"Secolo d'Italia", mercoledì
1 novembre 1989
Con la scomparsa di Beppe Niccolai
Se n'è andato l'ultimo dei capi storici
Giano Accame
PISA - Alle otto di ieri mattina si è spento a
Pisa l'on. Giuseppe Niccolai. I funerali saranno celebrati domani
alle ore 15 nella Chiesa di Santa Cecilia, in via di Santa Cecilia a
Pisa.
Messaggi di cordoglio sono stati inviati alla moglie, signora
Roberta, ed alle figlie Letizia ed Uliva, dal segretario nazionale
del MSI-DN, Gianfranco Fini, e dai massimi dirigenti del partito. |
«A noi la morte non ci fa paura
ci si fidanza e ci si fa l'amore
e se per caso ci porta al cimitero
s'accende un cero e non ci si pensa più» |
Erano le canzoni che ci affascinavano da ragazzi e che ci
hanno insegnato uno stile nell'affrontare e rischiare la vita. Ci hanno
insegnato a non essere troppo attaccati a noi stessi, ad accettare la sorte con
la serenità dei soldati. Io so che dopo tanti anni, giunto ad una età in cui si
diventa tutti un po' più egoisti, più avari dei nostri giorni proprio nella
consapevolezza che per un motivo o per l'altro presto potrebbero essere gli
ultimi, Beppe Niccolai era rimasto con la freschezza d'animo ed il disinteresse
di allora. Capace di andare incontro al destino con quel tratto sportivo che era
nel suo carattere e nel suo modo di presentarsi in qualunque occasione: dalla
più semplice, che lo vedeva serio, alla più impegnativa, che lo vedeva
scanzonato, perché lui era sempre una cosa e l'altra. Sempre abbastanza serio,
quando si trattava dei propri impegni, che non trascurava, ma sempre anche
scanzonato quando entravano in ballo i propri interessi, lui stesso, perché era
molto attento a non far prevalere il protagonismo sugli ideali.
Aveva conservato in questo Io spirito di militanza e la moralità di un ragazzo.
Moralista era in un modo toscano che comprendeva la beffa, la presa in giro
feroce per chi era colto a sgarrare. Ed esercitò questo suo moralismo applicato
alla satira politica anzitutto ne “Il Machiavelli”, un periodico missino che è
uscito a Pisa a partire dagli anni Cinquanta incontrando uno straordinario
successo nella cittadinanza. È una stagione, quella delle nostre pubblicazioni
locali, che ha avuto esempi gloriosi: meritano di restare scolpiti nella nostra
memoria.
Con “Il Machiavelli”, quindicinale di lotta politica, Beppe Niccolai cominciò ad
esercitarsi nella caccia alle contraddizioni degli avversari, divertendosi
soprattutto a cogliere il peccato originale di molti fierissimi antifascisti con
vistose code di paglia per i loro trascorsi di gerarchetti fascisti. Il
gerarchismo a Beppe Niccolai, che era partito in guerra senza nemmeno fare il
corso da allievo ufficiale per arrivare prima laddove si combatteva, riusciva
insopportabile anche quando era coerente e riaffiorava in certi atteggiamenti di
casa nostra. Figuriamoci quando esso si configurava come un arrivismo da
voltagabbana.
Con le carte in regola del volontario che aveva prima combattuto in Africa
settentrionale ed aveva quindi affrontato con fierezza la prigionia nel “fascist
criminal camp” di Hereford, Beppe Niccolai era un uomo che giudicava e
pubblicava le sue saporite sentenze. Lo fece sul “Secolo d'Italia” nella rubrica
«Rosso e nero», che fu carissima ai nostri lettori e che poi riprese dopo un
periodo di sospensione con il nuovo titolo di «Duello al sole».
Il moralismo fu una costruzione disciplinare che Niccolai impose prima di tutto
a se stesso. Severamente. Al punto che quando si accorse di affezionarsi un po'
troppo all'impegno politico di Montecitorio decise che era arrivata l'ora di
smettere ed appoggiò la candidatura di un camerata più giovane, Altero Matteoli
di Livorno, in quello che noi tutti consideravamo il «suo» collegio.
L'attività parlamentare gli diede peraltro delle meritate soddisfazioni. Citiamo
per tutte la sua relazione di minoranza del 1976 alla Commissione antimafia, che
uno scrittore siciliano come Leonardo Sciascia, che di questi problemi si
intende avendone fatto il centro delle sue narrazioni, ha più volte ricordata
come un testo esemplare per il coraggio e la chiarezza della ricerca.
I molti osservatori politici esterni che hanno parlato di Beppe Niccolai come
della coscienza critica del Movimento Sociale Italiano non si sono peraltro
fermati a notarne le qualità di moralista. Quella era la base, lo zoccolo, che
dava autorità al suo pensiero, che imponeva un religioso silenzio ai congressi,
ai comitati centrali nel momento in cui Niccolai si alzava a parlare. Ma non era
solo la pulizia, l'estrema limpidezza della sua vita ad attribuirgli nel partito
e fuori un particolare carisma. A ciò si aggiungeva la grande serietà del suo
impegno di intellettuale e di una cultura maturata nella straordinaria
biblioteca paterna, dove era raccolto il meglio della produzione italiana della
prima metà del Novecento.
Niccolai soffriva profondamente per le carenze di analisi storica che gli
sembravano caratterizzare in negativo una certa tendenza del MSI-DN alla
improvvisazione, alla pesca delle occasioni, e si sforzava di collocare il
partito sulle onde lunghe della storia italiana ricercandogli una strategia
nazional-popolare ben collocata nella continuità ideale che andava dalle prime
battaglie per l'intervento, con l'uscita di Benito Mussolini dal Partito
socialista, all'ormai prossimo Duemila. Questa ricerca critica, condotta anche
con dolore, sino ad incrinare venerazioni e amicizie che erano state per decenni
la ragione della sua vita, lo ha reso a volte scomodo, inopportuno e persino
antipatico. Ma i camerati anche nel dissenso hanno finito sempre per apprezzare
quanto di nuovo, di organico, di stimolante veniva dal suo pensiero.
Quelle che a lui sembravano le verità cattive ma necessarie da comunicare ai
camerati ed amici se le strappava dal cuore. Era convinto che dovessimo farci
anche male, pur di giungere a definire quasi scientificamente il ruolo nazionale
e sociale di un partito post-fascista visto come perenne eresia. E tra gli
eretici del fascismo (che forse del fascismo autentico erano gli interpreti più
ortodossi) prediligeva l'appassionata predicazione di Berto Ricci,
l'intellettuale degli anni Trenta che più gli assomigliava. Credo che invidiasse
profondamente l'occasione che era stata data a Berto Ricci ed agli altri
scrittori de “l'Universale” di chiudere la rivista e partirsene tutti a servire
la Patria in armi in Africa Orientale. Sapeva che occasioni del genere per
testimoniare la nostra fede a noi non se ne sarebbero presentate mai più e non
riusciva ad accordarsi con la logica arida e disperata di tempi che non ci
consentono altra coerenza al di là di quella dello stile e delle parole. Ma
tutti ascoltandolo capivano che la suggestiva qualità intellettuale dei suoi
discorsi era costruita sulla carne e sul sangue di un uomo capace di dare ancora
tutto se stesso all'Italia, come quando era partito volontario nella seconda
guerra mondiale.
Un uomo come lui non poteva invecchiare. Non Io sopportava fino all'imprudenza.
Poco prima dell'ictus che ce lo ha sottratto aveva fatto un capitombolo con la
motocicletta, indifferente al fatto di avere già avuto un serio avvertimento col
cuore l'anno precedente. Il suo modo di essere sportivo, campione di canoa,
campione di bicicletta (dopo la prigionia si era pagato gli studi come giocatore
di calcio professionista), era un po' tutt'uno con il suo modo di esser
fascista: mens sana in corpore sano.
È un tratto che va ricordato, perché rivelatore del suo temperamento: mirava a
creare in se stesso l'uomo integrale, forte di materia e spirito. E riuscito a
rimanere anche fisicamente giovane sino alla soglia dei 69 anni, che avrebbe
compiuto tra una ventina di giorni, ed anche in questa fierezza, in questa
ambizione dell'energia si è consumato più di quello che la natura gli avrebbe
potuto permettere. Noi che lo abbiamo conosciuto bene possiamo ora ripeterlo
senza timore di retorica e di esagerazione: è morto ancor giovane, quasi mezzo
secolo dopo la fine del regime fascista, l'ultimo esemplare di quell'Uomo Nuovo
che Mussolini sognò invano di realizzare con l'educazione su vasta scala. Furono
invece pochi miracoli e grandi esempi: Berto Ricci, Beppe Niccolai, qualche
altro. Ci lascia ormai soli, ultimo campione assimilabile ai capi storici, che
abbiamo perso l'anno passato: Almirante, Romualdi, Tripodi. Ora ci tocca andare
avanti tra difficoltà grandi, ma con una grande scuola.
Ciao Beppe! Presente!
Giano Accame
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