Caro Beppe,

che tristezza usare il passato, quanta rabbia! Tra gente come noi -strana razza di spirito- si dovrebbe usare il presente. Anche quando cala il sipario e si conclude l'ultima scena nell'umano teatro.

Ciò che è scritto rimane. E quello che si è detto, la concretezza delle opere, ciò che ci è riuscito di fare, di costruire, di creare. La memoria storica, caro Beppe, la «nostra» memoria: che adesso vai ad irrobustire e nobilitare. La memoria che diventa «progetto», che s'incarna negli uomini e s'infutura.

Ecco: Tu sei il futuro, Beppe, il «nostro» futuro!

Lascialo dire a chi, come noi, non appartiene alle sparute ma potenti schiere di quelli che Ti hanno sempre «sopportato», infastiditi dalla Tua sfida del dialogo, incapaci di capirTi: troppo alto e nobile ed infinitamente distante il Tuo messaggio, gli appelli accorati a non smarrir la strada.

Lascialo dire a noi, Base Militante, stragrande maggioranza anonima ed impotente -per ora!- di questo variegato Movimento che stenta a ritornare Comunità, noi che Ti abbiamo sempre amato perché Ti abbiamo sentito profondamente «nostro»; lasciacelo dire con tutta la rabbia che ci vuole per scuotere i sordi ed i pigri e gli ignavi: Tu sei il domani, Beppe, il domani! ...

Sempre così isolato, predicatore inascoltato, frequentatore solitario delle Vette, eterno bastian contrario, coscienza critica, sempre all'angolo, tra le minoranze aristocratiche, solo oggi Beppe puoi vedere -con quegli occhi che non hanno mai saputo mentire- i tanti, tantissimi Camerati che Ti hanno amato per davvero, magari senza averTi mai conosciuto.

Non perché eri il migliore: ce ne sono fin troppi di «migliori», dentro e fuori. Eri e rimani il più vero, caro Beppe: ecco perché!

L'Anima nostra che si ritrova, che si rinnova, che si ristora.

Tutte le volte che parlavi o scrivevi -come ogni grande spirito- diventavi improvvisamente -e magari non lo sapevi neppure- l'interprete di quanto si agitava dentro ciascuno di noi e ci faceva soffrire. E regalavi la Tua voce, o la penna, alle nostre passioni, alle emozioni, ai sentimenti nostri: capivi e traducevi la nostra voglia di trasgredire per conquistar nuove méte, di tagliar la cancrena per evitar la necrosi e poi ricucire, di ribellarci per rifondare ...

Tu, la nostra continua ricerca, quell'essere continuamente inappagati, sempre insoddisfatti, condannati a guardare oltre anche quando potrebbe bastarci ciò che ci è riuscito di realizzare: è scritto così, nel destino dei fascisti.

Schegge, frammenti di ricordi che son già memoria: l'ultima volta a Vibo Valentia: «Mafia, cardine del potere politico, storia delle stragi»: un convegno, il Tuo terreno, la Tua battaglia. Quanto grati Ti dobbiamo essere, da calabresi, per aver fatto per noi infinitamente di più dei tanti piccoli ed onnipotenti e corrotti politicanti che questa regione sventurata genera, per fame dei servi del sistema, venditori di fumo, maschere che sfilano, impassibili, davanti alle tragedie che ogni giorno si consumano.

Schegge, frammenti di ricordi: la penultima volta a Sorrento: un congresso, il Tuo terreno, la Tua battaglia: ed hai stravinto, davanti al popolo Tuo, in piedi, commosso e plaudente ...

«Lasciatemi parlare, sto male, sono stanco ...» ci ritornano adesso quelle parole, l'accento toscano inconfondibile, la voce caldissima che usciva dall'anima. Eri stanco davvero, magari deluso: hai deciso di tirare il fiato. Tocca ad altri, adesso.

Il sacrificio, la catarsi: parole Tue, bellissime.

Che dirTi, Beppe! «Il seme è gettato, qualunque cosa accada questo seme è destinato a germogliare»: non trovo di meglio che l'ammonimento, sgorgato dalla fierezza dell'Uomo che ha segnato la Tua vita. E le nostre.

A Rimini, fra qualche settimana, farà freddo: gennaio non guarda in faccia a nessuno. Ma chi, come noi, è stato all'inferno riuscirà a scaldarlo quel congresso.

Ci sarai, Beppe, ci sarai: e verrà primavera!