da "Repubblica", 13 febbraio 1986
Quarant'anni dalla nascita del MSI
Dopo i manganelli e l'idillio golpista la "pacificazione"
Almirante in
doppiopetto,
missini fuori dal ghetto?
Paolo Mieli
Negli anni '60 nacquero i gruppi
extraparlamentari di destra. L'uccisione dello studente Paolo Rossi. La morte di
Michelini. I successi elettorali dei primi anni '70 e il "disastro" del
divorzio. la scissione di Democrazia nazionale. I nuovi interessi culturali,
l'omaggio alla salma di Berlinguer e i veleni di Salò.
Il risveglio fu brusco. Fino al
luglio del 1960 quando naufragò il governo Tambroni, Arturo Michelini aveva
sognato di fare del MSI, alleato al partito monarchico, una grande destra
parlamentare abilitata a funzioni di governo. Adesso invece nasceva il
centro-sinistra, il ruolo di opposizione conservatrice se lo assumeva il PLI di
Giovanni Malagodi; al MSI non restava che cedere sottobanco i propri voti per
operazioni di contrappeso all'apertura al PSI. Come fu, nel 1962, con l'elezione
di Antonio Segni alla presidenza della Repubblica. Non era certo esaltante;
Michelini vedeva crescere attorno a sè l'insofferenza. La base neofascista
pensava unicamente a una «rivincita contro i rossi» da prendersi in piazza.
Nascevano i gruppi extraparlamentari di destra: "Ordine nuovo" di Pino Rauti,
"Avanguardia Nazionale" di Stefano Delle Chiaie, "Nuova Repubblica" di Randolfo
Pacciardi e Giano Accame; verso la fine degli anni Sessanta "Europa Civiltà" di
Loris Facchinetti e il "Fronte nazionale" di Junio Valerio Borghese che nel
dicembre del 1970 si produrrà in un grottesco tentativo di golpe. Anche i
giovani del MSI volevano far nuovamente sentire la loro voce: bombe alle sedi
del PCI, aggressioni alle manifestazioni di sinistra, botte al pubblico del film
"Allarmi siam fascisti!", continue intimidazioni nelle scuole e nelle
università. Soprattutto nell'ateneo romano: dagli schiaffi e i calamai gettati
contro Ferruccio Parri e Umberto Calosso, all'uccisione, nel 1966, dello
studente Paolo Rossi a cui gli studenti di sinistra, spalleggiati dai
professori, reagirono con un'occupazione dell'università che è considerato un
vero e proprio anticipo del '68. Oltre al desiderio di rivincita, dietro tutto
ciò c'era anche l'auspicio che i militari, per rimettere ordine, decidessero di
prendere in pugno la situazione com'era stato lì lì per accadere (o almeno
sembrava) nell'estate del 1964 ad opera del generale De Lorenzo. E come era
accaduto in Grecia nell'aprile del '67.
«A suggestionarci», racconta Pino Rauti, «in realtà non fu la Grecia ma
l'Algeria. Eravamo affascinati da quel mondo descritto ne "I centurioni" di Jean
Lartèguy, quegli ufficiali francesi che dopo la sconfitta in Indocina si
riorganizzarono ad Algeri dove nell'aprile del '61 ordirono un putsch. In
Italia però non ci imbattemmo in nessun Salan. Riuscimmo a scovare solo degli
analfabeti, dei mediocri, gente che non era capace di giocare nessun ruolo
politico. Diciamo la verità: ci illudevamo di incontrare dei cercatori del Graal
e trovammo invece solo dei noiosissimi massoni».
A rappresentare questi fermenti all'interno del MSI era rimasto solo Almirante
che adesso insegnava italiano, latino e storia all'istituto Manieri in piazza
Vittorio a Roma e faceva della contrapposizione a Michelini la sua bandiera. Ma
quest'ultimo, padrone assoluto della struttura e delle casse del partito, riuscì
a tener per sè la segreteria fino al giugno del '69 quando morì per un cancro
allo stomaco. Almirante che fino a quel momento era stato alla testa dei duri
del MSI (nel marzo del '68 assieme a Giulio Caradonna aveva guidato un
sanguinoso assalto contro gli studenti che occupavano l'università di Roma)
appena diventato segretario del partito capì che doveva modificare la sua
immagine. E adottò quella dell'uomo che cavalca sì la violenza di destra ma per
ricondurla nel solco della legalità. Il suo primo gesto fu quello di aprire le
porte del MSI a Pino Rauti e ai suoi ordinovisti. Il secondo la promozione
assieme a esponenti della destra DC di manifestazioni della "maggioranza
silenziosa" ad imitazione di quelle a sostegno del generale De Gaulle contro gli
extraparlamentari francesi nel '68. Nel '70 e '71 fu l'unico leader politico ad
appoggiare la rivolta di Reggio Calabria di cui portò in Parlamento uno dei
capi, Ciccio Franco.
Con quella miscela che venne definita di "manganello e doppiopetto", nel giro di
due anni Almirante ottenne un imprevedibile successo (elezioni amministrative
siciliane della primavera '71) e il reinserimento del suo partito nel grande
gioco: nel dicembre del '71 i voti missini furono nuovamente usati per
l'elezione di un presidente della Repubblica, Giovanni Leone. Quello stesso anno
il procuratore della Repubblica di Milano Luigi Bianchi d'Espinosa chiese
l'incriminazione di Almirante per ricostituzione del partito fascista. Nacquero
nuovamente comitati antifascisti a cui partecipavano rappresentanti di tutti i
partiti democratici. Ma nacquero altresì da frange dei servizi d'ordine dei
gruppi dell'ultrasinistra formazioni clandestine che sperimentavano la lotta
armata con assalti a sedi e uomini del MSI.
Nonostante l'iniziativa di Bianchi d'Espinosa che tutti, almeno in un primo
tempo, mostrano di prendere sul serio, il partito di Almirante è in pieno
vigore. Alle elezioni del '72 ottiene quasi tre milioni di voti e 56 deputati,
solo 5 meno del terzo partito italiano, il PSI. Un record. Come ha fatto?
Almirante è riuscito là dove Michelini aveva fallito. Ha messo in piedi una
complessa operazione che dovrebbe portare il MSI ad abbandonare gradualmente
sigla e simbolo per diventare Destra nazionale. Ha ammesso i monarchici di Lauro
e Covelli. Ha catturato ufficiali come l'ammiraglio Gino Birindelli,
ex-democristiani come Greggi e Giacchero, liberali come Artieri, il filosofo di
sinistra Armando Plebe, il regista Gualtiero Jacopetti. Malgrado una campagna de
"l'Unità" e de "Il Manifesto" che lo presentano come «fucilatore e massacratore
di partigiani» per un bando che sarebbe stato firmato da lui durante la
Repubblica sociale («un falso», ha sempre protestato Almirante), il MSI - Destra
nazionale raccoglie molte nuove adesioni.
Ma ecco il primo inciampo. A Milano, nell'aprile del '73, ad una manifestazione
per Reggio Calabria, zeppa di tricolori, due ragazzi del MSI buttano una bomba
che uccide un agente di polizia, Antonio Marino. Almirante si precipita a
denunciarli. Ma per i nuovi venuti della Destra Nazionale è la scoperta che il
partito è fatto ancora della vecchia pasta. Per il momento comunque non ci sono
defezioni. E nel 1974 l'esercito può esser portato compatto alla sua prima
battaglia: a fianco di Fanfani contro il divorzio. Un disastro. Fanfani e
Almirante escono da quella prova con le ossa rotte.
«Io che sono forse l'unico dirigente del MSI che in vita sua non ha mai cambiato
moglie, dissi subito che quella del divorzio era una trappola», afferma Pino
Romualdi; «non solo perchè avremmo perso, ma perchè ci faceva apparire un
partito non moderno».
L'anno successivo, alle amministrative del '75, è un altro insuccesso. E l'anno
dopo ancora, alle politiche del '76, è la dèbacle: il MSI scende dall'8,7
al 6,1, da 61 a 35 deputati, da 26 a 15 senatori. Per di più pochi giorni prima
delle elezioni, uno dei candidati più controversi presenti nelle liste missine,
l'ufficiale dei paracadutisti Sandro Saccucci, già imputato per il golpe
Borghese, è fuggito da un comizio contestato a Sezze sparando e dai colpi di
pistola di uno dei suoi accompagnatori è stato ucciso il giovane comunista Luigi
Di Rosa.
Nel MSI è il momento della resa dei conti. De Marzio, Tedeschi, Nencioni, il
segretario della CISNaL Roberti, Birindelli, Covelli, Plebe e molti altri
mettono sotto accusa Almirante per i ritardi nella trasformazione del partito in
Destra nazionale. «Strano che tutti quei rilievi me li muovessero dopo
l'insuccesso elettorale. E fino al giorno prima dov'erano tutti questi
signori?», si scalda ancor oggi Almirante. «Fu tutta una manovra della DC e
della massoneria per farci fuori», è l'opinione di Massimo Magliaro, braccio
destro di Almirante. «Macchè DC e massoneria», risponde Tedeschi, «la verità è
che Almirante diceva che avrebbe cambiato, avrebbe cambiato e non cambiava mai.
Perciò ce ne andammo».
Che scissione! Il 22 dicembre del '76, trent'anni esatti dalla nascita del MSI,
escono dal partito 18 deputati su 35 e 9 senatori su 15, più della metà. «A
Napoli», ricorda Almirante, «se ne andarono tutti i nostri rappresentanti
parlamentari». Il nuovo partito, Democrazia Nazionale, accusa Almirante di
collusione coi terroristi neri che dalla metà degli anni Settanta hanno
cominciato a far concorrenza alle Brigate Rosse con stragi e attentati. Si
dichiara disponibile a collaborare con la DC per «ogni ipotesi politica che
escluda i comunisti».
Ma la base resta tutta con Almirante e alle elezioni politiche del '79 i seguaci
di De Marzio e Nencioni non riescono a conquistare neppure un seggio
parlamentare. Verso la fine degli anni Settanta, mentre il MSI cerca di riaversi
dalla brutta avventura della scissione, alcuni giovani collegati con la
"Nouvelle droite" di Alain De Benoist varano uno dei più interessanti
esperimenti politico-culturali di quest'area. Si chiamano Marco Tarchi, Stenio
Solinas, Giuseppe Del Ninno. Alle letture e ai miti tradizionali per questo
genere di destra (Ernst von Salomon, Ernst Jünger, Gottfried Benn, Pierre Drieu
La Rochelle, Francois Ferdinand Cèline, Robert Brasillach, la "Legione
dell'arcangelo Michele" del rumeno Corneliu Zelea Codreanu, il "Rexismo" di
Degrelle) aggiungono l'entusiasmo per Antonio Gramsci dal quale apprendono che
la «conquista del potere politico passa attraverso quella del potere culturale».
Condividono poi con alcuni studiosi di sinistra un grande interesse per Carl
Schmitt. Dopo essere stati buttati fuori dal MSI nell'autunno del 1980 per aver
pubblicato sul loro giornale "La voce della fogna", un articolo satirico contro
Almirante, Tremaglia, Servello e Pisanò, organizzano incontri sui rapporti tra
Nuova destra e sinistra a cui nel 1982 partecipa anche il comunista Massimo
Cacciari.
A questa "pacificazione" in campo culturale se ne accompagna una di carattere
politico. Nel 1982 Marco Pannella tiene un discorso al congresso del MSI; nel
febbraio del 1983 i missini organizzano ad Amalfi un convegno sulla riforma
delle istituzioni cui prende parte l'ex-presidente della Corte costituzionale
Bonifacio; il segretario del PCI Enrico Berlinguer manda un telegramma alla
famiglia di Paolo Di Nella un giovane militante del MSI ucciso da terroristi
rossi al cui capezzale è accorso anche il presidente della Repubblica Pertini;
insediandosi alla presidenza del Consiglio, nell'agosto del 1983, Craxi si
pronuncia contro la "ghettizzazione" del MSI e poche settimane dopo, all'inizio
di settembre, si intrattiene in un lungo colloquio con il ministro degli Esteri
missino Mirko Tremaglia. E ancora: nel 1984 DC e PLI invitano una delegazione
del MSI al loro congresso; nel giugno di quell'anno con un gesto a sorpresa
Almirante va alle Botteghe Oscure a rendere omaggio alla salma di Berlinguer; un
anno dopo Craxi consulta il segretario del MSI per l'elezione del presidente
della Repubblica. «Tanti piccoli e grandi episodi», afferma Tremaglia, «che
dimostrano come ormai siamo fuori dal ghetto».
Un partito come tutti gli altri, in ripresa alle ultime elezioni (a Bolzano ha
fatto un pieno storico), capace di intercettare la rivolta fiscale dei
commercianti, e di dibattere al proprio interno le grandi opzioni politiche:
in occasione della crisi di Sigonella,
il «filo-americano» Tremaglia s'è scontrato duramente con Giuseppe Niccolai che
plaudeva alle iniziative di Craxi.
Eppure il 26 gennaio Giorgio Almirante ha scelto di inaugurare la
campagna di celebrazione dei quarant'anni del MSI al teatro lirico di Milano
dove nel dicembre del '44 Mussolini tenne il suo ultimo discorso. E, tra molte
invocazioni alla pacificazione nazionale, ha trovato il modo di definire i
partigiani «bande che ebbero come emblema il ladrocinio e l'assassinio».
Provocando con ciò reazioni sdegnate da parte di tutti i partiti. Perchè lo ha
fatto? Lui vorrebbe far credere che quelle frasi gli sono sfuggite, che lette
così fuori dal loro contesto... No. Almirante sa che quei veleni della
Repubblica di Salò sono parte costitutiva del MSI. Ancora oggi. Prima o poi
possono tornar buoni. E perciò, almeno fino a quando al timone ci sarà lui,
devono essere continuamente rimessi in circolazione.
Paolo
Mieli
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