VARIE

materiale inviato da Mark Dennison (Marxista non pentito e quindi non filo-americano)

 

Dario Fo

 

Nel lontano 1969 questa interpellanza dell'allora consigliere comunale
"Beppe" Niccolai al Sindaco di Pisa

 

 

 

Interpellanza (ri)presentata poi alla Camera dei Deputati nel 1974
(chiara e "sincera" la risposta di Andreotti!!!)

 

Seduta del 27 maggio 1974

NICCOLAI GIUSEPPE - Al Ministro dell'interno - Per conoscere se sia esatto quanto viene affermato negli ambienti culturali del PCI, per cui l'attore Dario Fo ha appartenuto alle forze armate della RSI, e, in particolare, alla «Decima» del comandante Valerio Borghese. (4-05838)

Risposta - Dai documenti matricolari del distretto militare di appartenenza del signor Dario Fo (Como), nulla risulta circa quanto si chiede nell'interrogazione, né questo Ministero dispone di altre informazioni.
Il Ministro della difesa: Andreotti

 

 

Nel più recente 1997 la "protesta" di un comune dell'Ossola

 

 

 

da "II Giornate", 13 novembre 1997

Viaggio a Cannobio, dove nel '44 il futuro Nobel combatte i partigiani con le camicie nere della Folgore

«Camerata Dario Fo, vieni a chiederci scusa»

Gli anziani cittadini di Cannobio non hanno dimenticato la presenza dell'attore tra le camicie nere che occuparono la zona

Cannobio (Verbania)

Dal nostro inviato Gabriele Villa

 

È l'ora dei calici a Cannobio. Il rosso va via che è un piacere nella cantina Ferro e i brindisi si sprecano: a Tizio, a Caio, anche a Fo, al premio Nobel Dario Fo, azzarda un giovanottone che ha tutta l'aria di buttarsi sulla sbronza intellettuale. Colpo di scena: i calici restano in parcheggio sul bancone e il Luigione, pantaloni di fustagno, camicia agri-scozzese a scacchi, baffi a manubrio, parla per tutti. «No, a Fo proprio no. Dovremmo fargliela al contrario la festa qui a Cannobio, deve chiederci scusa per ciò che ha fatto».

Il Luigione avrà più o meno la stessa età di Dario Fo, come tanti altri habitué della cantina Ferro che è un po' il semaforo dove tutta la Cannobio di una certa età si ferma quotidianamente.

Questa storia delle scuse che Dario Fo dovrebbe fare a Cannobio e a tutta l'ex Repubblica dell'Ossola è un tema ricorrente da queste parti. Basta andarci a Cannobio. Basta rovinarsi le suole delle scarpe camminando sui ciottoli di via Sasso Carmine, ascoltare le chiacchiere della gente alla taverna dell'hotel Pironi, al bar Porto e in mille altri posti che, se non tutti, almeno una parte dei 5.500 abitanti di Cannobio frequentano.

Anche il sindaco di Cannobio, Giuseppe Albertella, ha sentito parlare di questa storia delle scuse che Dario Fo dovrebbe fare a questo «ridente paesino» come si leggeva sulle guide turistiche di qualche anno fa, affacciato sul lago Maggiore. Ma lui, il sindaco, per sua stessa ammissione i bar di Cannobio li «frequenta poco». Si ricorda «distrattamente», sempre per sua stessa ammissione, degli articoli sulla faccenda comparsi sui giornali locali, e si sforza di tener lontano dal Palazzo municipale qualsiasi potenziale ballon d'essai che possa incrinare quella che lui definisce «una situazione politica assolutamente tranquilla».

In verità «il caso Fo» è stato recentemente ricostruito nei dettagli da un meticoloso ricercatore di Ascona, in Svizzera, Raphael Reus, che sta approfondendo con i suoi studi l'aspetto nazifascista della resistenza nel Verbano-Cusio-Ossola. Leggendo alcuni dei documenti che Reus ci ha consegnato, è possibile farsi un'idea della rioccupazione di Cannobio e dintorni da parte delle formazioni della Repubblica di Salò: primi giorni di settembre del 1944, per intenderci.

Eccoci al dunque: tra gli uomini della Folgore, arrivati in zona seguendo la litoranea da Verbania, c'era all'epoca anche il giovane Dario Fo. Quegli uomini avevano un solo, preciso compito: radere al suolo la Repubblica partigiana dell'Ossola. Per questo motivo una delle prime offensive aveva preso il via proprio da Cannobio trascinata dalle truppe fasciste e tedesche che, attraverso la Val Vigezzo, avevano poi occupato Domodossola.

 La cronaca di quei giorni, riportata alla luce dallo studioso elvetico, ci regala anche un'altra curiosità: con Dario Fo giunse da Luino nello stesso periodo in quegli stessi luoghi, dopo una breve traversata del lago Maggiore, un giovanissimo ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana, appena uscito trionfalmente con la miglior votazione tra gli allievi del suo gruppo dal corso di formazione: Enrico Maria Salerno. Vedete come è sempre stato piccolo il mondo?

Ma torniamo a Dario Fo. Che il premio Nobel si trovasse non per turismo in quei luoghi nei giorni della caduta della Repubblica  ossolana, si evince anche da un articolo pubblicato nel 1979 sul mensile "Resistenza Unita" che ha documentato il soggiorno di Fo nel collegio Rosmini di Domodossola il 14 ottobre assieme ai para della Folgore. A questo punto si impone un'ulteriore precisazione: il passato di Dario Fo non è un mistero per nessuno. Se ne discusse peraltro ampiamente ventanni fa in un'aula di tribunale a Varese nel corso di un processo per diffamazione intentato da Fo contro un giornalista. Fo aveva inizialmente negato con ostinazione il suo «nero» passato ma poi, dinanzi alla sfilata di ex camerati e un'ampia documentazione fotografica, era stato costretto ad ammettere la verità.

Le sue parole furono, stando ai giornali di quel tempo, più o meno queste: «L'ho fatto per motivi di famiglia perché mio padre era capostazione a Luino e avrebbe rischiato grosso se non mi fossi arruolato tra i repubblichini». Una figuraccia o, per dirla come la direbbe lui, un mistero buffo.

Non credo ci sia nulla di disonorevole nell'essere figlio di un capostazione. Anch'io lo sono, e guarda caso anche mio padre era capostazione a Luino in quell'epoca, collega di papa Fo. Ricordo che per mio padre che lo aveva conosciuto, Dario Fo era sempre stato soltanto un bimbetto irrequieto e un po' picchiatello.

Questa è dunque la vera storia, che in molti già conoscevano, di un tale Dario Fo che con gli anni e con l'oblio sarebbe diventato l'instancabile giullare della sinistra che oggi tutti quasi applaudono. E questo è il motivo per cui la gente di Cannobio, gli ex-partigiani, e quelli che frequentano quei bar e quelle piazze che il sindaco di Cannobio non frequenta, ce l'ha con Dario Fo.

Vogliono le scuse i cannobini, e forse hanno tutte le ragioni per pretenderle anche se il ruolo di Dario Fo nella rioccupazione dell'Ossola, come si capisce sfogliando le carte di Reus, sarebbe stato marginale. Vogliono pubbliche scuse, magari sotto forma di una pubblica confessione-spettacolo che dimostri, possibilmente prima dell'«incoronazione» di Stoccolma del 10 dicembre, che anche i premi Nobel sono uomini come gli altri. Sprovvisti di coerenza e sincerità.

 

Gabriele Villa