Il voto utile
Caro elettore,
quale è il voto utile? Noi rispondiamo che il voto utile è quello
dato a quel partito che utilizza il Tuo voto per i fini per i quali
Tu Io hai dato.
Facciamo un esempio: se Tu elettore quel voto lo hai conferito ad un
partito che afferma di essere anticomunista e questo partito, dopo
le elezioni, usa il Tuo voto rispettando l'impegno reso con Te, quel
voto è utile, non è un voto disperso.
È stato così per l'elettore che in tutti questi anni ha votato DC
ritenendo che la DC Io difendesse dal comunismo?
La risposta è negativa. La DC ha sempre chiesto voti per difendere
gli italiani dal comunismo, ma quando li ha ricevuti (e in
abbondanza) si è costantemente dimenticata di quell'impegno, fino al
punto di portare il PCI nella maggioranza di governo.
Questo, ne converrai caro elettore, è il caso classico di voto, non
solo inutile ma addirittura dannoso.
* * *
Veniamo ad una seconda considerazione sempre di ordine pratico.
Cominciamo con una domanda: può la DC essere credibile quando,
davanti a Te, elettore, espone i suoi intendimenti anticomunisti?
Te ne puoi fidare?
Noi diciamo di no. Chi, infatti, può rendersi garante di quella
promessa, se nella DC convivono più partiti, l'uno in contrasto con
l'altro per ragioni di potere, ma poi tutti uniti nel gabbare
l'elettore quando si tratta di barattare gli impegni e le idee in
cambio di posizioni di potere?
Sono conciliabili fra loro i discorsi elettorali di Piccoli, di
Andreotti, di Donat Cattin, di De Mita, di Granelli?
Battono tutti i tasti, sfruttano tutti gli stati d'animo, sono al
tempo stesso filo-comunisti e anti-comunisti, pescano dappertutto
con linguaggi diversi.
E poi?
E poi, Tu elettore, credi di avere votato per Piccoli ma poi, "dopo"
, Ti accorgi che ha avuto la meglio Bodrato, in quanto dall'urna
elettorale non è uscita la politica promessa, ma addirittura il suo
contrario.
Siamo al trasformismo più inverecondo, più sfacciato. Si tradiscono
ideali, promesse, impegni.
Questo è il voto inutile, dannoso, e che porta alla rovina Te
elettore, la Tua famiglia, i Tuoi figli, la Tua Terra.
* * *
La DC insiste e afferma che i voti dati al MSI sono inutili, che
quei voti vanno a finire in frigorifero perché non servono.
Rispondiamo con alcune considerazioni. È vero, anzi verissimo, che
fino a quando la DC camminerà verso sinistra alla ricerca del PCI, e
fino a quando il Paese non si sarà definitivamente stancato dalla
DC, i voti missini non potranno essere utilizzati.
È per una ragione molto semplice: perché in questo caso, per
realizzare quella politica, occorrono i voti del PCI. Essendo utili
i voti del PCI, quelli del MSI non sono certo utilizzabili se non
per combattere quella politica.
Ma di tutto ciò sei Tu, caro elettore, arbitro, non la DC.
Fino a quando Tu crederai giusto affidarti alla DC che va a
sinistra, i voti che contano saranno quelli del PCI, non quelli del
MSI.
Fino a quando durerà?
Dipende da Te, elettore. Quella politica della DC per cui solo i
voti del PCI contano. Ti ha dato inflazione, terrorismo, lo sfascio
dello Stato, il deserto nelle coscienze dei giovani, sangue,
disordine, morte.
Vuoi continuare? Vuoi ancora premiare la DC che si è fatta
portatrice di comunismo?
A Te la scelta.
Parlano di frigorifero per i voti missini. Si, d'accordo, ma non Ti
pare che fino ad oggi coloro che hanno votato DC, visti i risultati,
abbiano buttato quei voti nella pattumiera?
Frigorifero o pattumiera? A Te la scelta.
* *
Ultima considerazione. Si dice: ma la politica della DC di apertura
al PCI è destinata a durare e, quindi, i voti missini non servono.
Diremo: anzi!
Vuoi Tu, caro elettore, lasciare briglia sciolta sulle spalle della
DC? O metterle accanto solo il pavido freno di una opposizione di
comodo, come quella laica, che è franata davanti al comunismo?
Repubblicani, socialdemocratici, liberali, fanno parte
dell'ammucchiata.
A Milano e in altre grandi città, i socialdemocratici governano con
il PCI. Il migliore incoraggiamento a durare nella folle corsa verso
sinistra la DC lo riceve proprio da chi, sciaguratamente, credendo
alla inutilità del voto missino congela il proprio suffragio su quei
"laici" che, garantendo da sempre alla DC via libera in Parlamento e
nel Paese, le hanno sempre consentito di tradire la fiducia degli
italiani.
Delle due l'uno: o la marcia della DC verso il PCI sarà arrestata ed
allora in tal caso sarà insostituibile l'apporto di rottura e poi di
ricostruzione nazionale dei voti missini; o la marcia della DC verso
il PCI continuerà e allora, dopo le elezioni, ci vorrà una
opposizione di battaglia e di tenacia quale è quella che i missini,
e solo i missini, hanno saputo organizzare in Parlamento e nel
Paese.
Se il MSI fosse stato eliminato come era nel sogno della sinistra
italiana, a quest'ora la DC sarebbe già finita nelle braccia del
PCI. Definitivamente.
Inutili i voti conferiti al MSI?
Ricorda, caro elettore, rifletti e scegli utilmente: per Te, per la
Tua famiglia, per la Patria, per lo Stato.
Non c'è voto più utile perchè non c'è voto più fedele di quello
missino.
Giuseppe Niccolai
Il coraggio di avere paura
Seguendo la campagna
elettorale «dalla parte del consumatore», cioè non da uomini
politici ma come cittadini comunissimi, alla radio, alla
televisione, nelle piazze, abbiamo tratto l'amara ma certissima
conclusione che la gente reagisce con un profondo senso di
sconforto, quasi di nausea ascoltando le parole dei vari (anche
illustrissimi) personaggi della politica.
Dobbiamo confessare che non sappiamo dar foro torto. Anche a noi è
accaduto di provare le stesse sensazioni, qualche volta almeno.
Vogliamo un po' insieme e con serenità scoprire le cause di questa
avversione, di questa nausea verso tutto ciò che sa di politica, e
che in definitiva mette sotto accusa tutta la classe politica
italiana da parte della pubblica opinione?
Se siete in su con gli anni, ricorderete il 1946. Anno terribile: il
Paese era allora uscito dalla guerra e le distruzioni, le rovine non
si contavano. Pareva impossibile tornare ad una vita normale. Ve lo
ricordate? Eppure gli italiani, al di là degli odii che li avevano
divisi fino alla morte, il miracolo della ricostruzione lo fecero.
Con una passione travolgente.
Perchè?
Perché quegli italiani di 34 anni fa credevano. Non interessa sapere
in cosa. Interessa riconoscere, insieme a Voi, che quegli italiani,
in mezzo alla disperazione delle macerie, fossero essi socialisti,
comunisti, democristiani, ex-fascisti, dimostrarono nei fatti di
credere in se stessi e nel Paese che ricostruirono. Non sembri un
paradosso, ma erano, nella avversa sorte, felici.
Da allora sono passati 34 anni e il Paese, almeno sulla carta, è la
settima potenza industriale del mondo. Abbiamo raggiunto certamente
alti livelli di agiatezza. Però tutto intorno a noi si sta
sfaldando, si sfarina come un mondo illusorio senza speranza.
L'agiatezza dunque non è stata sufficiente a renderci o mantenerci
felici.
Perché la passione, la volontà, l'energia del 1946 sono scomparse.
È sopraggiunta la sazietà, la noia, la nausea.
Si corre di più perché vogliamo avere di più, ma non ci si incontra
più, non ci si parla più, non si comunica più; ci si chiude, ci si
isola, e ci si sente sempre più soli.
Si ha paura
Abbiamo parlato all'inizio della nausea che investe i cittadini
quando ascoltano gli uomini della politica.
Ma non accade forse ciò proprio perché ai politici rimproveriamo
soprattutto di non aver saputo mantenere a noi e offrire ai nostri
figli quelle speranze e quegli ideali che in fondo danno un senso
alla vita e per i quali val proprio la pena di continuare a vivere e
lottare civilmente?
* La famiglia è stata dissacrata e hanno creato la figura del
"padre-padrone" ovviamente odiosa.
* Non c'è più amore: lo sostituisce il "sesso".
* Il soldato è un servo, la divisa una livrea, la bandiera un
lenzuolo e la patria confina con le sacre sponde del letto a due
piazze.
* Gli uomini per aver successo e fortuna e fama, è preferibile siano
invertiti mentre le donne è necessario siano puttane.
Hanno fatto un falò di tutto
Ma se la fede nei valori di ieri è sopita o spenta, quella nei miti
nuovi sta crollando.
L'Unità stessa, davanti al terrorismo che dilaga, scrive che «sono
nati i ragazzi-mostri». Non ci dice però il perché. Non ci dice da
dove vengano questi mostri e nemmeno ci dice come si fa per
riportarli all'umano. Ripete con grigia monotonia che tutto andrà a
posto con i comunisti al governo come se in moltissime province,
comuni e regioni non amministrassero da trenta anni la cosa pubblica
offrendo i più clamorosi esempi di disastrosa amministrazione.
E certo non fanno difetto i «ragazzi-mostri» nelle amministrazioni
rette dai socialcomunisti, tutt'altro.
Non ce lo dicono dunque i comunisti, ma ce lo dicono i 35 giovani
drogati di Grosseto i quali hanno scritto: «non avevamo scelta: o la
droga o il partito armato».
Ecco i mostri! Violenza verso sé o verso gli altri. Ma sempre la
violenza come soluzione.
Ma coloro che si proclamano «democratici» a 24 carati, sono esenti
da colpe?
Alla gioventù disperata, che si è fatta mostro, e che lor signori
chiamano rossa o nera, quali esempi, soprattutto morali, hanno
saputo dare?
Un ministro è in galera perché ladro. Non è anche questa violenza?
Non sono violenza gli scandali continui, le insolenti ricchezze dei
politici, le pensioni da fame a milioni di lavoratori quando
categorie privilegiate hanno anche 70-100 milioni l'anno di
pensione, i bambini di Napoli assassinati dall'inefficienza e dalla
dilapidazione del denaro pubblico?
Non è anche questa violenza?
È un'immensa, mefitica palude. Ma è anche da questa palude che
nascono i ragazzi-mostri.
Ma i democratici, che di quella palude sono i responsabili, hanno
tutto l'interesse a non bonificarla poiché i mostri ci debbono
essere, eccome!
Perchè, senza i mostri, con che cosa potrebbero giustificare la
richiesta del voto del 3 giugno?
- Datemi il voto perché sono un ladro?
- Datemi il voto perché ho disarmato materialmente e moralmente?
- Datemi il voto perché le FF.SS., le poste, gli Ospedali, le
Scuole, non funzionano?
Datemi il voto perché, mentre tu, artigiano, commerciante, piccolo
industriale, lavoratore, professionista, contadino, tiri la
carretta, io me la spasso irridendo ai tuoi sacrifici?
Come potrebbero chiedere voti presentando bilanci fallimentari? Chi
potrebbe dar loro fiducia?
Ecco perché fanno comodo i neri e i rossi. E più fra loro si
azzuffano e si ammazzano, io, democratico, ingrasserò perché potrò
sempre dire al cittadino che, in fin dei conti, è sempre meglio
essere governati da dei ladri piuttosto che da degli assassini.
Ragazzi-mostri. Burattini tragici.
Ma dove sta, e chi è il diabolico burattinaio che muove i fili di
tutto?
Dicono che Aldo Moro fosse un grande statista, un mediatore di
prestigio, un personaggio che sapeva domare ogni passione, un
interprete insuperato dei tempi che viviamo.
Senza dubbio. Ma Aldo Moro, oltre che dalla ferocia dei suoi
aguzzini, muore dalle «condizioni storiche» da lui stesso create.
Nel comprimere slanci, passioni, ideali. Esaltando la mediazione, il
compromesso, l'accordo a qualunque costo, si uccide il coraggio,
l'immaginazione, la fantasia, la vita stessa.
La partita a carte, riservata solo ai privilegiati del potere,
emargina, esclude, discrimina, crea protesta, rabbia, furore.
Dicono che la DC sia l'immagine di Moro. Senza dubbio. Anni e anni
fa coniò un motto che ebbe successo: «DC: progresso senza
avventure». «Rendetemi forte, vi farò felici».
È venuta la felicità?
La DC deve essere ancora premiata perché, insieme al PCI, ha portato
il deserto nelle coscienze dei giovani, la crisi economica, il
terrorismo?
«Io sono un porto sicuro», dice la DC. Non è vero. E te lo dimostra
il suo costante appello alla "paura", che è uno dei sentimenti meno
nobili dell'uomo: comunque uno stato d'animo di fronte al quale ci
si arrende tutti, non solo Aldo Moro.
Più la DC cede al PCI, più quest'ultimo partito guadagna voti. È
paradossale, ma è così, in questo modo però non si esce dalla
trappola. Ci si casca dentro. Definitivamente, il PCI infatti nel
1946 aveva il 19% dei voti. Grazie alla "medicina" democristiana (o
meglio al veleno) di elezione in elezione è arrivato a raggiungere
il 34%. La paura fa di questi scherzi.
Ed allora, come se ne esce? Non abbiamo ricette magiche da
suggerirvi se non quella di dirvi di avere coraggio.
Ve lo dice una comunità politica come la nostra, i cui Morti, per
mano delle BR, risalgono all'aprile del 1973, quando in una povera
borgata romana dove è difficile essere anticomunisti, furono
bruciati vivi due ragazzi, uno di 14, l'altro di 18 anni. Solo
perché erano figli di un missino. Quella morte, allora, non fece
rumore. Erano ragazzi fuori dall'arco costituzionale.
Coraggio. Ve lo dicono quei due fratelli.
Andate a votare.
E mettete sulla scheda il segno in cui credete.
Il voto convinto a chiunque vada, è sempre un voto valido.
Quello che devi evitare, per Te, per la Tua famiglia, per la Tua
Terra, è il voto dell'opportunismo, è il voto della paura. Quel voto
ci porta al disastro, perché è dal voto ambiguo, torbido, che poi
nascono le condizioni per cui la DC -come al solito tradendo- va al
definitivo abbraccio con il PCI.
Sarebbe la fine. Perché da quell'abbraccio (lo abbiamo già visto)
altro non può sortire che il definitivo passo verso lo sfascio
totale.
Voto del coraggio che ci consenta di ripensare la Repubblica in
termini, sì di libertà, ma anche di efficienza. L'Italia ha bisogno
di essere governata, amministrata. Con pulizia. Con giustizia. Con
rigore.
Il coraggio ristabilisce le condizioni prime, essenziali, perché
anche i nostri ragazzi riprendano a credere in se stessi, nella
Patria.
Vota dunque per chi vuoi, ma fallo con convinzione. Avendo cura di
schiacciare sotto i Tuoi piedi, senza pietà, la viltà, la paura,
che, ahimè, da troppo tempo, devastano il corpo della nostra
adorabile Italia.
Coraggio, ce la faremo!
I parlamentari si
aumentano l'indennità
"La Nazione" del 20 settembre
1978 riportava da Pontedera, in bella evidenza, sotto il titolo "PCI
mobilitato per l'on. Natta", questa parole: «un caloroso applauso si
è levato dalla platea ad un accenno che Natta ha fatto ad un tema
che, non solo da oggi, è molto popolare: qualcuno, ha detto, ha
chiesto in questi giorni l'aumento dell'indennità parlamentare;
ebbene noi abbiamo risposto no».
Questo avveniva nel dicembre 1978, sotto Natale. Ora si da il caso
che questo aumento ci sia stato. Infatti i signori parlamentari di
Serie A, alla chetichella e a Parlamento chiuso, si sono aumentata
l'indennità del 20%, con decorrenza, badate bene, dal gennaio 1979.
Quindi quei comunisti che a quanto afferma Natta dicevano «no» a
dicembre 1978, hanno detto sì a maggio 1979. E non si venga a dire
che loro sono, stati contrari. È una solenne bugia. Infatti il
provvedimento non sarebbe stato possibile se il Presidente della
Camera si fosse opposto. Senza la sua firma, il provvedimento non
passava. Ora tutti sanno chi è il Presidente della Camera. Risponde
al nome di Pietro Ingrao che, già poeta del «tempo di Mussolini», è
ora indicato (nientemeno!) come il possibile successore di Enrico
Berlinguer alla testa del PCI.
Non si dica nemmeno che quel provvedimento era obbligatorio in
quanto, essendo l'indennità parlamentare legata agli emolumenti dei
magistrati, quando questi emolumenti aumentano è giocoforza
ritoccare anche gli stipendi degli "onorevoli". È un'altra bugia.
Infatti gli Uffici di Presidenza della Camera e del Senato non hanno
l'obbligo dell'aumento, ma solo la facoltà. Quindi, potevano
benissimo dire di no.
Sicché l'aumento è cosa fatta: 350 mila lire in più al mese nella
busta dei parlamentari.
Per i lavoratori, che sono in attesa dei rinnovi dei contratti, si
prevedono aumenti che vanno dalle 13 mila lire mensili alle 24 mila.
Fate i raffronti. Sono interessanti.
E poi andate a leggere la Costituzione. All'articolo 1° sta scritto:
«l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro».
Partigiani della menopausa della Storia
Partigiani, dove siete oggi?
Con chi siete oggi?
Ti vedo alle commemorazioni ufficiali,
doppio petto,
guancia flaccida
e «pur bisogna andar»...
a conquistare la nostra Citroen dove vagisce
l'ultimo nato della società del benessere.
Dentro i mezzi da combattimento
dai nomi quieti come Anglia-Austin-Simca 1000
mirate bene.
Partigiani sparate a zero!
Attaccate l'ultimo semaforo.
Oggi il guidatore ha una dimensione ideologica.
Tacete: il pedone vi ascolta.
Lo vedete?
Occhio alla striscia:
È l'uomo della rivoluzione piegata.
da "Nuovi
Argomenti"
(Agosto 1966 – collaboratori: Moravia, Pasolini). |
La Legge Merli
salva Cefis dalla galera
In questi giorni si fa un gran
parlare, specie nel cosiddetto Comprensorio del cuoio, della Legge
Merli, la legge anti-inquinamento.
In discussione anche i princìpi di fondo di quella legge. È bella? È
brutta? È troppo severa? È troppo blanda?
Nessuno riflette sul fatto che quella Legge ebbe, soprattutto, una
finalità ben precisa: salvare dalla galera Eugenio Cefis, Presidente
della Montedison, condannato in primo grado dalla Magistratura per
inquinamento del Mar Tirreno per gli scarichi in mare del biossido
di titanio di Scarlino.
Questa legge, a Parlamento chiuso, venne portata al varo definitivo
e, guarda caso, finché non venne pubblicata sulla "Gazzetta
Ufficiale", il ricorso di Cefis presso il Tribunale di Livorno non
ebbe sfogo. Varata la legge, al Tribunale non restò che assolvere
Cefis e compagni «perché il fatto, previsto come reato dalla vecchia
legge, era stato cancellato dalla legge Merli».
L'articolo fatidico è il 12. Lo hanno battezzato: articolo Foro
Bonaparte che è la via che, in Milano, accoglie gli Uffici della
multinazionale Montedison, grande finanziatrice dei partiti
politici.
La Legge Merli, dunque, non serve contro l'inquinamento, ma à
servita a salvare Eugenio Cefis dalla galera.
Evviva! Evviva! La giustizia è salva!
Indro Montanelli
ovvero della coerenza
«La fine dell'anticomunismo
professionistico è naturalmente la prima condizione per un processo
di sviluppo della distensione. Il carrozzone della guerra fredda è
infatti abitato da anticomunisti professionisti che come le mummie
hanno ragioni di temere di finire in polverone uscendo all'aperto.
Vi sono anticomunisti di professione che si trovano di fronte ai
problemi pratici, meritevoli di considerazione, perché non sanno
fare niente altro. Ma per uscire dallo scherzo ritengo giusto dire
che nella gente la professione di anticomunista è finita da un
pezzo. Direi che questo elemento ha preceduto, consentito,
accompagnato la distensione nei suoi primi passi.
E vuoi sapere perché io non sono più, da oltre due anni, un
anticomunista professionale? Perché sono profondamente convinto che
Nikita Krusciov è in buona fede...
Il miracolo di certe ultime conversioni è stato compiuto dalla
supremazia sovietica. Krusciov ha avuto ragione, aveva visto giusto
quando ha fatto prevalere nel Piano, un ulteriore sviluppo
dell'industria pesante e quindi della potenza militare e della
efficienza dei razzi. Prima la forza e poi la distensione: questa mi
sembra, grosso modo, la tesi di Krusciov che ha raggiunto tutti gli
obiettivi, dalla luna alla distensione internazionale.
L'anticomunismo era già arrivato ad un punto tale in Italia e nel
mondo che senza la supremazia missilistica russa non si sarebbe mai
arrivati al disarmo. Bisogna onestamente aggiungere che l'"Orbitnik"
è stata la condizione necessaria ma non sufficiente per aprire le
porte della distensione. Molta gente aveva già capito che
l'oltranzismo anticomunista non mena a nulla e non ha prospettive.
Non si poteva vivere a lungo di anticomunismo. Ma soprattutto
nessuno poteva più negare l'enorme successo del comunismo in URSS».
("Paese Sera", 20 ottobre 1959.
Intervista di Felice Chilanti a Indro Montanelli)
pagina 2
La Riforma della salute
pubblica
La bellezza non proprio fresca
ma giovialmente rubiconda, ridanciana e vagamente villereccia della
signora Tina Anselmi, ministro della Sanità, ci allieta e ci
rassicura che in fondo la vita è bella e che come il Candido di
Volaire noi viviamo nel migliore dei mondi possibile.
Vien subito a turbarci però il pensiero atroce che il grazioso
ridente viso della signora venga domani sostituito –per capriccio di
Andreotti o per esigenze di compromesso- con un altro, per esempio
quello truce e sospettoso di un Berlinguer o dolorosamente pervaso
di mestizia e di lutto di uno Zaccagnini.
Non ci resterebbe nemmeno il conforto dell'illusione, la
consolazione della speranza.
Ho fatto questa lunga premessa perché dovevo giustificare in qualche
modo il mio atteggiamento che -parrà strano- non è affatto di
opposizione alla Riforma Sanitaria. Debbo anzi ammettere che la
legge che istituisce questa Riforma non è solo buona, ma ottima, ben
fatta.
Per chi avanza qualche dubbio, cercherò di chiarire il mio punto di
vista affrontando il problema nei tre punti in cui esso
sostanzialmente si divide.
Il primo riguarda la parte politica vera e propria, cioè
l'organizzazione del servizio sanitario, il secondo riguarda i
medici e il terzo ma certamente non l'ultimo riguarda gli interessi
dei cittadini volgarmente chiamati mutuati.
ORGANIZZAZIONE
È perfetta o quasi. I consorzi socio-sanitari (appena potranno
funzionare) saranno collegati con le Unità Sanitarie Locali (anche
quelle non appena entreranno in funzione) e tutti e due smisteranno
i pazienti al Pronto Soccorso degli Ospedali da dove a loro volta
saranno smistati nei Reparti o nelle Cliniche specializzate per
ricerche ed esami.
Intanto continuano a sopravvivere le strutture delle varie Mutue
senza le quali per il momento sarebbe un grosso pasticcio andare
avanti in quanto le Regioni non hanno preceduto a fornirsi delle
strutture adeguate per operare con efficienza.
D'altronde, non si può pretendere di avere tutto.
Ma che cosa può fare di più una Regione per esempio come quella
Toscana la quale -pensate!- mette in bilancio ben 877 miliardi per
l'anno 1979 per il solo settore della Sanità, cioè il 72% di tutto
il bilancio regionale?
Che cosa può fare di più una Regione, che garantire il buon
funzionamento dell'apparato mantenendo un rapporto di 6 occupati per
ogni medico. Ma se perfino la progredita Svezia, dove certamente non
fanno difetto le forme assistenziali ma certamente lo fanno quelle
burocratiche, non supera il rapporto di 1 medico per ogni 2
occupati!
E che cosa può fare di più una Regione come la nostra, che offrire
ai propri assistiti dei posti-letto in Ospedale che costano
mediamente 60 mila lire al giorno ciascuno? Nemmeno una pensione
all'Hilton costa tanto! Non si può dire dunque che i malati siano
trattati male.
E allora, con queste cifre davanti e la garanzia offerta dal sorriso
aperto e sicuro della signora Anse/mi, perché non dovrei dire che la
Riforma Sanitaria è la migliore delle riforme sanitarie possibili?
I MEDICI
A conforto del mio ottimismo, chiamo il comportamento dei medici i
quali sono i veri tecnici, gli esperti, gli intenditori indiscussi.
Se la Riforma non fosse ben fatta, essi si sarebbero in qualche modo
ribellati.
A ben vedere, infatti, è investito il loro campo di lavoro e di
sussistenza in maniera diretta e perentoria. Ed i medici sono
organizzati, sia attraverso gli Ordini professionali e sia
attraverso i diversi Sindacati di categoria. Dunque, se sono stati
buoni buoni ad assistere al varo di questa grossa barca, peraltro
nemmeno finita e con parecchie falle sotto la chiglia, e sulla quale
loro si trovano come passeggeri in balia di poco raccomandabili
nocchieri politici, significa che giusto in questa barca hanno
riposto tutta la fiducia foro.
Del resto, anche l'arca di Noè, chi avrebbe mai immaginato che
sarebbe riuscita a scampare al diluvio e a portare in salvo tanti
animali?
Non possiamo pensare che i medici abbiano accettato le condizioni
poste loro dalla legge per la Riforma con la riserva mentale di
eluderle poi, come sempre accade nel nostro beneamato allegro Paese.
Avrebbe potuto essere cosi per qualcuno, forse, ma non per un'intera
classe professionale. E invece l'Imprimatur alla Riforma lo hanno
dato la Federazione Nazionale degli Ordini e i Sindacati, siglando
le convenzioni a nome di tutti i medici.
Per lo stesso motivo non possiamo neanche pensare che siano stati
spinti dalla paura. Uno solo può anche avere paura, ma ad un'intera
organizzazione nazionale, l'avere paura non è assolutamente
consentito.
A quel punto, ci si dimette.
E allora? Che cosa può averli spinti ad accettare la Riforma, se non
il convincimento che essa è la migliore che ci si potesse attendere
e che si potesse sperare?
GLI ASSISTITI
Loro, la Riforma non l'hanno fatta. E nemmeno gli è stato chiesto di
accettarla attraverso firme di documenti, convenzioni, patti e
statuti. L'hanno presa e basta. Un giorno sono entrati in farmacia e
han dovuto pagare il biglietto d'ingresso. Perché ticket vuoi dire
biglietto, no? Poi -dopo essersi sentiti spiegare che le Mutue non
esistono più- son dovuti andare alla Mutua a fare la nuova scelta
del dottore, l'iscrizione al SAUB, poi al Consorzio socio-sanitario,
all'Unità Sanitaria Locale, riempiendo documenti, esplicando
formalità, ma alla fine rendendosi conto di essere entrati
nell'ingranaggio di una macchina dalla perfezione quasi assoluta,
miracolosa. Certo, che anch'essi bisogna che collaborino a
mantenerla in piena efficienza. Ma non è poi tanto difficile. Basta
che non si ammalino.
Eh, si, perché in quel caso tutto andrebbe a rotoli, il motore si
ingreperrebbe, gli ingranaggi si bloccherebbero e tutta
l'organizzazione si sgonfierebbe come un palloncino vizzo, la sera
di San Ranieri.
Perché tutta l'organizzazione sta bene in piedi finché si è sani
come pesci, ma il giorno che a uno salta lo sfizio di ammalarsi, ti
saluto Mariarosa! La luce vacilla, la barca comincia a fare acqua e
perfino il sorriso giocondo e paesano da massaia rurale della
signora Tina si ottenebra se non proprio a somiglianza di quelli
tragici e piagnucolosi di Berlinguer e di Zaccagnini, almeno vicino
a quello di Ruggero Orlando. Che è tutto dire!
La macchina di questa Riforma è dunque eccellente e rasenta la
perfezione.
L'unico inghippo, che potrebbe farla traballare e paralizzarla
addirittura, è che i cittadini assistiti si ammalino. La qual cosa
sarebbe davvero un guaio.
Ma siamo sicuri che per il bene della Riforma e della sua madrina e
tutrice signora Tina, essi non lo faranno. Non si ammaleranno.
O se, per dannata ipotesi, dovessero ammalarsi, non ricorreranno ai
Consorzi Socio Sanitari, alle SAUB, alle USL.
Andranno dal dottore.
Pagandoselo di tasca propria.
Per amor di Patria.
E perché non sono poi tanto sprovveduti!
DOC
Ospedale Santa Chiara
Come si distrugge la onorabilità Professionale di una dottoressa
Ai Ministri della Sanità, di
Grazia e Giustizia e dell'Interno.
Per conoscere
— premesso che con provvedimento emesso da un magistrato del
Tribunale di Pisa (17 novembre 1977, n. 210/75-A-Be) sono stati
assolti gli amministratori dell'ente ospedaliere regionale Santa
Chiara di Pisa, per cui costoro, secondo il magistrato, avrebbero
agito correttamente nell'estromettere la dottoressa Giomi Flora dai
reparti di medicina «perché biasimevole nella condotta di lavoro e
scarsa sul piano del rendimento e del profitto», quando attualmente,
a vicenda conclusa, la Giomi, o meglio la «incompetente» Giomi, si
trova ad espletare il suo lavoro presso un reparto medico di quello
stesso ospedale Santa Chiara, dal quale gli amministratori la
volevano fuori perché professionalmente scadente;
* che il magistrato, nell'assolvere gli amministratori e nel
condannare, sia pure moralmente, la Giomi, non ha voluto tener conto
che tutta la incredibile vicenda, per la quale una professionista si
è trovata "linciata" sul piano morale e professionale, prima dagli
amministratori del Santa Chiara poi dalla sentenza del magistrato,
derivava dal fatto di avere essa dottoressa deciso di partecipare,
come era suo diritto, ad un concorso pubblico nazionale per titoli,
per essere ammessa, come assistente, nel costituendo reparto medico
lungodegenti, e di avere i titoli per vincere tale concorso;
* che il magistrato non ha voluto tener conto che la... famosa
lettera del professor Giacomini Giuseppe riguardante la Giomi,
risalente al 30 dicembre 1971 e tirata fuori dagli amministratori
dopo tre anni al solo scopo di estromettere la dottoressa dal
concorso, venne cestinata dagli stessi amministratori, non solo
perché secondo gli stessi il Giacomini aveva «mania grafologica», ma
perché tutto si riduceva a costringere la Giomi ad abbandonare il
posto di medico dell'INPS (non si dimentichi che l'«incompetente»
Giomi, oltre ad avere ottenuto la qualifica di assistente volontaria
dal professor Giulio Sicca, vinto il concorso per assistente presso
il reparto di anatomia patologica, ha conseguito fra il 1968 e il
1971 due specializzazioni, una in pediatria, l'altra in igiene e
medicina scolastica);
* che la pretestuosità della lettera del professor Giacomini è
evidente appena si rifletta che alla «incompetente» dottoressa Giomi,
con ordine di servizio dello stesso Direttore sanitario del Santa
Chiara, veniva comandato di leggere gli strisci della medicina
preventiva e ciò perché il primario professor Giacomini non lo
faceva e il lavoro si accumulava; non solo, ma nell'estate del 1971,
in relazione alle ferie del Primario, la Giomi veniva addirittura
resa responsabile (lei incompetente!!) delle letture citologiche;
* che il magistrato non ha voluto tenere conto che i giudizi
negativi per i quali la Giomi viene moralmente condannata e assolti
gli amministratori dell'ente ospedaliero regionale Santa Chiara di
Pisa, derivano dal chiaro disegno di far fuori la dottoressa, in
quanto, avendo la Giomi titoli superiori ai concorrenti, la sua
presenza al concorso rendeva impossibile la sistemazione di alcuni
raccomandati "politici" che stavano a cuore a primari altrettanto
politicizzati e in grado di dettar legge agli stessi amministratori
dell'ente ospedaliere: e tanto è vera questa affermazione che la
stessa dottoressa Giomi, allontanata per far posto ad altri, non si
trova ora relegata a funzioni ridotte data la sua presunta
incompetenza, come hanno affermato gli amministratori, ma nel
reparto medico che, guarda caso, è diretto da quello stesso primario
che fu costretto a redigere la lettera di biasimo; e con funzioni
piene, fra le quali svolgere la guardia, il che significa avere la
responsabilità solitaria di 120 malati; il che, se le ragioni per le
quali gli amministratori del Santa Chiara vollero la Giomi lontana
dai reparti medici fossero state vere, ne verrebbe che ora sono
responsabili coscienti, insieme al primario del reparto che vergò la
lettera di biasimo, di avere affidato la salute di 120 malati ad una
incompetente;
* che lungo tutto l'arco della istruttoria durata quasi tre anni, la
dottoressa Giomi non ha ricevuto alcuna comunicazione che le avrebbe
consentito di costituirsi parte civile e nominarsi un difensore,
sicché può affermarsi che tutti gli atti dell'istruttoria sono stati
compiuti senza contraddittorio—:
* se sia vero che la dottoressa Giomi, oltre alle innumerevoli
umiliazioni già lamentate sia stata costretta, sotto la minaccia di
«buttarla fuori», a ritirare la domanda di partecipazione al
concorso in questione e sia stato imposto anche il ritiro del
ricorso presentato al TAR;
* se sia altresì vero che agli atti della amministrazione
ospedaliera esiste una lettera di quel primario che l'aveva
giudicata incompetente, nella quale si richiede l'opera della
dottoressa nel proprio reparto, e le si rende atto della corretta
preparazione professionale;
* infine cosa intendiamo fare per rendere giustizia ad una
professionista che, estromessa dal suo incarico quel tanto perché
non partecipasse ad un concorso pubblico pilotato dall'alto, sotto
il pretesto della sua incompetenza, si trova oggi a svolgere la sua
professione in un reparto medico, avendo sul collo una sentenza che
la bolla come «incompetente»; Quando la sua «incompetenza» fu creata
e voluta con la collaborazione di primari e amministratori, al solo
scopo di favorire altri meno meritevoli.
14.XI.78 - On. Franchi – Bollati – Tremaglia
Alessandro Natta
Alessandro Natta,
presidente del gruppo parlamentare della Camera del PCI,
è stato chiamato dall'Amministrazione Comunale di Pisa a
commemorare l'antifascista Concetto Marchesi.
Sul "Il Campano" dell'aprile 1941 sta scritto:
«Alessandro Natta, laureato in lettere, iscritto al PNF
dal 24/5/1937, proveniente dalle organizzazioni
giovanili fasciste, è nominato, in data 13/3/1941, dal
Segretario Federale di Pisa, addetto alla cultura nel
Direttivo del Gruppo Universitario Fascista di Pisa». |
«Mi
fai schifo, ma ti voto lo stesso perché ho paura»
È il voto della rassegnazione,
della resa.
Quel voto non uccide solo Aldo Moro. Uccide tutta la società civile.
È il voto che ci ha portato terrorismo, droga, barbarie, il deserto
nelle coscienze dei giovani, inflazione.
C'è un solo modo contro la resa definitiva: il voto del coraggio.
Pannello
radicale di tolleranza
Come ti condisco il
finocchio....
La crudeltà usata dalla
società tradizionale nei confronti dei "diversi" ha certamente
facilitato la reazione permissiva dei radicali guidati da Marco
Pannella. I primi passi sono quasi naturali e sfondano porte che gli
eccessi mostruosi degli scorsi decenni hanno addirittura spalancate.
Chi sosterrebbe ancora le discriminazioni razziali o religiose, che
in non poche parti del mondo, ivi compresi alcuni paesi socialisti,
continuano a marcare penosamente il destino dei gruppi "diversi"? E
chi non sente oggi come rivoltante il far gravare sui figli
illegittimi il peso e l'imbarazzo della loro origine? La catena
delle discriminazioni odiose nei cui confronti sembra giusto
invocare una maggiore comprensione e tolleranza ha i suoi successivi
anelli nelle ragazze madri, nelle coppie irregolari, nei tormenti
inflitti per crudele superstizione agli jettatori, nella feroce
irrisione dei cornuti.
Ma a quale anello della stessa catena delle "diversità"
discriminanti conviene poi fermarsi per esaminare il caso con
atteggiamento più critico? Ci sono gli obiettori di coscienza, che
una sensibilità particolare rende diversi dalla massa dei coscritti.
Ci sono gli omosessuali, nei cui confronti forme di indulgenza oggi
considerate già retrive e inaccettabili tendevano a supporre come
scusante la presenza di malattie congenite da curarsi con la
psicanalisi. Provate oggi a suggerire ai finocchi FUORI! che vadano
a curarsi! Vi sentirete rispondere che gli inibiti ed i malati siete
voi.
* * *
Il guaio della tolleranza è appunto questo: che è un principio senza
fine, avendo la sua misura d'arresto nel concetto vago e
imprecisabile del senso comune, della morale comune, in base al
quale un tempo si lapidava l'adultera ed oggi si porta in trionfo
come moderno campione del progresso il medico d'aborti e si comincia
a sostenere che la droga leggera fa meno male delle sigarette o del
fiasco del vino.
Ma l'indulgenza può anche essere infinita perfino negli uomini e
nella società, come il perdono e la bontà divina, a patto che non
faccia perdere la precisa distinzione tra ciò che è bene e male. È
tanto ingeneroso sfottere i cornuti, quanto insopportabile il
cornuto che se ne faccia vanto. Conviene ad una società civile,
anche per evitare forme di inquinamento e turbative
dell'organizzazione nelle Forze Armate, regolamentare con umanità
l'obiezione di coscienza, senza peraltro tollerare che essa venga
poi ostentata come una manifestazione di superiorità spirituale
rispetto a chi fa il proprio dovere senza complicazioni e senza
storie. Ed è proprio questa distinzione, questo preciso confine, che
il radicalismo non ammette, avendo sostituito alle categorie di bene
e male quelle di permissivismo e repressione. Non c'è altro male per
il radicale, che il proibire, il disapprovare, il castigare, e non
c'è altro bene che la permissività estesa praticamente all'infinito,
con la sola esclusione della violenza repressiva, che non è
permessa.
Noi siamo contrari a questa concezione, fermamente convinti che essa
porti molto più dolore, molta più sofferenza e perfino più
discriminazione di quella che vorrebbe risparmiare. In parte ciò
dipende anche dal fatto che non ci si batte mai per il pareggio; ci
si batte sempre -se si può- per vincere. Le crociate dei "diversi",
promosse per la loro accettazione, si trasformano in moti di
petulanza nei confronti dei normali. Cortei di lesbiche, di
malmaritate, di abortiste non rivendicano solo la libera gestione
dell'utero, ma tendono a squalificare come «donna oggetto» chi non
ci partecipa ed a mettere in condizione di inferiorità la madre di
famiglia che non ha mai abortito e non ha nemmeno fatto un poco la
mignotta.
Ha ragione il nostro Franco Martino che nella sua gustosa nota di
costume di qualche settimana fa osserva: «Altro che pericolo nero,
qui siamo ormai al pericolo rosa». Rappresentato, immagino, più
dagli invertiti che dalle femministe, le quali non vorranno
riconoscersi nel colore della loro antica schiavitù muliebre.
Un'arroganza si sostituisce all'altra. La virtù attraverso
l'arroganza svilisce e rinnega se stessa. Ma l'arroganza che è
connaturata al vizio è ancora peggio.
Sul piano personale non possiamo muovere questo addebito a Pannella,
il cui comportamento è sempre stato di estrema civiltà. Ma è come
apprendista stregone di un permissivismo corruttore che abbiamo
dovuto quasi sempre dissentire dalle sue campagne. C'è fra noi una
incompatibilità di filosofia che ha le sue lontane radici nella
polemica di Mazzini contro l'utilitarismo anglosassone di Geremia
Bentham. Polemica che un secolo dopo procurò a Mazzini le postume
accuse di essere stato il vero precursore del fascismo: lo ha
scritto Bertrand Russel, ultimo grande interprete del pensiero
radicale inglese ed ispiratore di Pannella anche nella moda della
protesta non-violenta.
Tuttavia proprio a Marco Pannella potrebbe applicarsi ciò che
Mazzini scriveva di certi cultori dell'Utile, segretamente dominati
dal Dovere: «Utilitari teoricamente, ma utilitari sinceri, credenti,
santificati dall'entusiasmo, accettavano tutte le nostre credenze di
dovere, di sacrifizio, di progresso collettivo e continuo e mi
dicevano: questa è pure la nostra fede, senza avvedersi ch'essi non
avevano, logicamente, diritto di professarla e non potevano salire
dal vantaggio dell'individuo all'utile generale senza introdurre
nella loro teorica un terzo termine superiore agli altri due (il
Giusto e l'Utile - n.d.r.) e destinato a predominarli. Traevano dal
cuore migliori ispirazioni che non dall'intelletto... e quella
parola li perseguitava come il mostro di Frankenstein chiedente
un'anima».
Giunta Comunale
Razzisti
Siamo grati alla Giunta
Comunale di aver chiarito, con il comunicato pubblicato dalla stampa
il 24 c.m. relativo al comizio del MSI in Piazza S. Paolo, fino in
fondo il proprio pensiero in ordine alla democrazia e alla libertà
di parola.
La Giunta comunale è firmataria dell'accordo siglato in Prefettura
dai partiti politici per regolare civilmente la campagna elettorale.
In quella occasione il Sindaco della città di Pisa si guardò bene
dal sostenere il principio, ora sancito nel comunicato della Giunta,
per cui il diritto-dovere del MSI di parlare agli elettori è una
provocazione. Anzi: il Sindaco, onde sancire a tutti il diritto di
parola, mise la sua firma accanto a quella del rappresentante del
MSI perché, fu affermato, «tutti hanno diritto a manifestare il
proprio pensiero».
Ora la Giunta ricorre all'etichetta di comodo e squalificante di
«fascista».
Facciamo notare alla pubblica opinione pisana che tale modo di
pensare è tipico di quei regimi che, per squalificare l'avversario
fino ad annientarlo, hanno, di volta in volta, usato etichette che
l'uso comune ritiene infamanti. È l'argomento usato dai nazisti
contro gli ebrei, dai comunisti contro trotzkisti e riformisti, da
farisei contro cristiani. Con tutte le conseguenze del caso.
Non dunque la democrazia viene a difendere la Giunta comunale, ma la
discriminazione civica che è un concetto tipicamente razzista.
I cittadini possono riflettere su quanto accade e trame gli
opportuni insegnamenti. Ecco perché siamo grati alla Giunta di avere
messo le carte in tavola.
pagina 3
Civile
polemica sul MSI fra Niccolai e Pacciardi
Gentile onorevole,
leggo su "Nuova Repubblica" (25/3/1979) questa frase: «un altro
assurdo politico. Invece di incoraggiare lo sfaldamento del MSI e
allargare il fronte della democrazia questi democratici vogliono
rinsaldare il MSI».
Il riferimento è ai laici. Sicché, fra i tanti rimproveri che ai
laici possono esser rivolti, Lei sceglie proprio quello per cui
tutto l'arco politico italiano ha inchiodato anche Randolfo
Pacciardi sulla croce dei discriminati?
Quale «fronte» della democrazia tengono i partiti laici?
I laici sono finiti da un pezzo. Il loro fronte è stato polverizzato
dal giorno in cui, dentro un sistema ormai a pezzi, per mantenere
esclusivamente posizioni di potere, hanno chiesto aiuto al PCI. Ed
oggi sono ancora in sella grazie al PCI. E nessuno meglio di Lei,
gentile onorevole, dovrebbe sapere che la ragione per la quale i
partiti laici non intendono ripensare una "nuova repubblica", sta
proprio nel fatto che non si vogliono, poverini, scottare le mani,
nella tema di essere tacciati, perché riformatori del tabù
costituzionale, «fascisti». Ed eccoli, quindi, tenere in piedi un
"sistema" decrepito che, oltre a darci inflazione, disordine e
terrorismo, consente al PCI di gridare: «senza i comunisti il paese
non si governa».
Ecco perché, sul piano politico, da un Uomo che ha avuto le
esperienze che ha avuto, non mi sarei mai aspettato un giudizio del
genere.
Se poi, dal piano politico, passo a quello umano, come posso
approvare quel giudizio che se guarda bene è in contrasto con le
scelte di fondo della Sua vita? Lei avrebbe potuto, negli anni
passati, quando ancora l'Italia non era stata sfasciata del tutto,
restare sulla cresta dell'onda della ufficialità, continuare a
contare, ad essere Ministro.
Ha sbattuto la porta. Se n'è andato. Perché l'Italia che vedeva
crescere non era quella sognata. Perché si era accorto che, con il
sistema delle crisi a ripetizione e delle "cosche" che espropriano
lo Stato e il Popolo, c'era in fondo la fine di tutto e, in primo
luogo, dell'Italia che, incapace di darsi un assetto civile, avrebbe
perduto, con la dignità, ogni ragione di vita.
Non ha avuto paura di restare solo e di farsi dare (a Lei, pensi!!)
del fascista.
Lei, per costituzione, è nemico giurato di ogni opportunismo. Ed è
per questo che non può, anche se è distante mille miglia dalle
aspirazioni rappresentate dal MSI, servirsi delle argomentazioni di
coloro che, non volendo nulla rimproverare per tutto conservare, si
servono, d'accordo con il PCI, dell'etichetta «fascista» onde
mettere nel ghetto, prima morale che politico, quanti dicono, alto e
forte, che così non va. E non si piegano.
È vero, oggi va di moda la categoria dell'utile. Gli isolati non
servono. Occorre intrupparsi. Anche a costo di turarsi il naso,
scrive Montanelli. E si pensa, con ciò, di poter battere il
comunismo.
No, caro onorevole, no. Aldo Moro è morto non solo per la crisi di
volontà che travaglia l'Italia, ma anche perché si era ostinato a
tenere in piedi un sistema che non reggeva, che cascava da tutte le
parti, che, per dirla con Montanelli, puzzava, e lo teneva in piedi
con artefici. E ci è crollato dentro.
O si pensa una nuova Repubblica, o insieme a questa, crolliamo
tutti. Ma chi vuole una nuova repubblica ce li ha tutti contro. Dal
PLI al PCI. Pronti, il dito puntato, il grido in gola: «ecco, sono
fascisti». Ricorda la vicenda Sogno?
È un ricatto ignobile. Se ci fa caso anche i patrioti del
Risorgimento si trovarono soli. Erano considerati non solo inutili,
ma addirittura dannosi. L'inutile Mazzini, l'inutile Pisacane.
Ricorda?
Gentile onorevole, no, non mi sarei mai aspettato quei giudizi che,
detti da Lei, sono, dopo tutto, contro natura.
I contraddittori odierni, laici o no, non hanno allargato alcun
fronte della democrazia, ma semmai quello dell'intrallazzo, del
clientelismo, dell'affarismo, della corruzione. Hanno sbriciolato la
democrazia ed il comunismo... è passato.
La saluto cordialmente.
Giuseppe Niccolai
La risposta di Pacciardi
L'on. Niccolai che è un nostro abbonato, fraterno amico di nostri
amici, è presidenzialista e persona rispettabilissima, mi scrive
questa lettera per protestare contro un rilievo politico che mi
sembra assolutamente oggettivo. È innegabile che non soltanto la DC
e specialmente Andreotti, ma anche Ingrao e in genere la classe
politica dominante nel suo complesso, hanno favorito la scissione
del MSI e il sorgere di una destra nazionale che potesse essere
parlamentarmente utilizzabile.
Non si contano le volte che Andreotti ha ricevuto ostentatamele i
dirigenti di questo nuovo partito. Era poi sorprendente che un capo
di governo alla ricerca di una maggioranza respingesse come
infamante quello che gli offriva la nuova destra.
Ciò non poteva che portare acqua al mulino di Almirante e del MSI
che il regime ha sempre confinato nel ghetto come fascista, e
dimostrare la inutilità della scissione.
Non abbiamo nulla a che fare né con la destra nazionale né con il
MSI, né con la scissione, ma si converrà che il contegno di un
governo che si batte ansiosamente per ottenere la sfiducia del
Parlamento è per lo meno molto strano.
Questo abbiamo detto e non altro. Perciò comprendiamo poco lo
stupore dell'on. Niccolai.
Quanto al resto, entra poco in questo in questo discorso.
Nessuno, penso, ha preso mai sul serio l'etichetta di fascista che
si è attribuita a Randolfo Pacciardi a scopo evidentemente polemico
e di una polemica deteriore e assurda. La posizione di Almirante e
dei missini, lo converrà l'on. Niccolai, è molto diversa.
Parlando in prima persona è notorio che non è di mio gusto la lotta
fra antifascisti e fascisti, quando il fascismo è morto da alcune
decine di anni, specialmente quando è fatta da coloro che in questa
lotta non si impegnarono davvero quando il, fascismo era regime vivo
e potente. Lo dissi fin dal 1946 in un discorso al Campidoglio per
l'inaugurazione della Repubblica.
Non ho mai ostentato i titoli del mio antifascismo, ma evidentemente
non ho alcuna simpatia per chi è nato come l'erede del regime
rovesciato dalla guerra civile e dalla guerra internazionale.
La mia ripugnanza per l'attuale classe politica della repubblica
muove dall'interno della democrazia proprio perché sono
repubblicano, democratico e laico. Non credo che il movimento laico
e repubblicano per una repubblica migliore sia morto. Proprio in
questi giorni la polemica per la revisione delle Istituzioni si
ravviva in ogni settore democratico.
Possiamo dire le stesse cose, ma per quel che riguarda me non c'è
alcun dubbio che ho l'occhio rivolto all'avvenire della democrazia,
della repubblica, dalla libertà e sono coerentemente devoto agli
ideali che ho servito prima del fascismo, durante il fascismo e dopo
il fascismo, non disprezzando affatto i sentimenti di considerazione
e di stima che l'on. Niccolai, che ritengo un galantuomo, mi
dimostra anche nella sua lettera cortese di antico avversario nel
comune collegio di Pisa.
(r.p.)
Rosso e Nero
«Essendo il nostro un partito
piccolo ma pulito, è anche un partito povero».
Così il segretario nazionale del PRI Oddo Biasini in una intervista
al giornale "La Nazione".
* * *
Andiamo per ordine. Scandalo dei petrolieri: il PRI c'è dentro fino
al collo. Il percettore diretto di 120 milioni è Ugo La Malfa. Gli
assegni (12 da 10 milioni ciascuno) provengono dalla ITALCASSE per
conto dei petrolieri. Questi ultimi finanziano i partiti di governo
perché sostengano la campagna intrapresa dall'ENEL per la
costruzione di nuove centrali termoelettriche, cioè funzionanti con
olio combustibile a basso tenore di zolfo.
* * *
I soldi dei petrolieri per questa "operazione" (ve ne sono altre)
vengono cosi distribuiti:
* 220 milioni al sen. Talamona del PSI
* 140 milioni al sen. Amadei del PSDI
* 120 milioni all'on. La Malfa del PRI
* 520 milioni all'on. Micheli della DC.
Il tutto per un miliardo di lire. Contro questi signori, da tempo,
giacciono in Parlamento le autorizzazioni a procedere per
corruzione. Non sono mai state discusse. Anzi, l'on. Amadei è stato
premiato. Infatti è ministro. Delle finanze, naturalmente!
* * *
Conservo l'originale di un manifesto a più colori, affisso dal PCI
in Sicilia il 12 marzo 1971. Formato: un metro per settanta. Riporta
tre fotografie: quella di Ugo la Malfa, di Aristide Gunnella e del
mafioso Di Cristina. Le didascalie sotto le fotografie dicono così:
«La Malfa, il moralizzatore, segretario del PRI e Di Cristina». Più
sotto la frase: «mi vergogno come viene amministrata la cosa
pubblica in Sicilia». Al centro del manifesto la fotografia di Di
Cristina con sotto scritto: «il mafioso, un amico del PRI e di
Gunnella. È all'Ucciardone accusato di aver fatto ammazzare
all'Ospedale Civico l'albergatore Ciuni». Accanto la foto di
Gunnella con la seguente dicitura: «il collocatore, deputato del
partito di La Malfa e di Di Cristina. Io l'ho assunto alla SOCHIMISI
e Di Cristina ha restituito a lui e a La Malfa voti e preferenze
nelle elezioni del 1968». E, in fondo al manifesto, la morale: «Ecco
un esempio di quel legame fra mafia e potere che è necessario
tagliare per la liberazione, della Sicilia».
Così il PCI nel 1971. Oggi che il PRI si è fatto portavoce del PCI,
quelle accuse e quei manifesti sono dimenticati Ma l'affermazione di
Oddo Biasini, per cui il PRI è sì un partito piccolo ma pulito, non
andrebbe un po' ridimensionata? Magari con questa: il PRI è sì un
partito piccolo ma è anche un po' sporchetto.
Di mafia e di petrolio.
* * *
È arrivata l'ultima. Si è scritto, riferendosi a documenti
inoppugnabili, che "la Repubblica", il giornale della... verità
diretto da Eugenio Scalfari, è nato da contributi dell'ANIC, una
controllata dell'ENI, del Banco di Roma, quello per intenderci di
Sindona, e dalle collette di Rovelli. Un bell'impasto davvero!
Alla fine di aprile c'è stata l'assemblea dei soci dell'ANIC. C'era
molta attesa per i chiarimenti ufficiali circa questa inquietante
faccenda, per cui un'Azienda a partecipazione statale risultava
fondatrice di un quotidiano social-comunista. Ahimè, il presidente
Ratti, nel tentativo di scaricarsi di dosso questa rogna, se l'è
cavata dicendo che «nella contabilità ufficiale non si trova traccia
del finanziamento». Che significa contabilità ufficiale? Forse
l'ANIC ha anche una contabilità nera? Ci sono i fondi neri?
Neri (i fondi), rossa (la Repubblica).
Olocausto
È giusto, doverosamente giusto
che quanto racconta il film americano "Olocausto" sia visto dai
telespettatori italiani. I drammi dal sangue e del terrore,
avvengano questi sotto quella o questa bandiera, non debbono e non
possono essere dimenticati. Anche se, ahimè, l'umanità pare non
tenere in eccessivo conto le esperienze vissute tragicamente se
ripercorre, come se nulla fosse stato, pur sotto etichette diverse,
le vie del terrore e dall'infamia contro l'uomo.
Detto questo, una domanda: perché la proiezione di "Olocausto"
programmata dalla RAI-TV par settembre viene invece data in piena
campagna elettorale? C'è un deliberato "proposito" in questo
comportamento? E di quale tipo? Forse quello di scolorire, nell'onda
emozionale di quella sequenze, le pur drammatiche vicende che gli
italiani sono costretti a vivere? C'è forse l'intento, da parte dei
reggitori del potere, di trovare, in quei ricordi di sangue, un
alibi alle proprie presenti responsabilità?
* * *
Vediamo un po' se "lor signori" hanno le carte in regola per fare
simili operazioni.
Il film viene trasmesso dal canale 1, quello par intenderci,
democristiano. La sue puntate sono stata programmata in modo tale
che, proprio mentre gli italiani voteranno si avrà, sui teleschermi,
il massimo della emotività. Se così stanno le cose, qual'è l'intento
che si ripromettono di ottenere i "padroni politici" della RAI-TV?
Evidentemente far si che la pubblica opinione sia portata a mettere
sul banco degli accusati qualcuno e ad escluderne altri.
Questa una delle motivazioni, la meno nobile, ma la più probabile.
Può essercene anche un'altra, e cioè quella dell'esame di coscienza
duro, spietato, fatto fino in fondo. Il chiedersi: quanti di noi,
che siamo ai vertici della vita politica italiana, siamo
corresponsabili morali di quella tragedia? Sapevamo. Perché tacemmo,
o peggio ci schierammo coi carnefici?
Ricordate? Gli articoli in difesa della razza di "Civiltà
Cattolica"; quelli di Padre Agostino Gemelli, Rettore
dall'Università Cattolica; quelli di Raimondo Manzini, già direttore
de "l'Osservatore Romano", di Amintore Fanfani che sulla "Rivista di
Scienza Sociali" (maggio 1939, pag. 256) scriveva che «per la
potenza e l'avvenire della Nazione, gli italiani, oltre che numerosi
e costituzionalmente sani, devono essere razzialmente puri». E
perché, già che si siamo, dimenticare il corso delle lezioni, dal
titolo "lo Stato" tenute da Aldo Moro presso l'Università di Bari,
esaltanti la razza?
È questo esame di coscienza che hanno voluto fare davanti agli
elettori? Lasciamo fare, anzi, applaudiamo.
* * *
Non diversamente dai democristiani, uomini di vertice della sinistra
italiana.
Leopoldo Piccanti, santone dell'antifascismo e del radicalismo più
acceso insieme a Giuliano Vassalli (si stava per trovarcelo
Presidente della Repubblica, quest'ultimo, per grazia socialista),
sono a Vienna fra il 6 e l'11 marzo 1939 a ribattere, insieme ai
vari Rosemberg, il tema "razza a diritto"; Felice Olianti,
giornalista di grido di "Paese sera" e de "l'Unità", scrive sulla
«coscienza di razza dal popolo lavoratore» ("Ordine corporativo" -
luglio 1938); Amerigo Boldrini, senatore del PCI, presidente dell'ANPI,
è, "in quei tempi" centurione della MVSN; Davide Lajolo, già
direttore de "l'Unita", è, "in quei tempi", federale di Ancona a
camicia nera in terra di Spagna; Pietro Ingrao, presidente della
Camera dei deputati, è, "in quei tempi", vincitore del concorso
"poeti del tempo di Mussolini"; Alessandro Natta, presidente del
gruppo parlamentare del PCI, è "in quei tempi" responsabile della
stampa e propaganda del GUF di Pisa; Giovanni Spadolini, ministro
della pubblica istruzione è "in quei tempi" l'apologeta della
repubblica di Mussolini.
L'elenco è largamente incompleto. La domanda è questa: possono
costoro, davanti al video che trasmette "Olocausto", sentirsi senza
rimorso?
* * *
Olocausto. Questa è la vera lezione da trarre? L'orrore non è
finito. È dietro l'angolo. Non siamo ancora ai campi di sterminio.
Siamo però alla loro preparazione; siamo alla seminagione delle idea
che a quei "campi", sia pure sotto etichette diverse, possono
riportarci. Il tempo delle "follie" non è finito. Anzi. Vigoreggia.
I filosofi, i teorici, i politologi non mancano. Annaffiano ogni
giorno il terreno e i mostri stanno risorgendo, come ha già scritto
qualcuno.
Che fare? Può servire il silenzio? Può servire rintanarsi nel
privato? Può servire fuggire? Può servire avere paura?
La follia ha le stesse caratteristiche di sempre: l'eliminazione di
chi la pensa diversamente, l'annullamento fisico e spirituale
dell'avversario. Non ti rispetto perché, Uomo, ti ammazzo.
Può salvarci la filosofia della resa e della rassegnazione
teorizzata da Aldo Moro?
Non ha salvato lui. Non salverà noi.
Perché una libertà senza coraggio è sempre preda dalla violenza e,
successivamente, del terrore.
Pareri
«La storia è straziante, gli
attori sono bravi, il messaggio è chiaro; la brutalità organizzata,
l'agonia silenziosa delle vittime, l'indifferenza del mondo, la
serie mostra quel che i superstiti hanno tentato di dire per anni.
Malgrado ciò qualcosa non va. Qualcosa? No, tutto. Falso, infamante,
gratuito, il film è un insulto per coloro che perirono, come per i
superstiti. L'olocausto deve rimanere nella memoria, ma non come uno
show».
(Elia Wiesel, scrittore storico,
professore all'Università di Boston, reduce dall'olocausto).
«Se gli autori tedeschi sì fossero permessi di "trivializzare" il
dramma ebreo come lo hanno fatto i produttori di oltre Atlantico, è
probabile che lo scandalo sarebbe stato denunciato su tutta la
superficie del globo».
("Le Monde", Parigi)
I produttori del film si dimostrano più preoccupati di superare il
successo di "Radici" che di sondare le cause profonde del male
nazista, facendo appello al gusto per la violenza già eccessivamente
sfruttato alla televisione. I produttori di questo film erano
innanzitutto preoccupati del rendimento.
(Wolfe Kelman, rabbino)
Come fummo i primi
a presentare nel Parlamento italiano una legge
istituente l'anagrafe tributaria dei membri del
Parlamento (N. 78 dell'11/6/68), ci faremo promotori di
una modifica dell'articolo 42 della Costituzione perché
in esso venga inserita la seguente norma:
«La legittimità della proprietà degli uomini politici
deve essere dimostrata. L'onere della prova è a carico
del titolare del diritto di proprietà». |
Sulla morte dì Aldo Moro
La mozione che si riporta,
presentata dai consiglieri comunali del MSI, è stata discussa, nel
silenzio di tutta la stampa, dal Consiglio Comunale di Pisa il 6
aprile 1979. Ha votato contro tutto l'arco costituzionale.
IL CONSIGLIO COMUNALE ad un anno dall'assassinio di Aldo Moro,
davanti ad un Paese che pare di avere smarrito la bussola di
orientamento morale, al punto che la violenza che viene scagliata
sugli italiani, specie quelli più giovani, dalla Televisione di
Stato, dalla stampa di regime, dalla cinematografia sovvenzionata
dal denaro pubblico, dagli episodi di malcostume e di malversazione
del denaro di tutti è pari a quella fisica che si scatena nelle
strade, nelle piazze, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole,
per cui l'assassinio diventa metodo di lotta politica;
* constatato come il sacrificio di Aldo Moro rischi, grazie ad una
informazione drogata e falsa, di deviare gli italiani da quell'esame
di coscienza duro ma necessario, non solo per capire perché quel
"sangue" venne sparso ma altresì come da quel "sangue" l'Italia
possa riscattarsi tornando ad essere un Paese maiuscolo, civile e
per il quale valga la pena di vivere e lottare;
* constatato come i vertici della politica continuino a
rappresentare il dramma di Aldo Moro al solo fine di puntellare le
posizioni di potere, e come tale rappresentazione arrivi alla
mistificazione, per cui il Presidente della DC da ricordare è quello
prima del 16/3/78, mentre l'Aldo Moro dei 55 giorni del sequestro e
del suo sacrificio è da cancellare e da dimenticare, mentre è vero
il contrario;
* convinto che per capire occorra avvicinarsi, con religiosa
attenzione, alle commoventi lettere di Aldo Moro scritte dalla
"prigione del popolo" lettere nelle quali il presidente della DC
dava dell'Italia, a diversità della TV e della stampa un'immagine
reale, per cui era assurdo che in un Paese «corroso dai compromessi
e dai patteggiamenti alle spalle del popolo, della mafia, della
corruzione, da violazioni costanti alla lettera e allo spirito della
legge italiana» lo si sacrificasse ad una ragione di stato che non
esisteva e non esiste in quanto lo Stato è tutto da ricostruire se
si vuole uscire dal baratro in cui la Nazione Italiana è
precipitata;
* convinto che è proprio la mancata analisi di questa situazione a
precipitarci tutti nella confusione e nel disordine mentale e
fisico; analisi che invece Aldo Moro ha saputo fare dalla prigione,
riscattandosi, nel supremo sacrificio, da quella politica
dell'ambiguità e del compromesso da lui stesso impersonata per tanti
anni e che, ahimè, lo portava alla morte;
* convinto quindi che dal terrorismo e dal disordine economico, suo
stretto alleato, si possa uscire solo riformando lo Stato e la
società secondo giustizia e rigore morale,
INVITA
la cittadinanza, ad un anno dal sacrificio di Aldo Moro, a guardare
oltre il proprio utile e il proprio tornaconto, perché
collettivamente si senta l'imperiosa volontà di ripulire il Paese
dalle piaghe dell'ingiustizia, dell'arbitrio, del clientelismo,
della, corruzione, del privilegio, onde ridare, specie ai più
giovani, speranze e ideali per i quali valga la pena di vivere e
operare.
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Pertini difende Leone
Riportiamo uno scambio di
lettere con il Presidente della Camera dei Deputati, allora Sandro
Pertini.
La corrispondenza, riguardante la Presidenza della Repubblica e, in
particolare Giovanni Leone, è di antica data. I radicali dovevano
ancora scoprire che al Quirinale sedeva un personaggio che dava ad
addivedere di usare, non correttamente, il denaro di tutti. La
vicenda inizia con l'interrogazione dell'on. Giuseppe Niccolai che
riportiamo:
Si chiede di interrogare il ministro della difesa, per conoscere se
è esatto che diversi ufficiali di complemento del servizio
automobilistico, pur avendo superato 13 anni nel grado di capitano,
non vengono promossi in quanto, per una legge assurda, stanno
aspettando la promozione del capitano in s.p.e. Vincenzo Spinosa
che, per la quarta volta, è stato valutato «idoneo ma non iscritto»;
Per conoscere i motivi per i quali il capitano Vincenzo Spinosa,
quando venne dichiarato per la seconda volta «idoneo ma non
iscritto», non fu passato nel ruolo speciale unico, cessando così di
essere di intralcio agli altri;
Per sapere se il capitano Vincenzo Spinosa ha precedenti penali e se
è esatto che è stato difeso dall'avv. Giovanni Leone.
on. Giuseppe Niccolai
A questa interrogazione rimasta senza riscontro fece seguito la
lettera che pubblichiamo indirizzata all'allora Presidente della
Camera dei Deputati on. Sandro Pertini:
Signor Presidente,
è congelata presso l'Ufficio Assemblea una mia interrogazione
relativa al Capitano Vincenzo Spinosa, la cui mancata valutazione
blocca da anni le promozioni di diversi Ufficiali di complemento.
Nell'interrogazione denuncio uno stato di privilegio legato al fatto
che il capitano in questione, incorso in un infortunio penale, è
stato difeso dall'avv. Giovanni Leone, attuale Capo dello Stato.
Perentoriamente mi viene comunicato che non si accetta questa parte
dell'interrogazione. Se così è, l'interrogazione non ha più ragione
di essere, cade tutta.
Non vedo, Signor Presidente, in un contesto mondiale in cui Papi,
Re, Presidenti di Repubbliche, vengono pubblicamente contestati, le
ragioni perché si debba, nella polemica politica, nel parlamento
italiano tenere fuori da ogni sindacato la Presidenza della
Repubblica che, fra l'altro, si veda l'ultimo viaggio a Parigi (71
persone al seguito del Presidente!), non da certo esempi di corretta
amministrazione del denaro pubblico.
Nella ferma speranza che Lei voglia rivedere la decisione e
consentire all'interrogazione di fare il suo iter, La saluto
distintamente.
(on. Giuseppe Niccolai)
Ed ecco la risposta del Presidente della Camera:
Egregio Onorevole,
ricevo la Sua lettera concernente la Sua interrogazione relativa al
Capitano Vincenzo Spinosa.
Premetto che non credo possibile che gli uffici -o le persone che ne
fanno parte- abbiano potuto comunicare "perentoriamente" che
l'interrogazione non è ammissibile, perché mi risulta che a tutti
gli uffici della Camera e soprattutto a quelli che hanno contatto
con gli onorevoli deputati sono addetti funzionari e impiegati della
cui cortesia è difficile dubitare.
Quanto al merito, ho avuto più volte occasione di dire a Lei e ad
altri Suoi Colleghi che le espressioni «frasi sconvenienti» e
«argomenti affatto estranei» di cui al combinato disposto degli art.
139 e 89 del Regolamento, indicano concetti che nella prassi
secolare vanno al di là del significato meramente letterale delle
parole, per questo motivo non sono ammissibili alla Camera le
interrogazioni che si riferiscono a senatori e viceversa; per lo
stesso motivo è cura delle presidenze di entrambe le assemblee di
evitare che, attraverso le interrogazioni, che sono atti sottratti
alla cognizione del giudice, possa essere lesa la dignità o la
onorabilità di privati cittadini, impossibilitati poi a difendersi.
Un eguale ordine di ragioni impedisce alle Presidenze di accettare
interrogazioni che si riferiscono al Capo dello Stato quando siano
evocati atti da lui compiuti prima di essere tale e quindi sottratti
alla responsabilità di Governo. È ben chiaro infatti che il governo
non può in alcun caso dare, alla Camera notizie o esprimere
valutazioni se non su fatti che investano la propria responsabilità.
Non essendo quindi la Presidenza della Repubblica come istituto
chiamata in causa nella Sua interrogazione bensì la Persona che oggi
ricopre la carica, nella Sua precedente qualità di avvocato, e per
di più, non tanto in ragione di fatti accertati, ma di induzioni
personali nei confronti delle quali egli non avrebbe possibilità di
difesa, ho ritenuto di considerare inammissibile la Sua
interrogazione così come è stata da Lei redatta.
Distinti saluti
Sandro Pertini
Sotto l'ombrello
Da quando lo hanno fatto
cavaliere, l'inquilino del secondo piano par migliorato perfino
della scoliosi, tanto si raddrizza e gonfia e gonfia il petto. Ha
perfino comprato il cappello con le falde bordate e rialzate Si vede
che mira al commendatorato.
Ogni qualvolta mi capita di scambiare una parola, sulla conduzione
del condominio, provo una sensazione di disagio perché mi par sempre
di trovarmi in compagnia di personaggi illustri, potenti, di quelli
che ti mettono in soggezione.
In realtà siamo soli, lui ed io, ma il cavaliere è un uomo che ci
tiene così tanto a far sapere che lui è in buoni rapporti con
l'onorevole, ottimi col sindaco, squisiti con gli assessori
regionali... che te li fa entrare in tutti i discorsi, in tutti gli
argomenti, in tutte le frasi, almeno uno per periodo.
Lui, è iscritto al Partito. Frequenta le riunioni, offre la quota
mensile, è abbonato al giornale del Partito. Quando pronuncia:
Partito sembra che una P sola, anche se maiuscola, sia troppo poco.
Ce ne mette due. Magari una grande e una piccola. E così,
fiancheggiato dal Ppartito, si sente potente anche lui.
Ora poi, lo hanno fatto cavaliere.
Lo guardo scendere le scale col passo sicuro, la testa alta, il
torace espanso come se avesse l'asma. Mi vien da fare questa
considerazione: non è il Partito che ha scelto lui perchè uomo
eccezionale ma è lui che si è scelto quel Ppartito. Per mettersi al
sicuro. Per garantirsi l'ombrello che lo ripari da tutte le piogge.
Una scelta, dunque la sua. Come l'ho fatta io. Solo che il mio
partito non ripara un bel nulla. Qui ci si bagna. E non conosco
assessori deputati e sindaci. Né mi hanno promosso cavaliere.
Scendo le scale, qualche gradino al di sopra di lui, e gli guardo il
pelino ritto della lobbia grigia che porta in testa.
Mi domando: è più bischero lui o io?
Ci rifletto sopra un momento: qualcuno, anche dei nostri da ragione
al cavaliere. Infatti sono diversi quelli che sono andati a
rifugiarsi sotto l'ombrellone costituzionale, così ampio e così
tollerante.
Qualcuno si è addirittura abbuffato troppo e c'è caso che debba
smaltire l'indigestione più che in Ospedale, in Tribunale.
Quando stava da questa parte, mangiava forse meno ma si salvava dal
colesterolo e dalla galera.
Primo amore e senilità
L'ho passato da un bel pezzo
«il mezzo del cammin di nostra vita». Quello che mi consola è che
nel raffronto, specialmente con le rappresentanti del sesso
femminile, ci guadagno. O almeno, cosi mi piace illudermi.
Passava uno di quei cortei di donne scarmigliate, un po' sudicine,
urlanti motti osceni inneggianti alla «proprietà privata loro» e
imprecanti avverso la «proprietà privata maschile».
Nel gruppo frenetico, riconobbi una vecchia fiamma di trentanni fa.
I capelli erano mezzo grigi. La bocca, aperta al canto, mostrava
qualche vistosa lacuna di denti e a tratti aspirava rabbiosamente il
fumo di una sigaretta col filtro. Le braccia secche gesticolavano
sbandierando un cartello dov'era scritto: «sono mia».
Mi tornò alla mente d'improvviso una sera che la baciai sul greto
dell'Arno.
Da un taccuino ideale che forse tutti portiamo inconsciamente dentro
di noi, mentalmente cancellai con una croce quel nome.
Senza rimpianto.
«Sono mia» - seguitava a sventolare il mio vecchio perduto amore.
Non mossi obbiezioni.
Certo che è triste per una donna invecchiare. Ma è triste anche per
l'uomo. E sotto certi profili, forse anche di più.
Pagherei a sapere com'è per un finocchio.
Deve essere una cosa tragica e grottesca per davvero!
Al contadino (e al cittadino)
Non lo
far sapere
Cittadino, sui conti dei
supremi organi costituzionali devi stare a bocca chiusa!
Ecco infatti un «appunto» della Segreteria Generale della Presidenza
della Repubblica trasmesso all'on. Niccolai che aveva chiesto una
copia del bilancio della Presidenza stessa.
La richiesta di conoscere il bilancio del Segretariato generale
della Presidenza della Repubblica contrasta con la posizione
costituzionale che il nostro ordinamento attribuisce al Capo dello
Stato. Tale posizione, propria dei supremi organi costituzionali
-sulla quale è concorde la più qualificata dottrina
giurispubblicistica- comporta tra l'altro l'autonomia amministrativa
e contabile dei servizi da essa dipendenti, quale è pacificamente
riconosciuta alle Camere legislative ed alla Corte costituzionale.
Senonché, mentre il fondamento dell'autonomia spettante ai servizi
che fanno capo alle Assemblee parlamentari è di natura
consuetudinaria, quello relativo all'autonomia del Segretariato
generale della Presidenza della Repubblica e della amministrazione
della Corte costituzionale è ora sancito in norme legislative, che
attuano in modo coerente e razionale princìpi del resto già
impliciti nella nostra Costituzione.
Innanzitutto l'art. 3, primo comma, della legge 9 agosto 1948, n.
1077, conferma il carattere strumentale del Segretariato, stabilendo
che in esso sono inquadrati «tutti gli uffici e i servizi necessari
per l'espletamento delle funzioni del Presidente della Repubblica» e
per l'amministrazione della sua dotazione. In secondo luogo l'art. 1
della legge 26 maggio 1959, n. 345, stabilisce che la spesa per il
Segretariato generale e per tutto il personale da esso dipendente
verrà iscritta annualmente in apposito capitolo dello stato di
previsione della spesa del Ministero del Tesoro senza che
l'ammontare della spesa stessa sia determinata da un'apposita legge,
come era invece previsto dall'art. 4, comma secondo, della citata
legge n. 1077 del 1948.
Inoltre, sempre in base alla surriportata disposizione della legge
del 1959, vige la più larga autonomia in tema di organizzazione del
personale. A queste disposizioni fanno esatto riscontro quelle
contenute nell'art. 14 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sulla
costituzione e il funzionamento della Corte costituzionale, nel
testo modificato dall'art. 4 della legge 18 marzo 1958, n. 265.
Da precetti concernenti il Segretariato generale e l'amministrazione
della Corte costituzionale discende chiaramente, in ordine alla
autonomia amministrativa e contabile dei servizi dipendenti da
supremi organi costituzionali:
1) l'esclusione di ogni controllo, anche indiretto da parte del
Parlamento sul bilancio interno e in genere sull'amministrazione dei
fondi stanziati nel bilancio dello Stato a favore della Presidenza
della Repubblica;
2) l'esclusione di ogni controllo, sia preventivo che successivo, da
parte della Corte dei conti, sulla gestione dei mezzi finanziari
messi a loro disposizione;
3) l'impossibilità, a fortiori, di qualsiasi tipo di sindacato, da
parte dei titolari di altri organi costituzionali.
Del resto l'autonomia finanziaria dei Segretariato generale della
Presidenza della Repubblica -accentuata dalla citata legge n. 345
del 1959- corrisponde pienamente alle esigenze di indipendenza e di
imparzialità che caratterizzano l'ufficio del Capo dello Stato nella
nostra Costituzione.
Pertanto ogni richiesta, anche di carattere meramente conoscitivo,
sulla gestione della spesa da parte del Segretariato non mancherebbe
di incidere sulla posizione costituzionale riconosciuta al
Presidente della Repubblica.
Sei fregate per una
fregatura
La stampa italiana in questi
giorni di maggio ha dato risalto all'inchiesta aperta dal Governo
Venezuelano circa l'acquisto in Italia di sei fregate lanciamissili
del tipo "Lupo", costruite dai Cantieri Riuniti di Riva Trigoso. Il
relativo contratto si sarebbe concluso all'insegna di bustarelle,
cioè della corruzione. Siamo in grado di pubblicare quanto scriveva
sull'argomento la Rivista "OP" fin dal 4 ottobre 1977. La rivista
'"OP" era diretta da Pecorelli, il giornalista assassinato, in
circostanze misteriose, nel marzo scorso a Roma.
Lo scandalo delle sei fregate lanciamissili commissionate dalla
marina venezuelana ai Cantieri Navali Riuniti di La Spezia si
arricchisce di particolari piccanti. La vicenda merita un breve
riepilogo. Il 7 settembre (notiziario "OP" n. 162) anticipavamo la
notizia della clamorosa denuncia di alcuni parlamentari venezuelani:
i Cantieri Navali Riuniti non sarebbero in grado di far fronte
all'ordinativo della marina venezuelana, sei fregate tipo "Lupo" per
un importo di 500 miliardi, 400 dei quali risultano già pagati nel
bilancio di quel governo. Due settimane orsono, invece, a La Spezia,
una unità tipo "Lupo" è stata consegnata alla marina militare
italiana, tale unità era stata ordinata dopo la presunta commessa
del Venezuela. Da ciò è facile desumere che non è vero che i CNR non
sono in grado di rispettare gli impegni, ma piuttosto che gli
impegni presi a Roma dai rappresentanti venezuelani possono essere
diversi da quelli riferiti a Caracas. A conforto di questa ipotesi,
un altro episodio di cronaca. Nel corso delle indagini di polizia
sull'Hostess Club di Gianni Bonomi, è emerso che quel centro di
prostituzione riforniva regolarmente puttane di lusso per i sollazzi
dei figli di Leone e dei loro ospiti. In particolare, otto
prostitute otto raggiunsero il Quirinale in occasione della visita
del presidente venezuelano Peres.
Ora è noto che le sei fregate ai cantieri di La Spezia furono
commissionate proprio da Peres al termine di una colazione di lavoro
con il nostro Leone Giovanni. Vuoi vedere che all'atto di alzarsi
dal triclinio e saldare il conto, tra una fregata e l'altra è sorto
uno spiacevole equivoco linguistico? Insomma Peres avrebbe pagato
400 miliardi venezuelani non per sei fregate, ma per sei chiattelle? |