da "Orientamenti" n° 4, Anno II -
Aprile 1987
Tesi a confronto
Ecologia e Nazione
Beppe Niccolai
L'irruzione della moda ecologica e più
genericamente dei problemi connessi ad un migliore equilibrio ambientale ha
sconvolto molti schemi, a cominciare da quello che riponeva una fiducia cieca
nel progresso, nei cui confronti si è aperto un processo di revisione critica.
Con esso sono saltate anche diverse delle tradizionali contrapposizioni tra
destra e sinistra, soprattutto nel senso che oggi la sinistra va assumendo
atteggiamenti e gusti che un tempo appartenevano alla destra. Un processo che
era stato del resto già previsto con molta lucidità da Adorno quando nei suoi
"Minima moralis" suggeriva l'opportunità di mettere al servizio dell'illuminismo
progressista tutti gli spunti utilizzabili del pensiero reazionario.
La difesa ambientale in tutte le sue componenti, etnico-sociali,
storico-artistiche, paesaggistiche e naturali offre senza dubbio ALL'AMORE DI
PATRIA nuovi grandi compiti, che forse per la prima volta si presentano in
termini pacifici, non prevalentemente antagonistici verso lo straniero, non
strettamente collegati all'idea della Divisa, dell'eroismo e del dovere
militare. L'entità dei problemi che sta ponendo la caotica espansione del
progresso economico con tutte le sue ormai meglio individuate diseconomie
esterne impegna l'amore per il proprio Paese verso direzioni anche fisicamente
più continue e più concrete.
Non occorre più aspettale come banco di prova del sentimento nazionale la
minaccia esterna e la guerra per vedere chi abbia creduto sul serio
all'insegnamento scolastico dulcis et decorum est prò Patria morì. Oggi la
battaglia si sposta su di un fronte interno che ha ciascuno di noi come
protagonista in entrambe le parti; quella dell'aggredito dalle disarmonie e
diseconomie del progresso e quella dell'aggressione. In quanto partecipe e
comunque in quanto utente del progresso stesso.
Se la battaglia si riducesse, come sostengono i marxisti in una schematizzazione
troppo semplicista, ad avere come avversario il profitto e la speculazione,
sarebbe relativamente facile scegliersi il proprio posto e il proprio impegno. È
bensì vero che la speculazione imperversa ed ha la responsabilità di avere già
irrimediabilmente deturpati i più bei paesaggi italiani, che la legge del
profitto mette nei guai Venezia, che una mancata pianificazione territoriale è
responsabile degli opposti motivi di squilibrio che hanno reso eccessivo
l'addensamento industriale al Nord e carente l'occupazione al Sud col risultato
di devastare due tipi di cultura alla volta, una per lo spopolamento e una per
sovrappopolamento. Ma anche stroncata la speculazione e dimensionato il
principio del profitto, che le stesse economie socialiste vanno riscoprendo per
necessità, il fondo del problema resta.
A parte Chernobyl, lo dimostra del resto l'inquinamento dei fiumi sovietici, del
Baikal e del Caspio, il processo di urbanizzazione che sta creando mostruose
megalopoli anche intorno ai poli industriali di Mosca e Leningrado, giacché la
somiglianza delle tecniche, dei processi produttivi e delle tendenze
demografiche porta a risultati analoghi ed è più rilevante di quanto non lo sia
la differenza dei sistemi economico-sociali. Oltre tutto nella misura in cui la
tecnologia è in grado di porre rimedio almeno a parte degli inconvenienti
prodotti dalla tecnologia, il maggiore dinamismo e la maggiore disponibilità di
capitali dei sistemi occidentali, ora che il problema è stato fortemente
sensibilizzato, sarà probabilmente in grado di provvedere con più rapidità ed
efficienza a ciò che è riparabile restando in un quadro di tassi di sviluppo
crescenti. Mentre nessun sistema potrebbe attualmente tollerare un brusco
arresto dei ritmi di sviluppo produttivo senza mettere in bilancio condizioni di
squilibrio e di tensione sociale assai peggiori dei mali a cui occorre dare
soluzione.
La difesa ambientale del paese pone dunque dei problemi che vanno molto al di là
dell'alternativa tra marxismo e liberalismo e di fronte ai quali questi moduli
ideologici, nonostante ogni sforzo di aggiornamento, non avevano previsto una
risposta e non sono in condizione di darla. La conciliazione tra le antinomie
del progresso appartiene necessariamente ad una terza via e presuppone il
recupero e l'approfondimento di tutta una serie di valori nazionali e
spirituali, di sensibilità, di cultura, di storia: cioè una rivoluzione del
pensiero tradizionale, nazionalpopolare, in cui apporti diversi dovranno
incontrarsi dopo aver abbandonato ciascuno la maggior parte delle proprie
scorie.
La difesa dell'ambiente ha nel quadro nazionale il suo elemento di maggiore
concretezza, ma non può esaurirvisi. Il problema ha dimensioni planetarie e
richiede forme di coordinamento e decisioni a livello terrestre. Con l'avvento
dell'era nucleare e spaziale il progresso tecnologico ha realizzato per la prima
volta l'unità storica della Terra e del genere umano attraverso il solo eterno
ed infallibile elemento unificatore, che è la comunanza dei problemi e dei
pericoli.
Il concetto religioso e filosofico di umanità, sinora privo di significato
politico, sta cominciando ad averlo in un pianeta che il progresso delle
comunicazioni e la sempre più stretta interdipendenza degli avvenimenti ha
rimpicciolito.
La preoccupazione ecologica si sta già profilando come uno dei fattori più
attivi di unificazione mondiale, abbracciando anche i problemi della pace, della
distribuzione delle risorse, dell'esplosione demografica e della fame nei paesi
in via di sviluppo.
Proprio nei confronti del Terzo Mondo essa suggerisce moventi più concreti di
quanto non lo sia una vaga ed ipocrita aspirazione caritativa e di giustizia,
per impostare delle soluzioni ai suoi problemi.
Il contributo che i Paesi industrializzati devono dare allo sviluppo del Terzo
Mondo è anzitutto un contributo alla pace, cioè ad un bene che interessa più ai
benestanti che ai disperati, a chi ha molto da perdere più che a chi non ha
quasi nulla. Ma è anche la condizione per poter negoziare una politica mondiale
delle risorse naturali, che non sia una mostruosa ed evidente presa in giro dei
Paesi ricchi a danno dei Paesi poveri.
Anni fa la prima conferenza mondiale dell'ONU a Stoccolma sui problemi ecologici
(così come la Conferenza del Lingotto da noi, patrocinatore Gianni Agnelli con
l'ormai famoso discorso "scalate le Alpi") rivelò chiaramente l'inconciliabilità
degli obiettivi che si pongono i Paesi industrializzati e quelli in via di
sviluppo: per questi ultimi il problema della fame prevale su ogni altra
preoccupazione ed essi possono trattare una sorta di pianificazione ecologica
solo nella misura in cui verrà parallelamente anche assicurata a tutti i popoli
una possibilità di lavoro, di sopravvivenza, di una vita degna.
L'Italia, che ha essa stessa drammatici problemi regionali di sottosviluppo, è
direttamente interessata, checché ne pensi Gianni Agnelli, a portare avanti il
colloquio con il Terzo Mondo, non solo come Paese altamente industrializzato, ma
appunto anche come Paese che condivide con tutti gli altri Paesi meno sviluppati
del Mediterraneo la tragedia dell'emigrazione e farsa del turismo.
Per molti aspetti i due fenomeni sono complementari: c'è una corrente di
disoccupati e sottoccupati che da tutti i paesi mediterranei (esclusa la Francia
e Israele) viene attratta verso il Nord d'Europa per coprire i posti di lavoro
più umili e più disagiati; ed una corrente di benestanti che dal Nord Europa
scende nel Mediterraneo per passare le vacanze e divertirsi sul luogo
dell'altrui miseria. È superfluo dire che questa ripartizione di compiti nella
divisione internazionale del lavoro non può soddisfarci e va equilibrata.
Per riequilibrarla è necessario imporre una pianificazione degli investimenti a
livello delle grandi aree (Europa, Africa del Nord e Medio Oriente) che
decongestioni il Nord Europa dall'attuale sovraccarico industriale, fonte di
pericolosi inquinamenti dell'ambiente naturale e sociale, spostando una quantità
di impianti nelle Regioni meno sviluppate del Mediterraneo. Un trasferimento
che, beninteso, non potrà avere il carattere di un imperialismo economico del
Nord sul Meridione, giacché nemmeno questo tentativo sarebbe alla lunga
tollerato, ma dovrà avvenire su basi strettamente paritarie.
Questo tipo di rivendicazione unirà popoli che attualmente hanno regimi molto
differenti: dalla partitocrazia italiana al socialismo iugoslavo ed algerino, al
socialismo islamico, ai sistemi militari della Turchia, a quelli
socialisti-democratici della Penisola iberica, tutti oberati dagli stessi
problemi.
D'altra parte il sovraccarico del sistema produttivo al Nord sta già creando
problemi d'altro genere, che sembrano destinati ad aggravarsi in avvenire per
sfociare in situazioni non meno drammatiche, sia per quanto riguarda gli
inquinamenti, che per l'alterazione degli equilibri etnico-sociali.
La Germania, la Svizzera, il Benelux, la Gran Bretagna non possono illudersi che
la delega delle funzioni proletarie a milioni di immigrati riesca a prolungarsi
nel tempo e ad estendersi senza conseguenze. Comunque in questo rapporto già
potenzialmente antagonistico con le Regioni più privilegiate della CEE l'Italia
deve prepararsi ad assumere il suo posto di mediazione e di leadership
mediterranea. (Sigonella - Achille Lauro - Gheddafi - Reagan - Israele -
Palestinesi).
Le tre libertà fondamentali su cui si fonda la Comunità Economica Europea:
libero movimento delle merci, dei capitali e della mano d'opera, hanno
contribuito alla creazione di un grande Mercato e sono alla base di una serie di
cosiddetti "miracoli economici", ma in avvenire questo concetto prevalentemente
economicistico del progresso europeo dovrà essere rivisto, anche in vista di
altri obiettivi che non possono essere affidati al puro gioco di forze spontanee
a cui sia solamente garantita una più vasta area di espansione di manovra.
Anni fa un monito in questo senso venne dai norvegesi. Riportiamolo come
esempio. Il loro "no" al Referendum sull'adesione alla Comunità Europea.
Depurata dalle sue componenti di provincialismo un po' gretto e di misoneismo
alimentato da un complesso di superiorità razziale, la reticenza dei popoli
scandinavi presenta argomenti di notevole interesse.
La gelosa difesa della sovranità nazionale dei norvegesi coincise, se ci si fa
caso, con un atteggiamento critico nei confronti dei modelli di sviluppo seguiti
dalla CEE e che hanno effettivamente comportato una serie di gravi
inconvenienti, accentuando gli squilibri regionali, provocando delle migrazioni
di massa estremamente dolorose, infierendo sulla natura e sul paesaggio,
aggravando tutti i problemi connessi ad un processo di urbanizzazione che
costerà molto caro alla nostra società nei decenni a venire.
La devastazione compiuta ai danni della società contadina e degli insediamenti
periferici ad opera delle megalopoli industriali sconvolge antiche culture,
equilibri di vita tradizionali, per creare e moltiplicare una serie di Harlem e
di Babele in cui socialmente si accumula un potenziale di malcontento, di
disorientamento, che potrebbe rivelarsi assai pericoloso.
Nel caso della Norvegia, citato per il valore indicativo di alcuni temi che sono
stati opposti al modello di sviluppo europeo, fra le tre libertà della CEE non
ha suscitato tante perplessità quella riguardante la libera circolazione della
mano d'opera, quanto quella delle merci e dei capitali, che ha messo in crisi
l'agricoltura e la pesca, provocando di conseguenza lo spopolamento delle
regioni più decentrate e meno favorite, quindi l'inurbamento degli ultimi
contadini e liberi pescatori.
Infatti, se da un lato il libero ingresso di prodotti agricoli da Paesi
climaticamente più favoriti rende non più remunerativa la produzione locale
condannandola a sparire; dall'altro il libero ingresso dei capitali condanna
alla sparizione tutti i piccoli villaggi costieri che vivono sulla attività
condotta ancora a livello artigianale di molte migliaia di pescatori
indipendenti: la razionalizzazione ed industrializzazione della pesca da parte
di grandi società armatoriali e dei gruppi multinazionali operanti nel settore
alimentare conduce in poco tempo alla proletarizzazione dei pescatori liberi ed
alla loro concentrazione in pochi porti di armamento.
La scelta dei partiti norvegesi, nel proteggere l'attuale loro struttura locale
della pesca e dell'agricoltura, è stata, per molti versi, antieconomica, ma fu
ritenuta anche indispensabile alla sopravvivenza di alcuni tipi di vita più
liberi, più vicini alla natura e più intimamente legati alla tradizione del
Paese. In definitiva una scelta nazionale ed ecologica contro il diktat di leggi
economiche imposte dall'esterno.
Giuseppe Niccolai
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