"Avanguardia", anno
V
n° 28, gennaio 1987
Intervista all'on. Beppe
Niccolai
a
cura di Vito Orlando
* Il MSI si trova
in un momento di grande ansia per il suo futuro. Siamo arrivati al capolinea di
una gestione per certi versi unica, non dimentichiamo le vittorie elettorali del
'71/'72, la scissione, la tenuta del '79 fino al successo delle politiche del
1983. Paradossalmente questo, però, è stato l'alibi, poiché nella sostanza
niente cambi nella gestione del partito. Da qui a poco tempo il congresso
determinerà su quale strada si debba incamminare il Movimento. Non crede sia
necessario un ritorno alle idealità che pervadevano i primi militanti del MSI ?
B.N. - «Secondo
me si. La gestione Almirante, dal 1969 al 1986 (16 anni non sono pochi), si
caratterizza anche dai dati elettorali che Avanguardia ricorda e riporta. Dopo
Togliatti, Almirante è il segretario di partito che può vantare una gestione
cosi lunga nel tempo. Il bilancio? Lo dicono le cifre: 6%, 7%. I tempi, ahimè,
mutano. Per tutti. L'epoca di Almirante è quella dell'emergenza, affrontata, più
che con una politica, con una abile "propaganda" che si è servita, di volta in
volta, di brillanti e passeggere occasioni (il generale dei servizi, i bassi
napoletani, la casa, il fisco, i commercianti) per tenere a galla il partito,
aggredito dal vento della discriminazione. Ora i tempi sono mutati. Si è voltato
pagina. Il secolo delle rivoluzioni è alle nostre spalle, I ricordi si sono
storicizzati. Il Fascismo e l'antifascismo, più che passioni, sono divenuti
laboratori da studiare onde trovare gli elementi per costruire un progetto
Italia 2000. C'è necessità di confronto, di parlarsi, di misurarsi sui grandi
temi del post moderno, occorrono competenze, pareri, dati. All'uomo che pensa
per tutti occorre ora sostituire la Comunità che si confronta. In breve: il
verbo in cui si crede è patrimonio di tutta la Comunità, ed la Comunità che,
discutendo, lo deve accrescere ed innovare. Il dito del Signore che fa e disfà,
nel 2000, è fuori tempo. Ritorno alle origini? Si; se ciò significa voltare le
spalle al Palazzo-partito per rivolgersi alla gente che, nel paese, lavora,
fatica, gioisce, crede, si dispera. Da qui la costruzione di una Comunità che,
anziché alle stellette, ai posti in lista, al professionismo politico, al
clientelismo, punti ai meriti, alla solidarietà, alla direttiva «chi più ha più
deve dare». Con l'aggiunta che la periferia del partito deve sapere e contare.
Non essere la piazzista del voto».
* Sull'ultimo numero de "L'Eco della Versilia" leggo: «non solo di Congresso
abbiamo bisogno. Occorre una Assemblea costituente di rifondazione». Questo mi
ricorda, però, la sciagurata costituente del 1975. Vuole precisare meglio come è
da intendere questa sua proposta?
B.N. - «Così
come è posta la domanda i dubbi, anche angosciosi, hanno ragione di essere. No,
se si riporta integralmente ciò che "L'Eco della Versilia" (31.X.86, n° 6) ha
scritto. Sarà bene riportarlo per vanificare tutte le perplessità.
"Non di solo Congresso abbiamo bisogno. Occorre una assemblea costituente di
rifondazione che, come orientamento morale più che politico, sia completamente
agli antipodi di quella Costituente che fu messa in piedi alla fine del 1975.
Perché Costituente? Perché può avere una carica mobilitante se si ha ciò che non
ebbe la Costituente del 1975: il messaggio. Non per il palazzo, ma per il
Popolo, per i milioni di Italiani che non ne possono più dei partiti, dei
professionisti della politica e cercano, disperatamente, l'anti-partito, una
costruzione di popolo e nazione che il MSI, chiamandosi appunto MOVIMENTO,
intravide nei suoi primi anni ma che, con il tessere, insieme agli altri, la
tela partitocratica, ha dimenticato".
Questo "L'Eco della Versilia", Il senso mi sembra chiaro. Non farsi partito, non
rendersi Palazzo. Guardare all' Italia.
* Lei è stato relatore di minoranza della commissione antimafia conoscendo in
prima persona uomini e cose delle province siciliane. Da antico analizzatore del
fenomeno mafioso come reputa il fatto che esponenti di primo piano del MSI sia a
livello locale che nazionale siano difensori di imputati nel maxi processo di
Palermo?
B.N. - «Nella
mia relazione di minoranza (VI Legislatura, Doc. XXIII n. 2, Commissione
parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia) a pag. 1113, è
riportata una mia lettera del 13 marzo 1974, in cui chiedo al Presidente della
Commissione di fare gli opportuni passi perché, nelle more della formazione del
prossimo Governo nazionale, dal Governo stesso vengano escluse "persone", "di
cui la Commissione antimafia possiede inserti voluminosi ed inquietanti". La
Commissione, nella sua interezza, respinse la richiesta. Salvo Lima venne
riconfermato Sottosegretario di Stato nel governo Moro. Oggi è deputato europeo.
Dal marzo 1974 ad oggi si sono raccattati molti cadaveri "eccellenti":
Mattarella, Pio La Torre, Terranova, Dalla Chiesa, Chinnici, Boris Giuliano,
Basile, Costa. Quei "cadaveri" ci sarebbero stati se la Commissione antimafia,
12 anni fa, fosse stata capace di compiere il gesto di dire al Presidente del
Consiglio incaricato di formare il Governo: "guarda, questi personaggi, le cui
gesta sono raccolte nei nostri archivi, vanno mandati a casa. Sono mafiosi!".
Può darsi di si, ma può darsi anche di no. Sta il fatto che nessuno, eccetto il
MSI, dodici anni fa, fu capace di proporre comportamenti così radicali. Nessuno,
meno di tutti il PCI che, allora, in Sicilia, collaborava con la DC di Salvo
Lima. Mi chiedi cosa ne penso degli avvocati che, iscritti al MSI, sono
difensori degli imputati nel maxiprocesso di Palermo. Ho posto il problema in
Comitato Centrale. La cosa è caduta nel silenzio generale. Ciò dipende che non
c'è più tensione "morale". Lo conferma la relazione di Dino Grammatico nella
segreteria regionale della Sicilia del 15.7.1986. "Occorre -scrive Grammatico-
che il MSI, nella sua azione esterna e interna, si renda sempre meno partito, e
sempre più Movimento". Il nostro "malessere" sta li
* Ha letto la prefazione di Leonardo Sciascia al libro "La vita quotidiana
della mafia dal 1950 ad oggi", di Fabrizio Calvi, edito dalla Bur?
B.N. - «Si. Mi
è rimasta impressa questa considerazione: "colpiti dal fascismo, i mafiosi si
diedero all'antifascismo. Se in Sicilia si fosse verificata, dopo la caduta di
Mussolini e durante l'occupazione tedesca, la lotta armata contro il
nazifascismo, la costituzione di brigate partigiane e insomma quel movimento di
resistenza che si è verificato nel nord Italia, i mafiosi, indubbiamente, ne
sarebbero stati i capi più autorevoli e valorosi". Sono d' accordo con questa
analisi del grande scrittore siciliano.
* Rimaniamo in Sicilia. La federazione di Trapani, che lei ha visitato più
volte, si trova in uno stato pre-comatoso. Non vi è alcuna iniziativa
coordinata, solo qualche sporadica iniziativa personale (vedi il caso del
consigliere di Alcamo che ha occupato il consiglio), non esiste sindacato, dal
dicembre del 1985 non si tiene nel capoluogo alcuna manifestazione di partito,
sezioni inesistenti in grossi centri come Mazara ed Erice, situazioni anomale
(leggi Castelvetrano e Castellamare del Golfo). Anche elettoralmente in una
città come Trapani che nel '71 aveva visto conquistare la maggioranza relativa
con oltre il 30% dei voti siamo arrivati al 7%. Inoltre non viene dato nessun
spazio a chi proviene dalle organizzazioni giovanili che sono guardati, anzi,
con sospetto visto che da anni il Fronte della Gioventù non è più uno strumento
elettorale, ma di produzione politica. Cosa occorre per modificare questo stato
di cose?
B.N. - «Mi
ricordate che, nel trapanese, dal 30% dei voti del 1971 siamo scesi oggi al 7%.
È una constatazione che fa soffrire. Ma ciò che preoccupa di più è che di questi
risultati gli organi collegiali di vertice del partito non se ne sono mai
occupati. Perciò dal 30% al 7%? Nessuna analisi. Nessuna politica. Nessuna
strategia. Tutti protesi a trovare l'occasione per galleggiare. Una continua
"propaganda", l'assenza totale di una politica. E in queste condizioni come può
fiorire il tesseramento, come ó possibile che vi sia una politica sindacale, che
il solitario consigliere di Alcamo possa essere capito ed aiutato, che i giovani
vengano concepiti in modo diverso da esclusivi piazzisti del voto? Come si fa,
in breve, in queste condizioni, a produrre buona politica? Si torna al partito.
Occorre rifondarlo.
* Quale è la sua opinione sui "casi" che hanno coinvolto le federazioni di
Verona e di Napoli?
B.N. - «Conosco
il caso di Napoli, meno quello di Verona. Nel novembre 1983 entrammo in
Consiglio Comunale di Napoli all'insegna dello slogan: "Almirante sindaco". Oggi
quel Consiglio Comunale è stato sciolto. Il gruppo consiliare missino esce, da
quel consiglio, a testa bassa. Napoli, avrebbe potuto rappresentare il
"Laboratorio Simbolo" della destra politica, il progetto da irradiare in tutta
Italia. Invece... Ciò che rattrista è che di questa sconfitta il vertice
politico mai abbia parlato, nella sua collegialità. Ha messo lo scheletro
nell'armadio, e crede di avere voltato pagina. Non è così. Per ricostruire il
partito, condizione è fare l'esame di coscienza su tutto ciò che è accaduto a
Napoli. È la condizione prima per risalire.
intervista a
Beppe Niccolai a cura di Vito Orlando |