leone, attuale Capo dello Stato.
Perentoriamente mi viene comunicato che non si accetta questa parte dell'interrogazione. Se così è, l'interrogazione non ha più ragione di essere, cade tutta.
Non vedo, Signor Presidente, in un contesto mondiale in cui Papi, Re, Presidenti di Repubbliche, vengono pubblicamente contestati, le ragioni perché si debba, nella polemica politica, nel parlamento italiano tenere fuori da ogni sindacato la Presidenza della Repubblica che, fra l'altro, si veda l'ultimo viaggio a Parigi (71 persone al seguito del Presidente!), non da certo esempi di corretta amministrazione del denaro pubblico.
Nella ferma speranza che Lei voglia rivedere la decisione e consentire all'interrogazione di fare il suo iter, La saluto distintamente.
(on. Giuseppe Niccolai)

Ed ecco la risposta del Presidente della Camera:

Egregio Onorevole,
ricevo la Sua lettera concernente la Sua interrogazione relativa al Capitano Vincenzo Spinosa.
Premetto che non credo possibile che gli uffici -o le persone che ne fanno parte- abbiano potuto comunicare "perentoriamente" che l'interrogazione non è ammissibile, perché mi risulta che a tutti gli uffici della Camera e soprattutto a quelli che hanno contatto con gli onorevoli deputati sono addetti funzionari e impiegati della cui cortesia è difficile dubitare.
Quanto al merito, ho avuto più volte occasione di dire a Lei e ad altri Suoi Colleghi che le espressioni «frasi sconvenienti» e «argomenti affatto estranei» di cui al combinato disposto degli art. 139 e 89 del Regolamento, indicano concetti che nella prassi secolare vanno al di là del significato meramente letterale delle parole, per questo motivo non sono ammissibili alla Camera le interrogazioni che si riferiscono a senatori e viceversa; per lo stesso motivo è cura delle presidenze di entrambe le assemblee di evitare che, attraverso le interrogazioni, che sono atti sottratti alla cognizione del giudice, possa essere lesa la dignità o la onorabilità di privati cittadini, impossibilitati poi a difendersi.
Un eguale ordine di ragioni impedisce alle Presidenze di accettare interrogazioni che si riferiscono al Capo dello Stato quando siano evocati atti da lui compiuti prima di essere tale e quindi sottratti alla responsabilità di Governo. È ben chiaro infatti che il governo non può in alcun caso dare, alla Camera notizie o esprimere valutazioni se non su fatti che investano la propria responsabilità.
Non essendo quindi la Presidenza della Repubblica come istituto chiamata in causa nella Sua interrogazione bensì la Persona che oggi ricopre la carica, nella Sua precedente qualità di avvocato, e per di più, non tanto in ragione di fatti accertati, ma di induzioni personali nei confronti delle quali egli non avrebbe possibilità di difesa, ho ritenuto di considerare inammissibile la Sua interrogazione così come è stata da Lei redatta.
Distinti saluti

Sandro Pertini




Sotto l'ombrello

Da quando lo hanno fatto cavaliere, l'inquilino del secondo piano par migliorato perfino della scoliosi, tanto si raddrizza e gonfia e gonfia il petto. Ha perfino comprato il cappello con le falde bordate e rialzate Si vede che mira al commendatorato.
Ogni qualvolta mi capita di scambiare una parola, sulla conduzione del condominio, provo una sensazione di disagio perché mi par sempre di trovarmi in compagnia di personaggi illustri, potenti, di quelli che ti mettono in soggezione.
In realtà siamo soli, lui ed io, ma il cavaliere è un uomo che ci tiene così tanto a far sapere che lui è in buoni rapporti con l'onorevole, ottimi col sindaco, squisiti con gli assessori regionali... che te li fa entrare in tutti i discorsi, in tutti gli argomenti, in tutte le frasi, almeno uno per periodo.
Lui, è iscritto al Partito. Frequenta le riunioni, offre la quota mensile, è abbonato al giornale del Partito. Quando pronuncia: Partito sembra che una P sola, anche se maiuscola, sia troppo poco. Ce ne mette due. Magari una grande e una piccola. E così, fiancheggiato dal Ppartito, si sente potente anche lui.
Ora poi, lo hanno fatto cavaliere.
Lo guardo scendere le scale col passo sicuro, la testa alta, il torace espanso come se avesse l'asma. Mi vien da fare questa considerazione: non è il Partito che ha scelto lui perchè uomo eccezionale ma è lui che si è scelto quel Ppartito. Per mettersi al sicuro. Per garantirsi l'ombrello che lo ripari da tutte le piogge. Una scelta, dunque la sua. Come l'ho fatta io. Solo che il mio partito non ripara un bel nulla. Qui ci si bagna. E non conosco assessori deputati e sindaci. Né mi hanno promosso cavaliere.
Scendo le scale, qualche gradino al di sopra di lui, e gli guardo il pelino ritto della lobbia grigia che porta in testa.
Mi domando: è più bischero lui o io?
Ci rifletto sopra un momento: qualcuno, anche dei nostri da ragione al cavaliere. Infatti sono diversi quelli che sono andati a rifugiarsi sotto l'ombrellone costituzionale, così ampio e così tollerante.
Qualcuno si è addirittura abbuffato troppo e c'è caso che debba smaltire l'indigestione più che in Ospedale, in Tribunale.
Quando stava da questa parte, mangiava forse meno ma si salvava dal colesterolo e dalla galera.




Primo amore e senilità

L'ho passato da un bel pezzo «il mezzo del cammin di nostra vita». Quello che mi consola è che nel raffronto, specialmente con le rappresentanti del sesso femminile, ci guadagno. O almeno, cosi mi piace illudermi.
Passava uno di quei cortei di donne scarmigliate, un po' sudicine, urlanti motti osceni inneggianti alla «proprietà privata loro» e imprecanti avverso la «proprietà privata maschile».
Nel gruppo frenetico, riconobbi una vecchia fiamma di trentanni fa. I capelli erano mezzo grigi. La bocca, aperta al canto, mostrava qualche vistosa lacuna di denti e a tratti aspirava rabbiosamente il fumo di una sigaretta col filtro. Le braccia secche gesticolavano sbandierando un cartello dov'era scritto: «sono mia».
Mi tornò alla mente d'improvviso una sera che la baciai sul greto dell'Arno.
Da un taccuino ideale che forse tutti portiamo inconsciamente dentro di noi, mentalmente cancellai con una croce quel nome.
Senza rimpianto.
«Sono mia» - seguitava a sventolare il mio vecchio perduto amore.
Non mossi obbiezioni.
Certo che è triste per una donna invecchiare. Ma è triste anche per l'uomo. E sotto certi profili, forse anche di più.
Pagherei a sapere com'è per un finocchio.
Deve essere una cosa tragica e grottesca per davvero!




Al contadino (e al cittadino)
Non lo far sapere

Cittadino, sui conti dei supremi organi costituzionali devi stare a bocca chiusa!
Ecco infatti un «appunto» della Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica trasmesso all'on. Niccolai che aveva chiesto una copia del bilancio della Presidenza stessa.
La richiesta di conoscere il bilancio del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica contrasta con la posizione costituzionale che il nostro ordinamento attribuisce al Capo dello Stato. Tale posizione, propria dei supremi organi costituzionali -sulla quale è concorde la più qualificata dottrina giurispubblicistica- comporta tra l'altro l'autonomia amministrativa e contabile dei servizi da essa dipendenti, quale è pacificamente riconosciuta alle Camere legislative ed alla Corte costituzionale. Senonché, mentre il fondamento dell'autonomia spettante ai servizi che fanno capo alle Assemblee parlamentari è di natura consuetudinaria, quello relativo all'autonomia del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica e della amministrazione della Corte costituzionale è ora sancito in norme legislative, che attuano in modo coerente e razionale princìpi del resto già impliciti nella nostra Costituzione.
Innanzitutto l'art. 3, primo comma, della legge 9 agosto 1948, n. 1077, conferma il carattere strumentale del Segretariato, stabilendo che in esso sono inquadrati «tutti gli uffici e i servizi necessari per l'espletamento delle funzioni del Presidente della Repubblica» e per l'amministrazione della sua dotazione. In secondo luogo l'art. 1 della legge 26 maggio 1959, n. 345, stabilisce che la spesa per il Segretariato generale e per tutto il personale da esso dipendente verrà iscritta annualmente in apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero del Tesoro senza che l'ammontare della spesa stessa sia determinata da un'apposita legge, come era invece previsto dall'art. 4, comma secondo, della citata legge n. 1077 del 1948.
Inoltre, sempre in base alla surriportata disposizione della legge del 1959, vige la più larga autonomia in tema di organizzazione del personale. A queste disposizioni fanno esatto riscontro quelle contenute nell'art. 14 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla costituzione e il funzionamento della Corte costituzionale, nel testo modificato dall'art. 4 della legge 18 marzo 1958, n. 265.
Da precetti concernenti il Segretariato generale e l'amministrazione della Corte costituzionale discende chiaramente, in ordine alla autonomia amministrativa e contabile dei servizi dipendenti da supremi organi costituzionali:
1) l'esclusione di ogni controllo, anche indiretto da parte del Parlamento sul bilancio interno e in genere sull'amministrazione dei fondi stanziati nel bilancio dello Stato a favore della Presidenza della Repubblica;
2) l'esclusione di ogni controllo, sia preventivo che successivo, da parte della Corte dei conti, sulla gestione dei mezzi finanziari messi a loro disposizione;
3) l'impossibilità, a fortiori, di qualsiasi tipo di sindacato, da parte dei titolari di altri organi costituzionali.
Del resto l'autonomia finanziaria dei Segretariato generale della Presidenza della Repubblica -accentuata dalla citata legge n. 345 del 1959- corrisponde pienamente alle esigenze di indipendenza e di imparzialità che caratterizzano l'ufficio del Capo dello Stato nella nostra Costituzione.
Pertanto ogni richiesta, anche di carattere meramente conoscitivo, sulla gestione della spesa da parte del Segretariato non mancherebbe di incidere sulla posizione costituzionale riconosciuta al Presidente della Repubblica.




Sei fregate per una fregatura

La stampa italiana in questi giorni di maggio ha dato risalto all'inchiesta aperta dal Governo Venezuelano circa l'acquisto in Italia di sei fregate lanciamissili del tipo "Lupo", costruite dai Cantieri Riuniti di Riva Trigoso. Il relativo contratto si sarebbe concluso all'insegna di bustarelle, cioè della corruzione. Siamo in grado di pubblicare quanto scriveva sull'argomento la Rivista "OP" fin dal 4 ottobre 1977. La rivista '"OP" era diretta da Pecorelli, il giornalista assassinato, in circostanze misteriose, nel marzo scorso a Roma.

Lo scandalo delle sei fregate lanciamissili commissionate dalla marina venezuelana ai Cantieri Navali Riuniti di La Spezia si arricchisce di particolari piccanti. La vicenda merita un breve riepilogo. Il 7 settembre (notiziario "OP" n. 162) anticipavamo la notizia della clamorosa denuncia di alcuni parlamentari venezuelani: i Cantieri Navali Riuniti non sarebbero in grado di far fronte all'ordinativo della marina venezuelana, sei fregate tipo "Lupo" per un importo di 500 miliardi, 400 dei quali risultano già pagati nel bilancio di quel governo. Due settimane orsono, invece, a La Spezia, una unità tipo "Lupo" è stata consegnata alla marina militare italiana, tale unità era stata ordinata dopo la presunta commessa del Venezuela. Da ciò è facile desumere che non è vero che i CNR non sono in grado di rispettare gli impegni, ma piuttosto che gli impegni presi a Roma dai rappresentanti venezuelani possono essere diversi da quelli riferiti a Caracas. A conforto di questa ipotesi, un altro episodio di cronaca. Nel corso delle indagini di polizia sull'Hostess Club di Gianni Bonomi, è emerso che quel centro di prostituzione riforniva regolarmente puttane di lusso per i sollazzi dei figli di Leone e dei loro ospiti. In particolare, otto prostitute otto raggiunsero il Quirinale in occasione della visita del presidente venezuelano Peres.
Ora è noto che le sei fregate ai cantieri di La Spezia furono commissionate proprio da Peres al termine di una colazione di lavoro con il nostro Leone Giovanni. Vuoi vedere che all'atto di alzarsi dal triclinio e saldare il conto, tra una fregata e l'altra è sorto uno spiacevole equivoco linguistico? Insomma Peres avrebbe pagato 400 miliardi venezuelani non per sei fregate, ma per sei chiattelle?

Ringraziamo Giacomo Mannocci (PI) per il materiale di questa pagina