FRAMMENTI

"il Fondo", 26 maggio 2011

http://www.mirorenzaglia.org/2011/05/e-fasciocomunismo-sia-ma-quale-e-come/

 

E fasciocomunismo sia. Ma quale e come?

Nicola Guerra

 

   
 

I miei genitori mi hanno chiamato Nicola, dal nome di uno scugnizzo napoletano che aveva destato le loro simpatie durante il viaggio di nozze. Se sapessero che tra i tanti partiti votati dal figlio c’è stata pure la Lega! Quella paganeggiante delle ampolle colme delle acque sorgive del Po, ma comunque, da apuano orgoglioso e bastiancontrario, la Lega. Ma devono anche sapere che il nome Nicola mi piace molto, perché è lo stesso di Bombacci. Perché sul fatto che Nicolino sia un fasciocomunista siamo d’accordo tutti vero?
È importante capire se stessi, prima di pretendere di promuovere il cambiamento (non oso adoperare il termine inflazionato e spesso vuoto che spopola nell’ambiente della destra radicale: Rivoluzione), di scuotere e squassare la politica. E come si può capire cosa sia il fasciocomunismo? Comincerei dagli uomini, da chi fasciocomunista lo fu con passione, coerenza, prospettiva e altruismo. Sostantivi che sfuggono ai politici attuali: calcolatori, voltagabbana, appiattiti sulle tattiche di palazzo e poltronisti. Può lasciare perplessi partire dagli uomini per definire una corrente di pensiero, ma è necessario. Le idee camminano con gli uomini, con le loro azioni, il loro esempio, i loro scritti e lasciti. Non si tratta di far indossare postume camicette fasciocomuniste a persone che diano lustro al progetto. Si tratta di mettere da parte il parolismo, la retorica, il politichese per fare spazio all’uomo come attante della politica e non come strumento, servo e profittatore di essa. Partiamo quindi dagli esempi in carne ed ossa. Magari limitiamoci a quelli nazionali. Ma facciamolo partendo da quelle traiettorie umane che fanno del fasciocomunismo una realtà della storia politica nazionale.
Getto dei nomi, come sassi nello stagno del nostro dibattito politico,. Senza escludere provocazioni e forzature: Nicola Bombacci, Piero Vivarelli, Leandro Arpinati, Walter Spedicato, Roberto Farinacci, Giano Accame, Renato Ricci, Francesca Mambro, Berto Ricci, Lorenzo Viani, Giovanni Papini, Arturo Labriola, Beppe Niccolai, Filippo Tommaso Marinetti, Marco Tarchi, Enrico Leone, Franco Cardini, Agostino Lanzillo e, perché no, Bettino Craxi. Solo per cominciare a stilare una lista lacunosa, ma iniziale, di uomini la cui azione politica varrebbe la pensa investigare maggiormente per farne tesoro fasciocomunista. O vorremmo sostenere di non aver avuto madri e padri nazionali?
Dunque se le idee camminano con gli uomini, studiamo i nostri padri. Se vorremo avere dei figli. E parta dunque un laboratorio che Luciano Lanna ha proposto di chiamare “Canale Mussolini”, ma che esso non sia fucina di parolai a modello dei congressi attuali dei partituncoli esistenti. Non sia stanza di vacue promessi e di onanistici personalismi esteriori. Sia laboratorio umano, metta l’uomo al suo centro. L’uomo fasciocomunista di oggi studi l’esempio dei padri e ne tragga idee per una seconda fase: quella della comprensione dell’oggi. E da questa per l’ultima fase: quella programmatica del presente e del domani. Un processo in tre fasi che sono necessarie per chiunque voglia lanciare una sfida importante come quella che ambisce a frantumare lo schema destra-sinistra.
Perché non facciamo finta di non saperlo cosa significhi rompere quello schema. Non facciamo finta di non comprendere ciò che il passato ci insegna e di ignorare gli anticorpi del sistema verso le rotture della strumentale antitesi destra-sinistra. Come non si può ignorare quanto complesso sia rompere lo schema, non si tratta di incrostazioni da rimuovere, ma di incancrenimenti che necessitano una azione politica ardimentosa e paziente. E non solo politica, ma culturale e spirituale. Ma in questa consapevolezza occorre anche non correre a ragionare di alleanze partitiche e apparentamenti: prima comprendere il sé, poi relazionarsi all’altro da sé.
Come è importante che il fasciocomunismo non sia solo una categoria del politico. Che le figure di riferimento siano anche esempi di uomini: e qui il fasciocomunista si mescola, come fattispecie dell’uomo, con l’anarcofascista, il socialista nazionale e suvvia con categorie che è necessario elaborare / rielaborare. Dunque il fasciocomunista è una categoria del politico e dell’umano che è necessario definire, non delimitare in modo castrante, ma comprendere e circoscrivere nei suoi elementi fondanti. Nelle sue radici. Una categoria che non possa essere in balia del trasformismo imperante, non una ventiquattrore da portare come, dove e quando conviene; ma uno stato dell’essere che non sia abiurabile, negoziabile, rinnegabile come in voga nella politica del presente. Non un FLIpper ideologico, ma radici profonde che resistano al gelo ed al fuoco.
Per fare tutto ciò non occorrono oceaniche convention sul modello dei partitoni esistenti. Basta adoperare la modernità e le connessioni che essa consente coi suoi nuovi canali, basta vedersi, parlarsi. Occorre minimizzare il bisogno di denaro esterno nella fase di definizione progettuale ed in quella di ingresso nello scenario politico. Non si costruiscono le case partendo dal tetto, crollano, prima o poi crollano e non lasciano traccia. Occorre che i fasciocomunisti siano umili, tignosi nel resistere alle sconfitte, e entrino nel tessuto sociale, prima locale e gradualmente nazionale. Si perché le identità locali non possono non fare parte del progetto fasciocomunista. Ed il fasciocomunista non può essere distante dalle persone, non può chiudersi in palazzi di porpora, ma solo in castelli spirituali nei quali rigenerarsi per donarsi più libero alla politica come vocazione.
Come indispensabile è un progetto culturale. Le parole fuggono. Volano via. E chi deve fare della tenacia un tratto distintivo deve seminare. Non penso si possa essere presuntuosi a tal punto di pensare al governo dell’oggi, così per incanto, per miracolo. Oggi si deve perseguire la rappresentanza, il poter portare le istanze, il renderle note, il proporre, l’esserci. Ma soprattutto bisogna esserci nel panorama della cultura dello scripta manent. Ma iniziamo il “Canale Mussolini”…. Troviamo le radici.
 

Nicola Guerra   
"il Fondo", 26 maggio 2011

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