Intercettazioni
Telefoniche
(intervento alla Camera
dei Deputati il 29 marzo 1973)
Niccolai Giuseppe, al Presidente del Consiglio dei ministri e ai ministri
dell'interno, delle finanze, di grazia e giustizia e delle poste e
telecomunicazioni,
«Per conoscere:
1) i motivi per i quali non si è creduto di comunicare al Parlamento la memoria
dei tre ministri incaricati di accertare le violazioni delle comunicazioni
telefoniche; memoria che, fra l'altro, confermerebbe che quanto è accaduto è
conseguenza diretta del sistematico smantellamento dei servizi di sicurezza
dello Stato;
2) per sapere se non ritengano che quanto è accaduto oltre ad essere la
conseguenza naturale delle diffamatorie campagne condotte, a suo tempo, contro
il SIFAR, sia il prodotto di un vuoto di potere, per cui il Parlamento è ormai
del tutto espropriato delle sue prerogative; e le decisioni, che incidono sulla
vita del paese, vengono prese alle sue spalle, in una lotta feroce e senza
quartiere fra gruppi politici ed economici, in cui vengono, di volta in volta,
coinvolti uomini politici, personaggi del mondo economico, e finanziario,
funzionar! che, dinanzi al disfacimento quotidiano dello Stato, altro fine non
hanno se non quello di dividersi le sue spoglie, a vantaggio della propria
persona, del gruppo politico o economico a cui si appartiene » (2-00190);
Beppe Niccolai
Intercettazioni
Telefoniche
(intervento alla Camera
dei Deputati il 29 marzo 1973)
PRESIDENTE - L'onorevole Giuseppe Niccolai ha facoltà di svolgere la sua
interpellanza n. 2-00190.
NICCOLAI GIUSEPPE - Signor
Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, è stato scritto: «Qui non
siamo dinnanzi solo ad un reato da codice penale, siamo davanti ad una sfida
all'ordine costituito. La classe politica non è tenuta al segreto istruttorio
come la magistratura. Quello che sa deve dirlo, non con le soffiate a questo o a
quel giornale, ma nelle aule del Parlamento; magari con una telecamera per una
ripresa diretta. Se ci sono dei nomi si dicano; se c'è del marcio da mostrare,
lo si mostri». Siamo dello stesso avviso. Farsi difendere, come è accaduto
sinora, da comprimari, dalle colonne de “L'Espresso”, dai quotidiani amici,
dalle veline del regime e dal contorto linguaggio della RAI-TV, è un
comportamento che ormai ha fatto il suo tempo.
Queste sono le occasioni magiche nelle quali l'aula non può essere assolutamente
disertata. C'è una norma regolamentare che è un po' arrugginita. Occorre
ricordarla a coloro che le istituzioni (in cui spesso, come Luigi XIV nello
Stato, si compiacciono immedesimarsi), anche quando commettono atti impuri,
amano difenderle dietro le quinte, magari con gli articoli di Lino Iannuzzi che,
per coprire quegli atti impuri, ha sempre a disposizione, signor ministro, per
massacrarlo, un pezzo dello Stato italiano: ieri l'esercito, oggi la guardia di
finanza. Si tratta della norma regolamentare che da facoltà, a coloro che sono o
sono stati ministri dello Stato italiano, di venire qui a spiegare le proprie
ragioni in ordine a provvedimenti e vicende di cui furono protagonisti.
Non faccio il caso «Pontedera»: mi riferisco al caso ANAS. Questa azienda, che è
la regina della vicenda delle intercettazioni telefoniche, nell'arco di tempo in
cui si raccontano sì strabilianti storie, aveva, ha un responsabile politico che
sia tenuto a rendere conto al Parlamento italiano? È il presidente del consiglio
di amministrazione dell'ANAS, o il ministro dei lavori pubblici? Perché Giacomo
Mancini non fa sentire la sua voce in questa aula? Ho sentito l'elogio fatto
dall'onorevole Malagugini all'onorevole Mancini. Dove sono andati a finire gli
atti di accusa che “l'Unità” pubblicava (begli articoli) nel luglio del 1968,
contro il «califfo», il corruttore del tessuto sociale, economico e morale
dell'intera regione, se non di tutto lo Stato italiano? Perché il ministro
Natali (anche lui molto chiacchierato) non fa sentire la sua voce? Perché l'ex
ministro Lauricella si è così ben defilato, al punto da aver fatto quasi
dimenticare la sua presenza nel palazzo di porta Pia, dove ha regnato non certo
limpidamente?
La norma regolamentare c'è, non per mettere queste persone sotto accusa; ma per
dar loro modo di dire al Parlamento le cose che sanno con estrema franchezza, di
difendere se stessi nella chiarezza e davanti a tutti. Ecco a che cosa serve
l'aula; ecco come si difendono, in aula, le istituzioni democratiche: venendo
qui senza paura, ricchi di argomenti davanti alla pubblica opinione, a viso
aperto e a visiera alzata. Si acquista così il diritto di chiedere la condanna
degli spioni. Perché se ne stanno allora dietro le quinte? Perché lasciano a
controfigure protestate la loro difesa? Perché il pesante fardello delle accuse
gettato sulle loro persone, non vengono a scaricarlo qui ed a smontarlo, pezzo
per pezzo, attraverso un dibattito chiarificatore e purificatore? Quale concetto
hanno del Parlamento? Ne esaltano forse le capacità insabbiatrici? Sperano forse
di avere partita vinta nella Commissione inquirente?
Se siamo qui a protestare contro un ignobile e odioso sistema di spionaggio che
viola, nel segreto, ogni norma di convivenza, civile, perché reagire con il
silenzio, riparandosi dietro la Commissione inquirente, dove i patteggiamenti e
i compromessi vengono affogati nel segreto, senza che il cittadino ne sappia
nulla?
Domandiamone qualcosa all'onorevole Cacciatore, che non è più in quell'aula;
domandiamogli cosa gli capitò per le vicende della Commissione inquirente.
Perché ripetere l'altrettanto ignobile commedia del SIFAR, per cui i politici
tacciono e si defilano, ed a pagare vengono chiamati i militari, i funzionari, i
corpi dello Stato come la guardia di finanza, coloro che, non lo si dimentichi,
da quando i socialisti si sono seduti sulle poltrone governative, sono divenuti
i capri espiatori di tutte le loro non certo pulite operazioni che, espropriando
lo Stato, hanno fatto sì che la vita della nazione, del cittadino divenisse
preda di gruppi di potere, spesso di autentiche bande?
(Applausi a destra)
“L'Avanti!” e i giornali collegati alzano, in una girandola di nomi, un immenso
polverone. Il foglio socialista ha però l'avvertenza di tenere defilato un altro
nome, quello di Angelo Vicari, l'uomo che più di ogni altro ha applicato alle
forze di pubblica sicurezza il concetto ispiratore di che cosa doveva essere la
polizia: il braccio del potere politico, in questo caso del partito socialista
italiano. Scrivendo la storia di Angelo Vicari si scrive la storia dello
sbriciolamento dello Stato, dalla vicenda Liggio a quella dei telefoni.
Guardate il quadro: coloro che vorrebbero mettere sotto accusa mezza Italia sono
quelli che sono stati sorpresi a truccare i congressi con i fondi del SIFAR; che
sono stati sorpresi, come “l’Avanti!”, a finanziarsi con i fondi del servizio
segreto.
(Proteste dei deputati del gruppo socialista).
NICCOLAI GIUSEPPE - Ci sono gli
assegni!
(Proteste del deputato Bertoldi)
DE MARZIO. Ci sono le fotocopie degli assegni!
PRESIDENTE. Onorevole De Marzio! Onorevole Bertoldi!
NICCOLAI GIUSEPPE - Le faide
interne che squassano all'interno le forze armate, la magistratura, la polizia,
hanno inizio con la presenza socialista al Governo. La bocca famelica è piazzata
dappertutto, non solo nei «fondi neri» della Montedison, ma perfino nei fondi
segreti del servizio informazioni. E allora ricordiamoci di quegli assegni.
E come può chi su quei fondi è stato sorpreso a mettere le mani, alzare, per la
triste ed avvilente vicenda dei telefoni, la bandiera della denuncia e della
moralizzazione? L'«arco costituzionale», da Mancini a Vicari, serve a coprire
queste cose! Serve a stordire e a stornare -ecco il punto!- l'opinione pubblica
dagli scandali che quel nido di vipere costituito dall'ultradecennale esperienza
del centro-sinistra continua a scaricare come una fogna sulla vita degli
italiani!
Ecco che significato ha avuto la presenza socialista al potere: non sta più in
piedi nulla! Lo Stato si sfalda, il Parlamento è fuori gioco, impazzano i
potentati, i gruppi, le bande, le armate Brancaleone. Lo Stato è spogliato e
rapinato; la magistratura si contende, onorevole ministro (è triste dirlo!), i
presunti colpevoli, i soliti stracci, arrestando persone a Milano nella tema che
arrivi prima quella di Roma e viceversa, massacrando ogni diritto del cittadino.
Non lotta fra gruppi, ma lotta fra bande.
Noi, quindi, diciamo «no» a tutto questo. Volete fare l'inchiesta parlamentare?
Facciamola pure l'inchiesta parlamentare, ma soprattutto non insabbiamo questa
vicenda. Diciamo sì, invece, al più aperto dibattito in quest'aula, presenti i
ministri del tempo e quelli in carica a rendere ragione del loro operato; e
occorreranno bobine funzionanti, amplificate, perché tutti gli italiani sentano
da quest'aula.
Diciamo «no» a chi fugge. Paghino duramente, e senza pietà, gli spioni. Ma
paghino anche gli eventuali ladri scoperti dagli spioni, abusivi o no che
fossero. E fuori dalla mischia, con l'onorata divisa dei militari, i corpi dello
Stato. Massacrandoli, rendete un servigio alla criminalità dilagante.
Nel dicembre scorso Scotland Yard è stata messa sotto accusa alla Camera dei
comuni perché controllava più di mille telefoni privati, compresi quelli di
alcuni quotidiani. Ha risposto il procuratore generale dello Stato: «I controlli
telefonici -ha ricordato- sono di competenza del Ministero dell'interno. Nessuno
può essere immune da investigazioni, quando la polizia ritenga necessaria una
indagine su particolari tipi di reati».
ORLANDO - Non c'è Costituzione in Inghilterra!
(Proteste a destra)
NICCOLAI GIUSEPPE - Cosa teme la
classe politica italiana? Si comporti bene. Eviti di rubare. Non ostenti
insolenti ricchezze. Ostenti dirittura morale, fermezza, senso del sacrificio,
umiltà, coraggio civico. Non avrà nulla da temere, né dai telefoni, né da altro.
Altrimenti, per la classe politica sarà notte fonda.
Quando un regime non può più contare sulle forze dell'ordine perché le ha
svilite e disarmate; quando un regime non può più contare sulle forze armate,
perché le ha calunniate e divise; quando un regime ha distrutto nella coscienza
del cittadino l'imparzialità della magistratura, perché ha consentito la sua
politicizzazione; quando un regime deve ricorrere, per mantenersi in piedi, al
terrorismo ideologico, è un regime che ha ormai poco da dire, signor ministro. O
ha la forza di rinnovarsi nelle strutture dello Stato, nel costume morale, nella
coscienza civile o deve rassegnarsi ad essere travolto prima ancora dalla
politica delle cose che dall'attivismo dell'uomo.
(Applausi a destra).
Beppe Niccolai
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